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Il primo satellite di Saturno (Titano) era stato scoperto da Huygens più di 100 anni prima, nel 1655, e tra il 1671 e il 1684 Giovanni Domenico Cassini ne aveva identificati altri quattro (Giapeto, Rea, Teti e Dione). Herschel, invece, col suo grande telescopio, una ventina di giorni dopo aver scoperto la “sesta Luna” di Saturno (Encelado), il 17 settembre del 1789 avrebbe identificato anche la settima (Mimas). I sette satelliti noti di Saturno sarebbero rimasti tali per più di 50 anni e i nomi con cui li conosciamo oggi sarebbero stati suggeriti da John Herschel, il figlio che Wilhelm avrebbe avuto dalla moglie nel 1792 e che sarebbe divenuto, anch’egli, un astronomo.

Per 50 anni, il telescopio di Herschel sarebbe stato il più grande del mondo. Ammirato e glorificato come una meraviglia della scienza, sarebbe stato riprodotto in forma di disegno su diversi libri e giornali e anche su alcune medaglie. Il suo artefice, tuttavia, lo avrebbe usato di rado, preferendogli, per le osservazioni, quello molto più piccolo che, con i suoi 48 cm di diametro dello specchio e la lunghezza focale1Dal Glossario: Lunghezza focale o distanza focale – In un telescopio è la distanza tra l’obiettivo (nel caso di un rifrattore) o lo specchio (nel caso di un riflettore) e il punto (il fuoco) in cui converge la luce. di 6 m (noto come il 20 piedi2Dal Glossario: Piede – Unità di misura di lunghezza adottata dagli inglesi (e nei paesi di cultura anglosassone) che non seguono il sistema metrico decimale. Il piede, foot, che viene utilizzato per indicare le lunghezze focali dei telescopi, corrisponde a 30,1 cm.), gli aveva consentito di scoprire, l’11 gennaio del 1787, i primi due satelliti di Urano, i cui nomi, Titania e Oberon, sarebbero stati suggeriti, anche in questo caso, dal figlio John.

Il grande telescopio di Herschel era troppo ingombrante e il suo utilizzo risultava pertanto poco agevole. Inoltre, particolare affatto trascurabile, la qualità ottica delle sue immagini era peggiore di quella del 20 piedi, perché lo specchio di 1,20 m di diametro era troppo pesante e, quando non si trovava in una posizione esattamente verticale, veniva deformato dal suo stesso peso e le immagini risultavano distorte.
Wilhelm continuò quindi a cercare, col 20 piedi, nuovi oggetti dall’aspetto nebulare in cielo, aggiungendo, nel 1789, a quel suo primo catalogo, che ne conteneva 1.000 e che aveva pubblicato nel 1786, un catalogo che ne raddoppiava il numero e un altro ancora, che nel 1802 ne avrebbe elencati ulteriori 500, portando così a2.500 il numero totale delle nuove nebulose. Sarebbe stato John a controllare, assieme alla zia Caroline, l’elenco delle nebulose scoperte dal padre e Caroline avrebbe pubblicato il catalogo revisionato nel 1828, quando il fratello (che nel 1816 era stato insignito del titolo di baronetto per meriti scientifici) era spirato da sei anni.

Il lavoro sulle nebulose sarebbe valso a Caroline la medaglia d’oro della Royal Society e, sette anni dopo, l’ammissione alla prestigiosa istituzione, in qualità di socia onoraria, prima donna nella storia a ottenere (assieme a Mary Sommerville, matematica scozzese) un riconoscimento così importante.
Le ostilità tra Caroline e la cognata si erano protratte per una decina di anni, fino al 1798, anno in cui Caroline aveva presentato alla Royal Society la revisione del catalogo stellare, che era stato pubblicato nel 1714 da John Flamsteed, il primo astronomo reale dell’Osservatorio di Greenwich. Il catalogo conteneva 3.000 stelle e Caroline lo aveva controllato e corretto con grande precisione, fondandosi sull’enorme mole di dati che aveva ottenuto durante le lunghe campagne osservative compiute assieme al fratello. Come segno tangibile dell’avvenuta riappacificazione, Mary Baldwin Pitt aveva deciso di affidare alla cognata l’educazione del figlio John che, non a caso, sarebbe divenuto, in seguito, un astronomo.

