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Friedrich Wilhelm – questo era il suo vero nome – era nato il 15 novembre del 1738 in Germania, e più precisamente ad Hannover, all’epoca uno dei nove Elettorati del Sacro Romano Impero. La sua era una famiglia modesta: il padre Isaac suonava nella banda della fanteria hannoveriana, di cui faceva parte, e lo stesso destino sarebbe spettato anche a Wilhelm, che dal padre aveva appreso tutte le nozioni della musica, se nel 1756 non fosse scoppiata la Guerra dei Sette Anni, un conflitto che avrebbe coinvolto molti paesi d’Europa e in cui finanche alcuni dei frammenti di quanto restava del Sacro Romano Impero (come, ad esempio, gli elettorati di Hannover e di Sassonia) si sarebbero trovati a combattere su schieramenti opposti. Per evitare di essere chiamato alle armi, il giovane Wilhelm fuggì in Inghilterra e, giunto a Bath, si fece rapidamente apprezzare per le sue doti di violinista, suonatore di oboe e compositore. Iniziò, inoltre, a dare lezioni private e svolse anche l’attività di direttore d’orchestra. L’astronomia, però, era la sua vera passione e una ventina di anni dopo, nel 1773, decise di iniziare a studiarla come autodidatta. Riuscì talmente bene in questa impresa che l’anno successivo fu già in grado di realizzare due piccoli telescopi: un “newtoniano” e un “gregoriano”. In realtà, il “newtoniano” realizzato da Wilhelm non era esattamente aderente allo schema di chi lo aveva ideato.

Con l’intenzione di migliorare la qualità ottica delle immagini, egli infatti aveva sostituito lo specchio sferico, che provocava una distorsione scientificamente nota col termine di “aberrazione sferica”, con uno specchio dalla forma parabolica e poi, inclinando lievemente quest’ultimo, era riuscito a far convergere direttamente la luce riflessa dal primario verso l’oculare, posizionato lateralmente al telescopio e vicino alla sommità del tubo, analogamente a quanto accadeva per il newtoniano classico. La leggera inclinazione del primario aveva permesso a Herschel di non dover utilizzare uno specchio secondario e questa modifica aveva reso il suo telescopio più potente, sia perché aveva eliminato l’ostruzione, seppure minima, provocata dalla presenza di uno specchio, posto entro il fascio di luce diretto al primario, sia perché la riflessione, operata dal secondario, provocava inevitabilmente una perdita di luce.

Un paio di anni prima che Wilhelm cominciasse a dedicarsi allo studio dell’astronomia, lo aveva raggiunto a Bath la sorella Caroline, riuscita miracolosamente a sopravvivere al tifo, che l’aveva colpita quando aveva 10 anni. La mortalità infantile, a quell’epoca, era estremamente elevata e non aveva risparmiato nemmeno la famiglia di Isaac Herschel: quattro dei suoi dieci figli non erano, infatti, riusciti a raggiungere l’età adulta. Caroline, invece, con grande sorpresa di tutti era guarita, anche se era rimasta fisicamente lesa dalla malattia, e compiuti i 21 anni aveva deciso di andare a vivere presso il fratello. Questi, che a quel tempo si dedicava ancora integralmente alla musica, non aveva voluto impiegare la sorella esclusivamente nelle faccende domestiche, come era costume dell’epoca, ma le aveva insegnato a leggere la musica e a cantare e aveva anche fatto in modo che potesse esibirsi in pubblico, diverse volte, sotto la sua direzione. Quando, due anni dopo, decise di dedicare una buona parte del suo tempo all’astronomia, pensò di coinvolgere anche Caroline e iniziò, pertanto, a insegnarle la matematica e la trigonometria sferica.

Caroline cominciò quindi la sua attività di astronoma, affiancando il fratello nelle osservazioni, e all’inizio il suo contributo si limitò nell’annotare scrupolosamente tutto quello che Wilhelm vedeva al telescopio. Poi, col trascorrere del tempo, si fece sempre più esperta e riuscì addirittura ad aiutarlo nella costruzione degli strumenti.
Le osservazioni di Wilhelm erano iniziate nell’autunno del 1774, quando, col newtoniano modificato che si era costruito da solo e il cui specchio primario non raggiungeva gli 8 cm di diametro, aveva visto per la prima volta Saturno, rimanendone completamente affascinato. Aveva deciso, quindi, di costruire altri due telescopi, dotati di specchi primari di maggiori dimensioni, rispettivamente di 16 e 48 cm circa, capaci, pertanto, di raccogliere molta più luce di quanto potesse fare il primo.

