Ritorna a p. 1 – 4.1. Post-verità e post-indagine: tre modelli
4.1.2. Post-prove
In un’intervista rilasciata alla CNN il 22 luglio 2016, il politico americano Newt Gingrich sostenne che una delle priorità delle politiche statunitensi dovesse essere la riduzione del crimine. La giornalista fece notare che secondo le statistiche ufficiali più recenti dell’FBI l’indice di criminalità era chiaramente in calo negli Stati Uniti. Gingrich replicò che le statistiche dell’FBI non erano così importanti, anche se teoricamente corrette, ciò che contava era primariamente come la gente si sente. Lungi dal voler fornire un’analisi accurata di quali fossero le intenzioni di Gingrich, discutiamo due possibili interpretazioni dell’accaduto che si possono evincere da una lettura attenta della trascrizione dell’intervista. Si potrebbe interpretare Gingrich attribuendogli la tesi che, nonostante sia un fatto che il tasso di criminalità negli USA è diminuito, l’indagine sul tasso di criminalità non è tanto pertinente per le decisioni politiche quanto la percezione diffusa del livello di crimine. Si noti però che questa interpretazione sembra in tensione con gli scambi tra la giornalista e Gingrich, il quale, a più battute, rifiuta esplicitamente le affermazioni della giornalista sul tasso di criminalità. Pertanto, analogamente al caso Conway, interpretiamo questo episodio alla lettera assumendo la sincerità di Gingrich. Per questo motivo, relativamente alla questione se la criminalità negli USA sia diminuita o meno, consideriamo Gingrich come un tipo di indagatore che fonda le proprie credenze su prove che hanno a che fare più con la dimensione soggettiva (la percezione delle persone che vi sia più criminalità) che con quella oggettiva (i dati statistici dell’FBI che, posto un tasso di errore costante, mostrano che vi sia comparativamente meno criminalità). In questo senso diciamo che Gingrich è un post-indagatore. La natura degli atteggiamenti di questa tipologia di post-indagatori sono sempre credenze, nel senso che sono ancora regolati dal doppio standard aletico. Tuttavia, le credenze basate sulle post-prove provengono in modo epistemicamente esclusivo da risposte soggettive ed emotive che trascurano qualsiasi altra fonte di prova indipendente dalle emozioni (ad esempio, i dati statistici). Va infatti notato che, nell’intervista, Gingrich è stato esplicito nel dimostrare indifferenza di fronte alle prove statistiche, in quel caso pertinente alla valutazione della verità o falsità della proposizione che il tasso di criminalità negli USA è aumentato. Al contrario, Gingrich sosteneva che, per decidere se credere o meno tale proposizione, contasse di più il (presunto, in quanto non facile da verificare) sentimento di insicurezza dei cittadini americani.
Se chiamiamo credenza basata su post-prove una credenza1CREDENZA (O GIUDIZIO) – Quello stato mentale volto a rappresentare la realtà e il cui contenuto consiste in una proposizione che viene presa come vera. avente come scopo e come standard di correttezza la verità, ma le cui basi includono solo elementi emotivi, allora possiamo dire che Gingrich giudicava sulla base di post-prove che il tasso di criminalità negli USA fosse in aumento. E se effettivamente i cittadini americani si sentivano più insicuri e quindi percepivano un livello di criminalità maggiore (fatto che, a sua volta, richiederebbe dati che Gingrich non fornisce nel contesto dell’intervista), allora possiamo anche dire che la credenza di Gingrich fosse giustificata dal momento che erano soddisfatte le condizioni che determinano la sua giustificazione – ovvero, la diffusione tra i cittadini di certi stati emotivi.
È importante a questo punto chiarire due questioni al fine di evitare fraintendimenti. In primo luogo, occorre chiarire che la credenza basata sulle post-prove non comporta necessariamente un cambiamento circa il contenuto che si viene a credere: non stiamo dicendo che mentre la giornalista della CNN forniva prove per la falsità della proposizione che il tasso di criminalità negli USA fosse aumentato, Gingrich difendeva un’altra proposizione che parlava della percezione del pericolo della criminalità da parte dei cittadini statunitensi (ad esempio, la proposizione che i cittadini statunitensi si sentissero più minacciati, rispetto a prima, dalla presenza di criminalità). Quello che stiamo dicendo, invece, è che la pratica della post-indagine basata sulle post-prove è un tipo di indagine alternativa in cui quelle stesse proposizioni che sarebbero oggetto della pratica d’indagine in un contesto ordinario sono ora accettate, rivedute, o rifiutate da almeno uno dei partecipanti all’indagine non alla luce di giustificazioni oggettive, ma piuttosto sulla base di fattori emotivi. Questo tipo di post-indagine è quindi determinata da una deviazione, rispetto alla pratica dell’indagine, circa ciò che gioca il ruolo di standard di giustificazione. Occorre, oltretutto, notare che la verità rimane lo standard di correttezza anche per questa pratica: il post-indagatore cerca di scoprire la verità sempre partecipando al gioco del fornire e difendere ragioni per la verità delle proposizioni che crede. La differenza cruciale tra questo tipo di post-indagatore e l’indagatore è che, nel primo caso, le prove ammesse sono di natura soggettiva. In altri termini, pur rimanendo fisso lo standard di correttezza, cambia lo standard di giustificazione. In secondo luogo, deve essere chiaro che ciò che chiamiamo post-indagine basata sulle post-prove è un’indagine svolta in relazione a questioni empiriche dove si attribuisce un ruolo esclusivo alle emozioni come prove. Consideriamo questa post-indagine una deviazione radicale dall’indagine2INDAGINE – Pratica del raccogliere, soppesare e valutare le prove a nostra disposizione in relazione alla domanda, o alle domande, di nostro interesse, al fine di formarci credenze vere e/o rivedere credenze false su di essa (cfr. Capitolo 3. Indagine). su questioni empiriche. Ciò non esclude né che le emozioni possano giocare un qualche ruolo epistemico3EPISTEMICO – Relativo a conoscenza o giustificazione. (secondario) nell’indagine su questioni empiriche (Brady 2013), né che possano giocare un ruolo centrale per indagini su altri tipi di questioni (ad esempio, quelle morali).
