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La possibilità di avere tutti gli spettri registrati su lastra avrebbe reso la classificazione molto meno faticosa e più precisa, in quanto essi avrebbero potuto essere esaminati più volte e tutto questo sarebbe potuto avvenire con calma durante il giorno e non al freddo, nel corso di una stessa notte, come aveva dovuto fare padre Secchi. L’utilizzo delle lastre come rivelatori avrebbe, inoltre, consentito di conservare tutto il materiale relativo alle osservazioni, che sarebbe rimasto, per così dire, a disposizione per eventuali revisioni future, a opera di altre “donne computer” o di altri astronomi. Infine, particolare affatto trascurabile, il segnale registrato sulla lastra sarebbe stato molto più forte, per effetto del tempo di esposizione, all’epoca dell’ordine di alcune ore, che avrebbe permesso di raccogliere molta più luce di quanto poteva fare l’occhio dell’astronomo attraverso l’oculare.
Williamina non avrebbe tradito le aspettative del suo direttore, classificando pazientemente ben 10.000 spettri di stelle che, nel 1890, avrebbero costituito la prima versione dell’Henry Draper Catalogue of Stellar Spectra.

Nel classificare quell’ingente quantità di stelle, la Fleming non aveva seguito pedissequamente la strada aperta da padre Secchi, ma aveva avuto un’idea diversa e originale, ovvero quella di ordinarle in funzione della decrescente dominanza delle righe di assorbimento dell’idrogeno nei loro spettri e aveva pertanto raggruppato nella classe A le stelle per cui tali righe erano molto più intense e via via, nelle classi successive, seguendo l’ordine alfabetico, le stelle in cui le righe dell’idrogeno si facevano sempre più flebili, fino a scomparire del tutto.

Alcuni anni dopo la pubblicazione del catalogo degli spettri stellari, intitolato a Henry Draper, e più precisamente nel 1896, Pickering avrebbe assunto come propria assistente Annie Jump Cannon che, a differenza delle altre “donne computer”, aveva una formazione specifica in matematica, fisica e astronomia. La Cannon, che, come la Leavitt, era divenuta sorda a causa di una malattia contratta in giovane età, avrebbe deciso non solo di proseguire il lavoro iniziato da Williamina, ma anche di rivedere la classificazione, eliminando tutte le classi che le sarebbero parse ridondanti. La Cannon avrebbe, inoltre, cambiato l’ordine delle classi, mettendo al primo posto quella in cui la distribuzione della luce delle stelle mostrava il massimo della propria intensità nella regione più blu dello spettro e all’ultimo posto la classe in cui il massimo dell’intensità luminosa cadeva, invece, in corrispondenza della regione più rossa. Fra queste due classi, la O e la M, si sarebbero trovate le stelle che mostravano il massimo della loro distribuzione di luce nelle regioni dello spettro, che si spostavano progressivamente dalla parte blu verso la parte rossa, producendo la ben nota sequenza O, B, A, F, G, K e M che viene utilizzata ancora oggi e di cui si può afferrare il senso solamente conoscendone l’origine.

Annie Cannon non sapeva che aveva riordinato le stelle, appartenenti a quelle che aveva ritenuto essere le classi non ridondanti di Williamina Fleming, in funzione decrescente della loro temperatura superficiale, ma nel giro di poco tempo, grazie alla teoria sull’emissione di radiazione sviluppata da Max Planck, sarebbe risultato chiaro che le stelle blu, come sono le O, sono più calde delle stelle gialle, come è il Sole, che appartiene alla classe G, e delle stelle M, che sono le più rosse, oltre che le più fredde. Le temperature superficiali tipiche delle stelle O superano, infatti, facilmente i 30.000 K, mentre quelle delle stelle G si aggirano attorno ai 5.000 K e quelle delle stelle M sono invece dell’ordine di 2.000 K.

Negli anni successivi, la Cannon avrebbe continuato a esaminare gli spettri delle stelle e a classificarle e nel 1924 il catalogo Henry Draper (noto come HD) avrebbe raggiunto il ragguardevole primato di 225.300 stelle, distribuite su tutto il cielo. Al telescopio, che la vedova di Henry Draper aveva voluto finanziare, intestandolo alla memoria del marito, sarebbe stato affiancato infatti, a partire dal 1890, un altro telescopio, che l’Harvard College avrebbe fatto edificare ad Arequipa, una cittadina situata a 2.400 metri di altezza sulle Ande, in Perù, per poter estendere la classificazione spettrale delle stelle anche alle regioni visibili solo dall’emisfero australe. Proprio da questo rifrattore, che con la sua lente di 61 cm di diametro poteva essere considerato “un gigante”, proveniva anche il materiale fotografico, che Pickering aveva dato a Henrietta Leavitt nel 1895, quando le aveva affidato il noioso compito di identificare le stelle variabili nelle due Nubi di Magellano.

