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4.1.3. Post-norme
Come abbiamo menzionato in precedenza, il 14-15 novembre 2019 a Dallas ha avuto luogo il quarto convegno internazionale sul terrapiattismo. I terrapiattisti sostengono che la Terra non abbia la forma di una sfera schiacciata (per la precisione la forma di sferoide oblato), ma che sia piatta (anche se non c’è pieno accordo su quale sia la forma precisa). Insieme a questa tesi empirica, il terrapiattismo contemporaneo sostiene una teoria del complotto per spiegare perché le istituzioni scientifiche ed educative divulghino il modello della Terra sferica. È importante sottolineare che i terrapiattisti credono nella scientificità della loro ipotesi, la quale, a loro modo di vedere, ha dalla sua prove più solide rispetto all’ipotesi della scienza ufficiale. In altri termini, i terrapiattisti vedono la loro attività come una vera e propria pratica di indagine1INDAGINE – Pratica del raccogliere, soppesare e valutare le prove a nostra disposizione in relazione alla domanda, o alle domande, di nostro interesse, al fine di formarci credenze vere e/o rivedere credenze false su di essa (cfr. Capitolo 3. Indagine).. Eppure, c’è qualcosa di anomalo nel modo in cui i terrapiattisti sostengono la loro ipotesi scientifica. A nostro avviso, tale anomalia va individuata in una aberrazione dell’ambito di applicazione delle norme epistemiche. Per illustrare questa aberrazione considereremo un caso reale accaduto negli Stati Uniti (per maggiori dettagli si veda il paragrafo Filtri epistemici).
Torniamo indietro nel tempo, a poco più di un anno prima del convegno a Dallas sul terrapiattismo. Il 10 giugno 2018 una dozzina di attivisti del gruppo Independent Investigations Group (IIG) al Center for Inquiry West a Los Angeles (l’equivalente americano del Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze – CICAP) incontrano presso il Salton Sea in California un gruppo di attivisti terrapiattisti. L’intento dell’incontro è dimostrare che la forma della Terra non sia piatta bensì sferica con una prova sperimentale che risale all’antichità: l’osservazione dell’allontanamento di un’imbarcazione e del suo “inabissarsi” nel mare. Assumiamo per un momento che la Terra sia piatta. Se osservassimo con un cannocchiale la barca allontanarsi, dovremmo poter continuare a vedere l’intera imbarcazione che gradualmente si “rimpicciolisce”. Se assumessimo invece che la Terra sia curva, dovremmo allora vedere la barca scomparire lentamente dando luogo a un effetto ottico di “immersione” oltre la linea dell’orizzonte. La situazione è rappresentata nella Figura 1.
Una troupe del National Geographic Explorer era presente durante l’esperimento – il video si può vedere liberamente sul web. Nel documentario del National Geographic si osserva che le videocamere con zoom ottico usate dagli sperimentatori mostrano, a un certo punto, l’immagine della barca che inizia a scomparire all’orizzonte. Di fronte a questa prova, dopo un momento di indecisione, gli attivisti terrapiattisti dichiarano di non essere minimamente turbati dall’esperimento. Secondo loro la Terra è piatta e se l’esperimento mostra diversamente è perché deve esserci una spiegazione alternativa che non mette in discussione l’ipotesi terrapiattista. Che interpretazione dare a questa reazione? Sicuramente non è di per sé irrazionale cercare una spiegazione alternativa di fronte ai risultati di un esperimento cruciale, progettato per testare un’ipotesi scientifica – specialmente nei casi in cui tale esperimento metta in discussione alcune delle nostre convinzioni più radicate, come fu nel caso della transizione da un sistema geocentrico a uno eliocentrico. La filosofia della scienza ha trattato ampiamente questo tema e, anche se non c’è spazio in questa sede per riprendere la questione nella sua complessità, possiamo dire che c’è consenso circa il fatto che in linea di principio nessun esperimento può dimostrare la falsità di un’ipotesi, perché la presunta confutazione può essere sempre deviata su una qualche ipotesi ausiliaria coinvolta nell’esperimento (questa tesi è nota come la tesi Duhem-Quine). Il punto però è il seguente: anche se è logicamente ammissibile deviare una confutazione scaricandola su un’ipotesi ausiliaria, questa mossa, affinché sia razionalmente accettabile, deve avere una qualche motivazione indipendente, che possa a sua volta essere testata tramite un’indagine ulteriore. Nel caso in questione, però, i terrapiattisti non reagirono (o almeno così sembra desumersi dal video) con questo atteggiamento. Al contrario, essi contestarono immediatamente il risultato, senza offrire tuttavia una spiegazione alternativa. Questo tipo di atteggiamento sembra caratterizzabile come la tendenza a formulare ipotesi ad hoc (ad esempio l’ipotesi che in quel momento le videocamere non funzionassero correttamente) utili a salvare e a schermare la teoria terrapiattista da controprove potenzialmente fatali per la teoria stessa (si veda Popper 1959, §19-20; Worrall 1978, p. 59).
