Introduzione
«Maledetto sia Copernico!», così il protagonista di quello che è probabilmente il romanzo più famoso di Luigi Pirandello si rivolge a Don Eligio e quando questi gli fa notare che non è stato l’astronomo polacco a far girare la Terra, in quanto «ha sempre girato», egli replica: «Non è vero. L’uomo non lo sapeva e dunque era come se non girasse!». L’ultima esclamazione può sembrare assurda e ingenua, ma, al contrario, nasconde una profonda verità: l’impressione che abbiamo dalla Terra è, infatti, proprio quella di essere fermi e, pertanto, risulta spontaneo ritenere che sia il Cielo, con tutti i suoi astri, a muoversi lungo la “volta” con regolarità e che noi uomini, creature coi piedi sulla Terra e lo sguardo rivolto al Cielo, ci troviamo esattamente al centro del Cosmo, parola che in greco, non a caso, significava “ordine”.
La rassicurante presenza di una “incontaminata perfezione” che, ruotandoci attorno, pare volerci proteggere, guidando il nostro cammino terrestre materiale e spirituale, ci ha spinti, fin dai tempi più remoti, a cercare nel Cielo il motivo della nostra esistenza, così come i segni premonitori di accadimenti futuri e l’approvazione delle nostre scelte e azioni, che quell’ordine superiore pareva rivestire di una speciale dignità.
Copernico, però, prosegue Mattia Pascal/Adriano Meis, «ha rovinato l’umanità, irrimediabilmente», poiché ci ha aperto gli occhi sulla «infinita nostra piccolezza». In realtà, il povero Copernico non si macchiò mai di un tale, orribile, misfatto, in quanto il suo modello di Universo era appena un poco più grande di quello geocentrico di Tolomeo. Il grande passo che compì fu, invece, quello di “toglierci dal centro”. Non sarebbe stato un cambiamento indolore ed egli, consapevole dei rischi che avrebbe corso nello scardinare una convinzione che durava da più di un millennio, fondando le proprie basi su quanto appariva evidente, decise di non dare alle stampe il risultato dei suoi studi che, come è noto, sarebbe venuto alla luce in concomitanza con la sua scomparsa.
La storia ci insegna come la “perdita del centro” sia stata vissuta con difficoltà e osteggiata da molti uomini di Chiesa. Era difficile, se non impossibile, accettare che il Divino Creatore avesse collocato l’Uomo, termine ultimo della creazione, realizzato a Sua immagine e somiglianza, in un luogo che non fosse il centro dell’Universo. Sulle persone comuni, che al centro dell’Universo non si erano mai sentite e che dovevano fronteggiare quotidianamente avversità di carattere pratico, relative alla propria sussistenza, la “rivoluzione copernicana” non ebbe alcun effetto, anche perché, contrariamente a quanto siamo indotti a pensare, fu un processo lento, che si snodò nell’arco di più di un secolo. L’opera di Copernico (il De revolutionibus orbium coelestium) rimase per lungo tempo oggetto di analisi e discussione di una cerchia limitata di studiosi e balzò alle cronache solo nel 1616, quando la Chiesa lo incluse nell’Indice dei libri proibiti in seguito alla prima denuncia al Sant’Uffizio di Galilei.
Le difficoltà di affermazione del modello copernicano non furono, tuttavia, soltanto di carattere culturale e teologico. La scelta delle orbite circolari non consentiva di riprodurre la posizione osservata dei pianeti con una precisione migliore di quella che si poteva ottenere col modello geocentrico e per questa ragione anche Copernico, analogamente a Tolomeo, si era visto costretto a ricorrere all’artificio di epicicli e deferenti.
Keplero avrebbe compiuto un ulteriore passo in avanti, mostrando che le orbite dei pianeti attorno al Sole non erano circolari, ma ellittiche e Newton, un’ottantina di anni dopo, con la legge di gravitazione universale, ne avrebbe fornito la motivazione fisica.
La prova sperimentale della rotazione della Terra attorno al proprio asse sarebbe stata, invece, ottenuta da Foucault, col celebre esperimento del pendolo, soltanto nel 1851, a 400 anni di distanza dalla pubblicazione dell’opera di Copernico. In quegli stessi anni, una recente innovazione tecnologica, la lastra fotografica, sarebbe stata applicata all’astronomia. Gli occhi degli astronomi che, metaforicamente, si erano fatti sempre più grandi grazie ai telescopi, con la fotografia sarebbero divenuti ancora più potenti e capaci di catturare le immagini di oggetti sempre più deboli.
Le lastre fotografiche avrebbero confermato che il disegno a spirale, visibile al telescopio solo in alcuni rari casi, è una caratteristica molto frequente delle nebulose, una rivelazione che avrebbe indotto alcuni astronomi ad ipotizzare quanto Immanuel Kant aveva già postulato più di 100 anni prima su basi puramente speculative, ossia che le nebulose a forma di spirale fossero galassie esterne del tutto simili alla nostra, i cosiddetti “universi isola”.
Per provare questa ipotesi ardita, che sarebbe risultata in contrasto con l’opinione scientifica dominante, secondo cui tutte le nebulose dovevano essere parte della nostra galassia, si rivelerà necessario misurare la distanza fra noi e le presunte nebulose esterne. Non sarà un compito facile e la discussione sulla natura delle nebulae si protrarrà, in maniera controversa, talmente a lungo nel tempo che occuperà i primi 20 anni del Novecento, divenendo nota come il “Grande Dibattito”. A risolverla definitivamente sarà Edwin Hubble che, servendosi degli studi di Henrietta Leavitt, un’astronoma che non avrà la possibilità di conoscere l’importanza del suo risultato, riuscirà a dimostrare che la galassia di Andromeda è esterna alla nostra. Quel momento segnerà l’inizio della fine per noi uomini, che diverremo sempre più piccoli in un Universo sempre più grande.
È interessante notare che Pirandello scrisse Il fu Mattia Pascal proprio nel periodo in cui stava avendo luogo il “Grande Dibattito”. Era a conoscenza della discussione che stava animando la comunità astronomica e ha inconsciamente attribuito a Copernico una colpa che sarebbe stata, di lì a pochi anni, di un astronomo della sua epoca? Oppure si tratta di una curiosa coincidenza? Non lo sapremo mai, ma non possiamo escludere che lo scrittore avesse avuto qualche informazione a riguardo, dal momento che la diffusione delle notizie relative alle scoperte scientifiche era già molto ampia agli inizi del secolo passato e coinvolgeva anche i non addetti ai lavori.
Il Novecento è stato un secolo difficile e tormentato, non soltanto a causa delle due guerre mondiali. Nelle forme artistiche emergono segnali evidenti di un malessere legato alla frammentazione dell’Io, che potrebbe aver trovato parte della sua ragione d’essere nella presa di coscienza dell’«infinita nostra piccolezza».
Il rapporto privilegiato fra Uomo e Cosmo, incrinatosi progressivamente nel corso dei secoli, si è dissolto definitivamente proprio agli inizi del secolo passato, quando siamo stati costretti ad accettare che ci troviamo alla periferia di una galassia anonima, simile a tantissime altre, alla deriva in uno spazio enorme, costituito prevalentemente di vuoto, del tutto indifferente a noi e alla nostra sorte.