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Lavorando intensamente, giorno dopo giorno, ma sempre col sorriso sulle labbra, l’instancabile Henrietta giunse a identificare quasi 1.800 stelle variabili nelle due Nubi di Magellano e nell’organizzare quell’enorme mole di dati, che avrebbe dovuto inserire in un articolo, fece una scoperta inaspettata, che riguardava 16 stelle variabili, appartenenti alla Piccola Nube. Per esse, infatti, trovò una relazione, che le parve molto curiosa, tra la luminosità massima raggiunta, per effetto della variazione, e il periodo con cui avveniva quest’ultima. Le due quantità erano correlate: al crescere dell’una corrispondeva anche la crescita dell’altra, mentre al diminuire dell’una anche l’altra diminuiva.
Sedici stelle costituivano indubbiamente una minima parte dell’intero campione, ma la Leavitt pensò che valesse la pena di evidenziare la relazione, che legava le loro luminosità ai periodi, e decise, pertanto, di tenerle separate da tutte le altre dedicando loro la sesta tabella dell’articolo, intitolato 1777 Variables in the Magellanic Clouds (che nel 1908 fu pubblicato nel sessantesimo volume degli Annali dell’Osservatorio Astronomico dell’Harvard College), commentando la sua scelta in questo modo «It is worthy of notice that in Table VI the brighter variables have the longer periods» (Leavitt 1908, p. 107).
Quattro anni dopo, nel 1912, Pickering avrebbe pubblicato, nella Circolare n. 173 dell’Harvard College, un articolo dal titolo Periods of 25 Variable stars in the small Magellanic cloud, che si sarebbe aperto con una frase, con cui riconosceva, seppure in modo non del tutto esplicito, il merito della scoperta a Henrietta Leavitt: «The following statement regarding the periods of 25 variable stars in the Small Magellanic Cloud has been prepared by Miss Leavitt» (Pickering 1912, p. 1).
L’articolo, che contiene una dettagliata descrizione del lavoro monumentale alla base della pubblicazione della Leavitt del 1908, intendeva sottolineare come l’identificazione di altre nove variabili, che seguivano la relazione tra il periodo e la luminosità, confermasse quanto era stato trovato quattro anni prima, ovvero che la variazione della luminosità di questo particolare tipo di variabili avvenisse su periodi più lunghi per le variabili più luminose.
Nessuno conosceva, all’epoca, la ragione che provocava quella variazione di luminosità e sarebbero trascorsi all’incirca 50 anni, prima che il fisico russo Zhevakin ne dimostrasse l’origine nella pulsazione degli strati più superficiali di alcune stelle, caratterizzate da determinati valori della massa e in particolari periodi della loro vita. La mancanza di conoscenza del fenomeno fisico che era alla base della variabilità delle Cefeidi impedì, pertanto, a Pickering di comprendere il motivo per cui il periodo della loro variazione fosse legato alla luminosità e, inoltre, al direttore dell’Harvard College Observatory sfuggì la straordinaria importanza, di carattere pratico, legata alla scoperta della Leavitt, ovvero la possibilità di utilizzare quel tipo di variabili come “candele standard”, in quanto la luminosità intrinseca delle Cefeidi sarebbe stata facilmente determinabile proprio attraverso la relazione tra essa e il periodo (misurabile senza difficoltà), evidenziata dalla Leavitt.
Nell’articolo del 1912, Pickering si limitò a sottolineare che la variazione di luminosità osservata dovesse riflettere una variazione di luminosità intrinseca, perché tutte le stelle appartenevano alla stessa nebulosa e pertanto dovevano avere più o meno la stessa distanza da noi.
L’anno successivo, un astronomo e chimico danese, Ejnar Hertzsprung (il cui nome sarebbe rimasto indissolubilmente legato a quello del collega statunitense, Henry Norris Russell, poiché i due avrebbero trovato nel 1910, indipendentemente l’uno dall’altro, la relazione fra il tipo spettrale – O, B, A, F, G, K e M – e la luminosità intrinseca delle stelle in un grafico che sarebbe successivamente divenuto noto con il nome di “diagramma di Hertzsprung-Russell”) riuscì a determinare la distanza di 13 variabili dello stesso tipo di quelle che erano state identificate da Henrietta Leavitt.