Queste ultime sono due galassie di forma irregolare molto vicine alla nostra, che appaiono a occhio nudo come due piccole nubi (Fig. 12). In realtà, la più vicina a noi (160.000 al circa) è un po’ più grande dell’altra (distante dal Sole all’incirca 200.000 al) e per questa ragione viene chiamata “Grande Nube di Magellano”, mentre l’altra, di conseguenza, è detta “Piccola Nube di Magellano”. A intitolarle al grande navigatore portoghese (il cui “vero” nome era Fernão de Magalhães e che non riuscì a portare a termine la prima circumnavigazione del globo, perché fu ucciso, nel 1521, in seguito a una sommossa scoppiata in un’isola dell’arcipelago delle Filippine) fu Antonio Pigafetta che faceva parte della spedizione e, nel 1524, nel libro intitolato Relazione del primo viaggio intorno al mondo avrebbe attribuito a Magellano l’avvistamento delle due “nubi” nel cielo meridionale.

Fig. 12. Una suggestiva immagine delle due nubi di Magellano, ottenuta il 28 gennaio 2007 dal Professor Miloslav Druckmüller (dell’Università di Brno, Repubblica Ceca) nel cielo della Patagonia in Argentina. Sotto le Nubi è ben visibile la Grande Cometa del 2007 (C/2007 P1), scoperta dall’astronomo Robert H. McNaught, in Australia, il 7 agosto 2006. Sulla sinistra, infine, si può vedere una porzione della Via Lattea entro cui risaltano alcune zone scure dovute alla presenza di polvere.

Per la verità, le due “nubi” erano già state notate da Amerigo Vespucci, durante il suo quarto viaggio, avvenuto tra il 1503 e il 1504, ma il primo in assoluto che aveva menzionato la Grande Nube era stato l’astronomo persiano ‘Abd al-Rahmān al-Ṣūfi, vissuto diversi secoli addietro. Nel suo manoscritto del 964, intitolato Le stelle fisse, egli aveva dato alla Grande Nube il nome di Al Bakr, ovvero il “Bue Bianco” e affermato che non era visibile da Baghdad, la città in cui egli viveva, ma soltanto da coloro che abitavano nelle zone più meridionali della penisola arabica. Le Nubi di Magellano sono, infatti, molto prossime al polo sud celeste e quindi la loro osservabilità, che dipende dalla loro altezza nel cielo, è ottima nelle regioni dell’emisfero australe, in cui entrambe risultano circumpolari per le zone che hanno latitudine inferiore a -20°. Le Nubi si riescono a vedere, seppure basse sull’orizzonte, anche dalle regioni dell’emisfero boreale prossime all’equatore.

Quando Pickering chiese alla Leavitt di identificare le stelle variabili nelle due Nubi di Magellano, non se ne conosceva ancora la reale natura e tutti erano convinti che si trattasse di nebulose, composte da stelle, appartenenti alla nostra galassia. Del resto, anche la natura delle stelle variabili (che, come dice il termine stesso, sono stelle la cui luminosità cambia nel tempo) era del tutto sconosciuta. Si distinguevano genericamente le stelle che mostravano una variazione improvvisa, le Novae, da quelle la cui variazione era ciclica, regolare e meno ampia in luminosità. Nessuno era a conoscenza dell’esistenza delle Supernovae che, quando comparivano, erano ritenute essere delle Novae, ossia stelle che si rendevano visibili dal nulla, o meglio, da stelle talmente deboli da risultare invisibili non soltanto a occhio nudo, ma molto spesso anche attraverso un telescopio. Nessuno conosceva il meccanismo che era alla base della variazione di luminosità delle Cefeidi, stelle così chiamate per la loro somiglianza nella variabilità (una salita molto rapida dal minimo verso il massimo di luce seguita da una discesa molto più lenta) alla prima stella di questo tipo, Delta Cephei, che era stata identificata più di 100 anni prima. A scoprire la variabilità della quarta stella in ordine di luminosità della costellazione del Cefeo, era stato John Goodricke, un giovane inglese di nobili origini, anch’egli divenuto sordo, in seguito a una serie di malattie, tra cui anche la temibile scarlattina, che aveva contratto nella primissima infanzia.

Il giovane, nato nel 1764, era un appassionato scrutatore del cielo e aveva notato una variazione apprezzabile della luminosità di Delta Cephei, nel corso di diverse notti. Per questa ragione, aveva deciso di osservarla regolarmente, tra il 19 ottobre e il 28 dicembre del 1784 e anche durante i primi mesi dell’anno successivo. A seguito di quella lunga serie di osservazioni, era riuscito a stabilire l’entità della variazione in luminosità e l’esatto periodo, che aveva trovato essere pari a 5 giorni e 20 ore e, qualche mese dopo, nel giugno del 1785, aveva annunciato con una lettera il suo risultato alla Royal Society.

Per effetto di questo lavoro e anche di un’ipotesi che Goodricke aveva sviluppato, nel 1783 (a soli 19 anni), per interpretare la variabilità della stella Algol (nota anche come Beta Persei) e che gli era valsa, nello stesso anno, l’assegnazione della medaglia Copley dalla Royal Society, il 16 aprile del 1786 i membri della prestigiosa istituzione scientifica inglese si espressero a favore della sua ammissione. Sfortunatamente, Goodricke non venne mai a conoscenza di questo importante riconoscimento, perché morì quattro giorni dopo, il 20 aprile del 1786, a causa di una polmonite, che aveva contratto a seguito delle lunghe esposizioni al freddo delle notti inglesi.