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L’interpretazione che Goodricke aveva dato alla variabilità di Algol, ben visibile anche a occhio nudo e di cui anche il nome, di origine araba (al-ghul che si può tradurre come “lo spirito” oppure “il demone”), porta una chiara traccia, prevedeva la presenza di un corpo che, passando davanti alla stella, la oscurava periodicamente. Curiosamente, sarebbe stato proprio Pickering a confermare, all’incirca 100 anni dopo, l’intuizione di Goodricke. Nel 1881, il direttore dell’Harvard College Observatory avrebbe, infatti, dimostrato che Algol era una “binaria fotometrica”, ovvero un sistema di stelle così vicine tra loro da non essere distinguibili nemmeno al telescopio, in cui però la linea di vista dell’osservatore è allineata col piano orbitale delle stelle e quindi, periodicamente, si può osservare una variazione di luminosità, dovuta al fatto che le stelle vengono a trovarsi l’una davanti all’altra e si “oscurano” a vicenda. Non a caso, le binarie fotometriche sono dette anche “binarie a eclissi” e la forma della variazione periodica della loro luminosità, che in termini tecnici è chiamata “curva di luce”, dipende da quanto le due stelle sono simili o dissimili, per quel che riguarda la loro luminosità e il loro raggio.

Pochi anni dopo, nel 1889, Hermann Carl Vogel, direttore dell’Osservatorio Astronomico di Postdam (cittadina situata circa 30 km a sud-ovest di Berlino), avrebbe fatto della stella Algol la prima “binaria spettroscopica” a essere identificata, riuscendo a individuare, nel suo spettro, la traccia del movimento relativo delle due stelle che compongono il sistema.
Il risultato di Vogel sarebbe stato possibile grazie a quanto aveva scoperto quasi 50 anni prima il matematico e fisico austriaco Christian Andreas Doppler, dopo essersi accorto, casualmente, che il suono di una sorgente in movimento si faceva più acuto, se la sorgente si dirigeva verso di lui, e più greve, se si allontanava. L’effetto, che Doppler descrisse in un lavoro pubblicato nel 1842, dipende dal fatto che la propagazione del suono avviene per mezzo di onde e queste ultime “si schiacciano” o “si allungano” se la loro sorgente si avvicina o si allontana. Ne risulta che la frequenza delle onde, ossia il numero di “picchi” contenuti in un secondo di tempo, aumenta se la sorgente si avvicina e diminuisce se la sorgente si allontana, generando un suono che si fa, di conseguenza, più acuto o più greve.

L’effetto scoperto da Doppler sarebbe stato esteso nel 1848, dal fisico francese Armand Hippolyte Louis Fizeau, anche alla “luce” che, in analogia col suono, mostra una natura ondulatoria e questo risultato avrebbe dato modo di poter derivare, dallo spostamento delle righe negli spettri, le velocità di avvicinamento o di allontanamento nella direzione radiale, ossia lungo la linea di vista, della sorgente dall’osservatore. In particolare, le righe di assorbimento nello spettro di una stella che si stesse allontanando dalla Terra sarebbero state spostate verso le frequenze più basse, ovvero verso il rosso, mentre quelle di una stella che si stesse muovendo in direzione del nostro pianeta sarebbero risultate spostate verso le frequenze più alte, ossia verso il blu.

Grazie a Doppler e a Fizeau, lo spostamento delle righe nello spettro di una stella (che al telescopio appariva come un oggetto singolo) ne avrebbe potuto rivelare la natura duplice, poiché due stelle gravitazionalmente legate fra loro, orbitando attorno al loro comune centro di massa1Dal Glossario: Centro di massa o baricentro – È un punto geometrico localizzato nella posizione che corrisponde al valore medio della distribuzione di massa di un sistema. Se quest’ultimo è costituito da due stelle di uguale massa, il punto è posizionato esattamente a metà della distanza tra le due stelle; se la massa delle stelle è diversa, il punto è tanto più prossimo alla stella di massa maggiore, quanto più la massa di quest’ultima domina sulla massa dell’altra stella., si sarebbero spostate alternativamente verso il blu o verso il rosso, per effetto del loro moto. Lo spostamento osservato avrebbe fornito la velocità reale delle stelle, soltanto se la linea di vista fosse stata esattamente allineata al piano dell’orbita, e un valore per la velocità, che sarebbe risultato tanto più una sottostima del valore reale, quanto maggiore fosse stato l’angolo tra il piano orbitale e la linea di vista. Tale valore sarebbe, infatti, risultato nullo per un angolo di 90° (corrispondente a un piano dell’orbita perpendicolare alla linea di vista), perché in tale caso l’effetto Doppler-Fizeau sarebbe risultato pari a zero. Non sarebbe sempre stato possibile, tuttavia, osservare le righe di assorbimento di entrambe le stelle componenti il sistema, anzi, in generale, sarebbero risultate visibili solamente quelle della stella più luminosa, il cui spettro avrebbe dominato su quello della stella più debole. A ogni modo, sarebbe stato sufficiente misurare lo spostamento periodico delle righe di una delle due stelle per poter derivare i parametri orbitali del sistema.