Fra i tanti esempi che si potrebbero discutere in questa sede, abbiamo scelto questo episodio per illustrare una procedura che riteniamo tipica dell’indagine governata dalle post-norme. La comunità dei terrapiattisti condivide una serie di credenze che giocano un ruolo sociale importante, perché definiscono la loro identità di gruppo. Ai fini dell’esistenza del gruppo, infatti, è fondamentale che questo nucleo di credenze – che chiameremo credenze costitutive – sia protetto da possibili controprove che mettano in discussione la loro verità. Per fare questo, la pratica di indagine della comunità, che – a detta degli stessi terrapiattisti – è volta a scoprire la verità sulla forma della Terra, è accompagnata da un sistema di protezione volto a preservare le credenze costitutive del gruppo. Questo sistema di protezione mette in atto una serie di filtri epistemici2FILTRO EPISTEMICO – Modo di regolare l’indagine tale da escludere da essa alcune prove e controprove (cfr. Cap. 5, p. 2). (nozione che verrà trattata ampiamente in quanto segue, specialmente nel cap. 5) che permettono di neutralizzare le controprove potenzialmente pericolose. L’ipotesi ad hoc è un modo di attivare localmente un filtro epistemico di fronte a una minaccia fornita da un esperimento come quello di Salton Sea. Un modo più potente per attivare filtri epistemici ad ampio spettro (ovvero capaci di neutralizzare un numero ampio di minacce) è quello di usare una teoria del complotto, proprio come fanno i terrapiattisti. Essi, infatti, sostengono che l’ipotesi della sfericità della Terra venga diffusa dalle autorità di tutto il mondo con l’intento di ingannare le popolazioni, per tenerle soggiogate alla falsa credenza3CREDENZA (O GIUDIZIO) – Quello stato mentale volto a rappresentare la realtà e il cui contenuto consiste in una proposizione che viene presa come vera. di vivere in un universo in cui l’uomo è una parte insignificante dal punto di vista cosmologico. Una simile ipotesi permette di squalificare come difettosa ed epistemicamente inefficace ogni presunta controprova al terrapiattismo, appellandosi alle intenzioni ingannatrici di chi ha prodotto (o meglio, malignamente inventato, come sostengono i terrapiattisti) le controprove.
In conclusione, il caso del terrapiattismo è interessante dal punto di vista socio-epistemologico perché mostra il ruolo dell’ipotesi del complotto nella struttura normativa della post-indagine. L’ipotesi del complotto è al centro di una pratica che, seppur volta a scoprire la verità, è sistematicamente protetta da una serie di possibili controprove. Rispetto alla pratica dell’indagine scientifica, la post-indagine dei terrapiattisti comporta un restringimento del campo di applicazione delle norme centrali all’indagine che abbiamo introdotto nel capitolo precedente. In particolare, l’ipotesi del complotto funge da filtro epistemico per proteggere la post-indagine terrapiattista da possibili controprove che andrebbero a minare quelle che abbiamo chiamato le loro credenze costitutive. La protezione epistemica determina un ambiente in cui le opinioni dei partecipanti alla pratica sono accomunate da alcune credenze centrali, come l’ipotesi terrapiattista e la teoria del complotto. Inoltre, la condivisione di queste credenze costitutive determina non solo una notevole uniformità nella formazione delle credenze riguardo all’indagine empirica, ma anche una tendenza a rinforzare le proprie credenze sulla base del fatto che gli altri membri del gruppo condividono ed esprimono le stesse credenze (quello che Solomon Asch, nei suoi famosi esperimenti, ha chiamato effetto di conformità sociale; Asch 1955). Questo complesso insieme di fenomeni dà luogo a quella particolare nicchia epistemica, nota nella letteratura come camera dell’eco (o echo chamber, cfr. p. 74). Possiamo quindi caratterizzare il modello di post-indagine basato sulle post-norme come quella pratica dell’indagine che avviene all’interno di un quadro normativo deviato dai filtri epistemici (per una caratterizzazione dei fenomeni connessi a questo tipo di post-indagine come forme di emancipazione dei cittadini dal sapere esperto degli accademici, si veda Fuller 2018). Concludiamo questo paragrafo con una figura (Fig. 2) che fornisce un quadro sinottico della relazione tra indagine e post-indagine.