Una volta chiarito cosa intendiamo con questo modello di post-indagine, possiamo porci una domanda analoga a quella che ci siamo posti in relazione al caso Spicer-Conway nel paragrafo precedente: chi ha ragione tra la giornalista della CNN e Gingrich? La risposta a questa domanda dipende da una scelta di fondo, ovvero se pensiamo che entrambe le pratiche – l’indagine basata sulle prove e quella basata sulle post-prove – siano legittime o se prediligiamo l’una all’altra. Nel caso in cui riteniamo che siano entrambe legittime, ci è lecito giudicare nel giusto sia la giornalista CNN che Gingrich: relativamente al proprio standard di giustificazione ognuno aveva ragione – la giornalista relativamente allo standard di giustificazione fornito dai dati statistici, Gingrich relativamente allo standard di giustificazione fornito dalle emozioni e paure dei cittadini. Se invece diamo preminenza a uno standard – ad esempio a quello oggettivo delle prove statistiche – sembra invece plausibile sostenere che il post-indagatore segua una pratica difettosa in quanto basata su criteri di giustificazione4GIUSTIFICAZIONE – Una ragione a favore o contro la credenza in una proposizione. Il termine “giustificazione” ha un uso tecnico in epistemologia e, a seconda della teoria epistemologica che si adotta, può essere definito in maniera differente. In questo saggio usiamo il termine grosso modo per indicare l’avere ragioni a favore o contro la credenza in una certa proposizione (per un’introduzione alle diverse teorie sulla giustificazione si veda Volpe 2015). inappropriati.
Detto ciò, è importante apprezzare la radicalità di questo modello di post-indagine. Un soggetto che svolge l’indagine per mezzo delle post-prove non è indifferente alla verità, che rimane lo scopo dell’indagine, ma al contempo costruisce il suo percorso di post-indagine basandosi solo su considerazioni emotive. Semplificando un po’, è come se si volesse vincere una gara di corsa costruendo un percorso di allenamento che non sia basato sui tempi realizzati durante le varie prove, ma su quanto il pubblico che assiste alle prove sia contento di ciò che vede. Naturalmente il pubblico che assiste agli allenamenti potrebbe essere estremamente affidabile ed esprimere la propria contentezza tutte le volte che ci sono progressi nelle prestazioni. Ma potrebbe anche essere estremamente inaffidabile. Pertanto, prendere in considerazione gli stati emotivi del pubblico non offre, di per sé, alcuna spiegazione delle qualità atletiche del corridore. Analogamente, riteniamo che il focalizzarsi principalmente sulle impressioni relative alle emozioni dei cittadini e alle paure da loro percepite, dando un peso specifico minore ai dati statistici, non offra di per sé una spiegazione affidabile sulla reale diffusione del crimine negli USA.
Prestare attenzione al mutamento della pratica della post-indagine basata sulle post-prove può essere uno strumento utile per analizzare alcuni aspetti della post-verità. Ad esempio, un fenomeno che molti osservatori notano sui social media è quello della credulità, ovvero la tendenza a formare ed esprimere credenze non curandosi di avere prove oggettive. Questo fenomeno è ben esemplificato da alcune delle modalità di condivisione di post e di retweet, per mezzo delle quali gli utenti fanno proprie certe notizie senza avere ragioni indipendenti per credere alla fonte. Se leggiamo questi fenomeni come esempi di post-indagine basata su post-prove, risulta molto più facile spiegare cosa accade. Di fatto, molti utenti dei social media usano il criterio di ciò che è emotivamente più rilevante per loro al fine di selezionare e diffondere una notizia: se il contenuto della notizia è in linea con la loro sensibilità emotiva oppure la fonte del post (o tweet) che si è condiviso fa parte della loro cerchia valoriale, allora la fanno circolare per spirito di parte (Rini 2017, Lynch 2019 capp. 2-3).