John Herschel avrebbe condotto (a partire dal 1834, dall’Osservatorio Reale di Città del Capo, in Sudafrica, che era stato edificato nel 1820) la prima campagna sistematica di osservazioni relative all’emisfero meridionale, giungendo a identificare 2.307 nebulose e 2.107 stelle doppie. Avrebbe poi inserito i dati relativi alle nebulose meridionali nel catalogo, che la zia Caroline aveva pubblicato nel 1828 e che conteneva le 2.500 nebulose del cielo nord identificate da suo padre, realizzando così, nel 1864, il General Catalogue of Nebulae and Clusters, primo catalogo della storia a essere esteso su tutto il cielo. Attingendo prevalentemente ai dati inclusi in esso, l’astronomo danese John Dreyer avrebbe realizzato, una ventina di anni dopo, il New General Catalogue, i cui oggetti, 7.840 in totale, sono identificati dalla sigla NGC, seguita da un numero progressivo, legato alla loro posizione in cielo. Anche il catalogo di Dreyer avrebbe incluso tra gli oggetti di aspetto nebulare quelli appartenenti alla nostra galassia e quelli esterni, essendo all’epoca ancora del tutto sconosciuta la natura extragalattica di alcune nebulae: M31 e M110, ad esempio, sono identificate come NGC224 e NGC205, al pari delle quattro nebulose planetarie, che costrinsero Herschel a mutare la propria convinzione sulla natura stellare delle nebulae. Una di queste, M76, avrebbe avuto nel catalogo di Dreyer due diversi identificatori (NGC650 e NGC651), riprendendo proprio un suggerimento di Wilhelm Herschel che, nella particolare forma simmetrica che contraddistingue tale nebulosa, aveva indicato la possibilità che potesse trattarsi di un oggetto doppio. Anche M1, ovviamente, sarebbe stato incluso nel catalogo di Dreyer, non più al primo posto, ma come NGC1952, per effetto della sua posizione nel cielo.

Tornando a John Herschel, a lui sarebbe toccato anche l’ingrato compito di demolire il grande telescopio realizzato da suo padre, che dal 1815 era rimasto totalmente inutilizzato ed era divenuto un’attrazione turistica. Terrorizzato all’idea che un pezzo di ferro, corroso dalla ruggine, potesse cadere in testa a un visitatore e ucciderlo, John si era visto costretto a prendere quella difficile decisione.
Nel 1840, alla presenza di John Herschel e a seguito di una piccola cerimonia commemorativa, il grande telescopio di Wilhelm venne definitivamente smantellato. A testimonianza della sua gloriosa esistenza, restano oggi soltanto lo specchio, conservato al Museo della Scienza di Londra, e un pezzo del tubo, entro cui lo specchio era alloggiato, visibile nel giardino dell’Osservatorio di Greenwich.

Appena cinque anni dopo quella cerimonia, un nobile inglese, William Parsons conte di Rosse, noto anche come Lord Rosse, appassionato di astronomia, sarebbe riuscito a realizzare, con l’aiuto della moglie, Mary Field, quello che fino al 1917 sarebbe stato il telescopio più grande del mondo, nei pressi del suo castello di Birr, cittadina dell’Irlanda, situata circa 150 km a ovest di Dublino. L’Irlanda non aveva ancora conquistato la propria indipendenza dall’Inghilterra e quindi il telescopio più grande del mondo era, a tutti gli effetti, “inglese”. Con questo strumento, che a causa delle sue dimensioni considerate all’epoca colossali – specchio di 1,80 m di diametro e lunghezza focale di 18 m – sarebbe stato soprannominato il “Leviatano”, volendo alludere con tale termine al mostro biblico, Lord Rosse avrebbe visto, per primo, il disegno a spirale in alcune nebulae (Fig. 8).

Fig. 8. La galassia a spirale M51, come disegnata da Lord Rosse nel 1845 (a sinistra) e osservata nel 2005 (a destra) in quattro diversi colori, con l’Advanced Camera for Surveys di Hubble Space Telescope (Courtesy of NASA, ESA, S. Beckwith – STScI, and The Hubble Heritage Team – STScI/AURA). Messier non riuscì a distinguere le due galassie e indicò con la sigla M51 l’intero complesso, costituito da una coppia di galassie (NGC5194 e NGC 5195) gravitazionalmente legate e in forte interazione.

La presenza di tale disegno, non visibile senza l’ausilio del telescopio, sarebbe stata uno dei punti di forza di quanti, una settantina di anni dopo, avrebbero sostenuto la natura extragalattica di quel genere di nebulose.

Lord Rosse avrebbe osservato molti oggetti del catalogo di Messier, di cui le nebulose col disegno a spirale rappresentano soltanto una piccola parte, 27 in totale, riproducendo su carta tutti i dettagli che sarebbe stato in grado di identificare col suo telescopio. Di questo immane lavoro restano, oltre ai suoi disegni autografi, recanti sia la data sia i commenti, due soprannomi (utilizzati tuttora dagli astronomi) che egli volle dare a un paio di oggetti, per la somiglianza che vide con due animali: la Nebulosa del Gufo, M97, e la Nebulosa del Granchio, M1. La prima è una delle quattro nebulose planetarie incluse nel catalogo di Messier ed effettivamente, se osservata con un telescopio di medie dimensioni (quale è considerato oggi il “Leviatano” di Lord Rosse), mostra una buona somiglianza con il rapace notturno (Fig. 9).

Fig. 9. M97, la nebulosa del Gufo, nel disegno di Lord Rosse del 1845 (a sinistra) e ripresa col telescopio da 90 cm (a destra) del Kitt Peak National Observatory in Arizona (Courtesy of NOAO/AURA/NSF).