All’epoca in cui Pickering affidò alla Leavitt il compito di identificare le variabili nelle Nubi di Magellano, si riteneva che la variabilità fosse dovuta a fenomeni improvvisi e inspiegabili, come quello delle Novae, oppure ciclici e regolari, come quello che caratterizzava le binarie fotometriche, in quanto le binarie spettroscopiche non mostravano necessariamente delle variazioni di luce. Si pensava, quindi, che la variabilità delle stelle fosse dovuta a un fenomeno di natura esplosivo, del tutto ignoto, oppure al fatto che le stelle potessero essere parte di un sistema doppio. In questa categoria, si riteneva dovessero essere incluse anche le Cefeidi, che mostravano variazioni di luminosità regolari su periodi che andavano tipicamente da pochi giorni fino a un mese. L’ipotesi trovava sostegno in quella che sembrava essere la localizzazione più frequente per questo tipo di variabili, gli ammassi globulari, in cui l’elevata densità stellare rendeva plausibile la loro appartenenza a un sistema doppio, ma non trovava adeguato riscontro negli spettri, che pian piano si stavano accumulando per le Cefeidi.

Pickering, tuttavia, non aveva chiesto alla Leavitt di capire le ragioni della variabilità delle stelle, ma molto più semplicemente di identificare tutte le variabili, cercando eventualmente una relazione che legasse il loro numero alla luminosità, oppure l’entità della variazione di luminosità a quest’ultima o al colore. La scelta di cercare tutte le variabili nelle due Nubi rispondeva anche al desiderio di comprendere se in regioni speciali della nostra galassia (come, in virtù della loro dimensione cospicua, apparivano le Nubi) il numero delle stelle variabili e le loro caratteristiche si rivelassero significativamente diverse che in altre zone.

Armata di un piccolo oculare, Henrietta trascorreva ore e ore, confrontando  le immagini di una stessa stella su lastre fotografiche, prese in giorni diversi. La dimensione di una stella sulla lastra dipende dalla quantità di luce inviata e pertanto le stelle più luminose appaiono più grandi. Le stelle variabili, quindi, avrebbero dovuto mostrare, su lastre prese in giorni diversi, dimensioni diverse, ma poiché la variazione della dimensione dipende dalla variazione di luminosità e quest’ultima non era troppo grande, il mutamento della dimensione era abbastanza piccolo e poteva essere notato soltanto con un oculare che consentisse di ingrandire significativamente l’immagine. Il problema era naturalmente complicato dal fatto che, essendo state acquisite in giorni e ore diverse, le lastre fotografiche, su cui Henrietta andava cercando le stelle variabili, avevano subìto un assorbimento da parte della nostra atmosfera che non era lo stesso, per cui una piccola variazione osservata non era necessariamente indice di variabilità. Per essere certi che si trattasse di un fenomeno di variabilità, occorreva confrontare meticolosamente tutte le lastre per verificare che il cambiamento nella dimensione delle stelle fosse effettivamente a carattere progressivo, ossia che le dimensioni aumentassero o diminuissero con continuità al trascorrere del tempo, e non fluttuassero, invece, in modo casuale. Infine, una volta identificate con certezza le stelle variabili, era necessario misurarne le luminosità nel modo più accurato possibile. Per fare questo, la Leavitt (che aveva maturato una buona esperienza, lavorando durante i sette anni di volontariato assieme alla Fleming e alla Cannon) confrontava la dimensione delle sue variabili con quella di alcune stelle presenti in ciascuna lastra, il cui valore della luminosità era già stato misurato con un’ottima precisione. Si trattava di un lavoro tedioso, che doveva essere svolto con la massima attenzione e accuratezza per contenere gli errori sulle misure entro il minimo valore possibile, ma che a Henrietta sembrava non pesare affatto, forse anche perché, essendo stata cresciuta in una famiglia estremamente religiosa, era abituata a uno stile di vita improntato al rigore e all’austerità.

Sarebbe errato, tuttavia, pensare che Henrietta fosse una persona grigia e poco socievole. Nonostante la sordità rendesse le sue interazioni con gli altri non proprio facili, la sua bontà e gentilezza d’animo riuscivano comunque a emergere e a farsi spazio. A questo proposito, molto significative e toccanti sono le parole con cui Solon Irvin Bailey, astronomo di Harvard e direttore della Stazione Osservativa di Arequipa fra il 1892 e il 1919, l’avrebbe ricordata, in occasione della sua prematura scomparsa: «She had the happy faculty of appreciating all that was worthy and lovable in others, and was possessed of a nature so full of sunshine that, to her, all of life became beautiful and full of meaning» (Bailey 1922, p. 197).