Le 13 Cefeidi appartenenti alla nostra galassia erano troppo lontane, affinché Hertzsprung potesse misurarne la parallasse, così utilizzò un metodo diverso, tuttora usato, ovvero quello della parallasse statistica, che si fonda sull’assunzione che un gruppo di stelle gravitazionalmente legato, quale, ad esempio, un ammasso aperto, mostri una velocità d’insieme che riflette quella del Sole. In questo modo, misurando l’entità di tale spostamento angolare, che avviene lungo il piano del cielo, è possibile trovare la distanza del gruppo, in quanto il riflesso del moto solare è tanto più piccolo quanto più il gruppo di stelle è lontano. È un metodo statistico, come indicato dal suo stesso nome, che presuppone che i moti propri reali delle stelle del gruppo si distribuiscano in modo casuale sul piano del cielo, cancellandosi a vicenda, ed è tanto più preciso quanto più tale assunzione si avvicina al vero.
Quando ebbe stimato la distanza delle 13 Cefeidi, appartenenti alla nostra galassia, Hertzsprung poté assegnare loro una luminosità intrinseca (utilizzando la relazione1 dove L è la luminosità intrinseca, f è quella osservata – tecnicamente detta flusso – e d è la distanza della sorgente luminosa) e calibrare la relazione trovata dalla Leavitt, associando a ognuna delle 25 Cefeidi della Piccola Nube la propria luminosità intrinseca, sulla base del periodo di variazione osservato.
Dal confronto tra la luminosità osservata, misurata dalla Leavitt, e quella intrinseca, determinata da lui, poté stimare la distanza della Piccola Nube che, per effetto di una sottostima delle distanze ottenute col metodo della parallasse statistica, risultò pari a 10 kpc, un valore circa sei volte inferiore a quello reale.
Hertzsprung, tuttavia, aveva aperto la strada che Edwin Hubble avrebbe percorso pochi anni dopo, nel 1923, per stabilire definitivamente la natura extragalattica della Nebulosa di Andromeda.
Nel frattempo, Pickering aveva affidato a Henrietta il compito di estendere in numero e in luminosità il campione di “stelle standard”, ovvero le stelle con misure molto accurate della luminosità (osservata), che potevano essere usate, così come aveva fatto anche lei, per stimare, attraverso il confronto dell’annerimento delle immagini, la luminosità (osservata) di altre stelle.
Le sequenze di stelle standard, realizzate da Henrietta Leavitt, che lavorò incessantemente fino alla morte, avvenuta nel 1921 a soli 53 anni, sarebbero state utilizzate a lungo da diversi osservatori astronomici.
Henrietta non ebbe modo di saperlo mai, né le fu dato di sapere quali straordinari frutti avrebbe portato la relazione tra il periodo e la luminosità, che aveva scoperto, e l’unico riconoscimento che ebbe in una vita integralmente dedicata all’astronomia fu la nomina a capo della sezione di fotometria dell’Harvard College Observatory che Harlow Shapley, subentrato a Pickering nella direzione, le assegnò proprio nell’anno in cui sarebbe scomparsa.
Edwin Hubble avrebbe esternato in diverse occasioni la propria gratitudine nei confronti della Leavitt, sostenendo più volte che Henrietta avrebbe meritato il premio Nobel e, in effetti, il matematico svedese Gösta Mittag-Leffler (che dal 1903 faceva parte della commissione per l’assegnazione dei premi Nobel) inconsapevole che la Leavitt fosse scomparsa da alcuni anni, pensò che avrebbe potuto nominarla per il Nobel della Fisica del 1926 e il 23 febbraio del 1925 le inviò una lettera che si apriva con la frase riportata all’inizio del presente capitolo.
La sfortunata “donna computer”, però, non era più di questo mondo e, dal momento che il premio Nobel non può essere assegnato postumo, non ebbe nemmeno la possibilità di essere nominata.