Dalle annotazioni di Caroline risulta che il 16 e il 48 cm erano già operativi nel giardino della loro casa di Bath dall’inizio dell’estate del 1776. L’anno successivo, i fratelli si trasferirono in una nuova casa, sempre a Bath e dotata anch’essa di un giardino in cui poter collocare i telescopi. Per quattro anni, avrebbero dedicato tutte le notti di bel tempo alle osservazioni, coinvolgendo, nel ruolo di assistenti, anche alcuni degli studenti, a cui Wilhelm continuava a impartire, durante il giorno, le lezioni di musica. Con i suoi due telescopi, Wilhelm poté verificare la rotazione di Marte e di Giove e misurare l’altezza dei monti della Luna.
L’astronomo tedesco nutriva, però, un grande sogno: desiderava vedere, nello spostamento delle stelle, il riflesso del moto della Terra attorno al Sole, per poter provare così definitivamente la veridicità del modello eliocentrico.

Riteneva, erroneamente, che le stelle avessero tutte la stessa luminosità intrinseca e apparissero più o meno luminose in dipendenza dalla loro distanza dalla Terra. Più le stelle sono vicine alla Terra e, di conseguenza anche al Sole, maggiore risulta l’ampiezza del percorso che compiono annualmente in cielo, in riflesso di quello che la Terra compie attorno al Sole (Fig. 3) 1Fig. 3. Il moto annuale apparente nel cielo di due stelle (D e C) aventi diversa distanza dal Sole (A). La Terra (B) orbita attorno al Sole (A) e tale movimento si riflette nelle stelle in modo tanto più ampio (maggiore per C che per D) quanto più queste sono vicine al sistema Terra-Sole. Le stelle più lontane (E) appaiono, invece, ferme. L’angolo p, indicato nella figura corrisponde a metà dello spostamento angolare totale (mostrato dalle stelle D e C) e, in termini tecnici, è detto “parallasse annuale”. La figura non è in scala: l’angolo p in realtà è estremamente piccolo., e le stelle che apparivano più luminose erano per Herschel le candidate ideali per la rilevazione di uno spostamento, che l’utilizzo del telescopio avrebbe reso facilmente misurabile.

Le stelle deboli, invece, in quanto più lontane, avrebbero dovuto fungere da riferimento “fisso” rispetto al quale misurare lo spostamento delle stelle luminose. Quest’ultimo sarebbe stato comunque molto piccolo e, per poterlo misurare con una buona precisione, era necessario che la stella debole di riferimento si trovasse molto prossima, sulla volta celeste, alla stella luminosa.
Per questa ragione, Herschel si era messo letteralmente a caccia di deboli compagne di stelle luminose e la sera del 13 marzo del 1781, mentre col più piccolo dei suoi telescopi, quello che aveva un diametro di quasi 16 cm e una lunghezza focale2Dal Glossario: Lunghezza focale o distanza focale – In un telescopio è la distanza tra l’obiettivo (nel caso di un rifrattore) o lo specchio (nel caso di un riflettore) e il punto (il fuoco) in cui converge la luce. di poco più di 2 m (ed era noto come il 7 piedi3Dal Glossario: Piede – Unità di misura di lunghezza adottata dagli inglesi (e nei paesi di cultura anglosassone) che non seguono il sistema metrico decimale. Il piede, foot, che viene utilizzato per indicare le lunghezze focali dei telescopi, corrisponde a 30,1 cm.), stava ispezionando la regione prossima alla stella Eta Geminorum, ossia la settima stella in ordine di luminosità della costellazione dei Gemelli, si accorse della presenza di una stella insolita e abbastanza luminosa. Sospettato immediatamente che potesse trattarsi di una cometa (come si può evincere dal brano riportato all’inizio del capitolo), iniziò a osservarla notte dopo notte e, avendone verificato e misurato gli spostamenti, il 26 aprile del 1781 decise di annunciare la scoperta di quella nuova cometa, per la quale scelse anche il nome di Georgium sidus, in onore del re Giorgio III d’Inghilterra.

Il calcolo accurato dell’orbita, effettuato alcuni mesi dopo, avrebbe mostrato che non si trattava di una cometa, ma di un nuovo pianeta. Questo, tuttavia, importava poco, anzi, il fatto che Wilhelm avesse casualmente scoperto un corpo celeste che, in virtù della sua distanza da Saturno, aveva raddoppiato le dimensioni del Sistema Solare, aumentò enormemente la sua fama.