La seconda, invece, è il primo oggetto elencato da Charles Messier e l’unico resto di Supernova contenuto nel suo catalogo. In questo caso, la somiglianza con un granchio è molto discutibile (Fig. 10) e, oltretutto, quello che genera confusione, a chi non conosce l’origine del soprannome, è il motivo per cui la Nebulosa del Granchio, invece di trovarsi nell’omonima costellazione, il Cancro, sia localizzata in quella del Toro.

Fig. 10. La nebulosa del Granchio, M1, in un disegno di Lord Rosse del 1844, precedente l’ultimazione del Leviatano, che riproduce quanto egli riuscì a vedere attraverso il telescopio da 90 cm (di propria realizzazione). A destra, la nebulosa ripresa (in tre diversi colori) da FORS2, uno degli strumenti montati al telescopio UT1 dell’ESO (Courtesy of ESO) avente uno specchio del diametro di 8,2 m. Assieme ad altri tre telescopi “gemelli”, UT1 fa parte della struttura nota come VLT (Very Large Telescope) localizzata al Cerro Paranal, nella parte più settentrionale del deserto di Atacama, in Cile.

Lord Rosse non poteva avere idea di cosa fosse una Supernova, né, tanto meno, del fatto che il granchio, che a lui pareva di aver visto col suo telescopio, fosse quello che restava di un fenomeno che corrisponde all’esplosione di una stella. La misura della velocità, pari a circa 1.500 km/s, con cui tuttora continua a espandersi il gas, che un tempo apparteneva alla stella e che risulta visibile sotto forma di filamenti luminosi – quelli che Lord Rosse volle assimilare alle zampe di un granchio – aventi una temperatura tipica di 20.000 gradi Kelvin (K)3Dal Glossario: Gradi Kelvin – Si tratta di una scala per le temperature che fu suggerita a metà dell’Ottocento dal fisico britannico William Thomson, noto ai più come Lord Kelvin (titolo nobiliare di cui venne insignito per i suoi meriti scientifici). Lord Kelvin desiderava che lo zero della scala delle temperature non corrispondesse al “punto triplo” dell’acqua (come accade per la scala Celsius), ma avesse un significato intimamente connesso con la termodinamica. Lo zero della scala Kelvin, detto anche “zero assoluto”, rappresenta infatti il limite di temperatura minima raggiungibile da un corpo e corrisponde a -273,15 °C (gradi Celsius)., avrebbe consentito, in seguito, di stimare la data dell’evento esplosivo. Tale valore avrebbe trovato conferma nelle annotazioni degli astronomi cinesi, che il 4 luglio del 1054 registrarono l’apparizione di una nuova stella, talmente luminosa da risultare visibile per più di 20 giorni nel cielo diurno e per più di 600 in quello notturno.

Incomprensibilmente, invece, in Europa non è stata reperita alcuna annotazione relativa a un fenomeno così spettacolare, come deve essere stata l’esplosione della Supernova nella Nebulosa del Granchio e a tutt’oggi non se ne comprendono le ragioni. Si ipotizza che possa essersi trattato di una forma di censura autoinflitta, in un periodo in cui sarebbe stato impensabile dover mettere in discussione l’immutabilità dei cieli, oppure che la vicinanza temporale tra il fenomeno e l’avvio del Grande Scisma (la prima grande divisione in seno alla Chiesa, tra i cristiani d’oriente e d’occidente, avvenuta il 16 luglio 1054), abbia fatto interpretare l’evento come un segno divino premonitore di chissà quali tragedie sulla Terra, suscitando, di conseguenza, un timore e un rispetto quasi reverenziale, che ne avrebbero impedito finanche la registrazione. Nessuna di queste due ipotesi, tuttavia, pare soddisfacente e il motivo della mancata annotazione dell’evento resta, pertanto, tuttora avvolto nel mistero.

All’interno di M1, la Nebulosa del Granchio, rimane anche il residuo dell’esplosione della Supernova, una stella di neutroni, ovvero un oggetto molto compatto, che non raggiunge i 30 km di diametro, costituito da neutroni letteralmente “impacchettati” gli uni sugli altri, che producono una densità difficilmente concepibile, poiché dell’ordine di un centinaio di milioni di tonnellate per centimetro cubo. Impossibile vedere un oggetto siffatto, perché è troppo piccolo e non emette luce, ma la sua presenza, tuttavia, si rivela a noi attraverso l’emissione di un segnale radio pulsato, che ha un periodo di 33 millesimi di secondo.

Tornando al 1840, Caroline, che aveva lasciato l’Inghilterra da diversi anni, non assistette alla rimozione del grande telescopio di Wilhelm. Scomparso il fratello, aveva deciso di rientrare ad Hannover, dove aveva ottenuto molti riconoscimenti per la sua attività scientifica ed era considerata una celebrità.

Proprio nell’anno in cui venne smantellato il grande telescopio, Caroline compì 90 anni e in tale occasione ricevette dal Re di Prussia la medaglia d’oro per la Scienza. Sette anni dopo, i Principi ereditari la vollero omaggiare con una visita e lei, dopo averli intrattenuti, conversando per un paio di ore, cantò in loro onore una composizione del fratello. Meno di un anno dopo, avrebbe lasciato questo mondo, mancando per un soffio il ragguardevole traguardo dei 98 anni.