Wilhelm propose il nome di Georgian Planet, ma nessuno volle adottarlo al di fuori dell’Inghilterra e così, per i 70 anni successivi, il pianeta avrebbe avuto nomi diversi nei vari paesi. Soltanto nel 1850 si sarebbe raggiunto l’accordo sul nome, che l’astronomo tedesco Johann Elert Bode, all’epoca ormai defunto da 24 anni, aveva suggerito molto tempo prima e che permetteva di associare ai tre grandi pianeti del Sistema Solare, Giove, Saturno e Urano, una sequenza di carattere genealogico. Re Giorgio III, che vantava origini tedesche, appartenendo alla casa reale degli Hannover, fu talmente felice della scoperta del nuovo pianeta che decise di assegnare a Wilhelm uno stipendio fisso, che gli consentisse di abbandonare definitivamente la remunerativa attività di musicista, per dedicarsi integralmente all’astronomia. L’unica condizione che aveva posto all’astronomo era che si trasferisse da Bath a Slough, una cittadina localizzata 5 km a nord di Windsor, in quanto da quest’ultima (che era una delle tante residenze reali) il sovrano avrebbe avuto modo di assistere, con la sua corte, alle osservazioni, ogni volta che lo avesse desiderato. Il trasferimento a Slough di Wilhelm e Caroline sarebbe avvenuto nella primavera del 1786 e, prima di allora, Wilhelm avrebbe continuato a lavorare intensamente al suo progetto di ricerca delle stelle doppie, caratterizzate da luminosità molto diverse, lo stesso che gli aveva fatto scoprire casualmente l’esistenza del pianeta Urano. In seguito a questo lavoro, avrebbe pubblicato, nel 1782, un catalogo contenente le posizioni e le luminosità di 269 coppie di stelle, a cui, due anni dopo, ne avrebbe aggiunto un altro, contenente le stesse informazioni, per altre 474 coppie.

Nel cercare delle stelle luminose che fossero apparentemente prossime a stelle molto più deboli, Herschel non aveva potuto fare a meno di notare che, oltre alle coppie, esistevano innumerevoli sistemi, composti da cinque o sei stelle estremamente vicine tra loro e aventi luminosità che potevano essere anche molto diverse. Non gli era parso plausibile che tutti quei sistemi potessero originarsi da un semplice effetto di proiezione e così aveva pensato, correttamente, che quei gruppetti di stelle dovessero essere tenuti assieme dalla stessa forza che Newton aveva mostrato essere in azione sia sulla Terra sia nel Sistema Solare. La conseguenza di quel ragionamento lo portò a dover ammettere che le stelle che apparivano molto più luminose delle altre non erano più vicine a noi di quanto lo fossero le stelle più deboli e che la differenza in luminosità dovesse essere intrinseca e non indotta da una differenza in distanza, come aveva erroneamente ritenuto in precedenza.

Wilhelm fu così costretto a rassegnarsi all’idea che non sarebbe mai riuscito a realizzare il sogno di misurare lo spostamento annuale delle stelle, perché quelle che egli aveva ritenuto più vicine alla Terra, in quanto più luminose, erano probabilmente alla stessa distanza delle stelle deboli di riferimento, essendo parte con esse di un sistema legato gravitazionalmente. Capì, inoltre, il motivo per cui non era mai riuscito a misurare tale spostamento: la distanza delle stelle doveva essere talmente grande da impedire al riflesso del moto della Terra di essere rilevato con la strumentazione dell’epoca.

Tuttavia, l’aver osservato che le stelle non erano distribuite uniformemente nello spazio, a differenza di quanto aveva erroneamente ipotizzato, ma costituivano dei gruppetti intervallati da regioni vuote, portò Wilhelm a comprendere che, in analogia con quanto facevano i pianeti, anche le stelle dovessero muoversi per contrastare la forza di gravità, che in assenza di un loro moto, le avrebbe fatte precipitare le une sulle altre. Pensò quindi che non c’era motivo per ritenere che il Sole non dovesse essere parte di un gruppo di stelle e pertanto soggetto anch’esso a un movimento.

Grazie a questa intuizione, si adoperò per identificare la direzione verso cui si stava dirigendo il Sole cercandone “il riflesso” nel moto di una sessantina di stelle luminose e nel 1783 individuò un punto, che chiamò apex e che incredibilmente è abbastanza vicino alla posizione individuata oggi, con misure molto più precise e su campioni di stelle molto più grandi, per “l’apice solare”.
Quello che Herschel, tuttavia, non aveva potuto immaginare era che il moto del Sole verso l’apice era dovuto a qualcosa di molto più grande, rispetto a quanto egli aveva ritenuto: non si trattava di un movimento dovuto alla dinamica interna di un piccolo sistema di stelle, di cui il Sole avrebbe dovuto far parte, ma di una rotazione attorno al centro della galassia, che coinvolgeva, con velocità diverse – più rapide per le stelle più vicine al centro e più lente per quelle più lontane – tutte le stelle che appartenevano al “disco” della galassia. Essendo quest’ultimo la regione sottile (caratteristica delle galassie a spirale) entro cui si trovano le braccia e, nel caso della nostra galassia, anche il Sole.