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La “soluzione barbara” di Keplero sarebbe stata curiosamente confermata quasi 300 anni dopo, nel 1877, dall’astronomo statunitense Asap Hall che, utilizzando un telescopio dotato di una lente di 66 cm di diametro, sarebbe riuscito a identificare i due minuscoli satelliti di Marte, Fobos e Deimos che, a causa delle loro ridottissime dimensioni (rispettivamente pari a 20 e 10 km circa), non avrebbero mai potuto essere visti col cannocchiale di Galileo.
Lo scienziato pisano non conosceva personalmente Keplero, che nel 1600, essendosi rifiutato di convertirsi al cattolicesimo, aveva dovuto abbandonare la cattedra di matematica della Scuola Evangelica Luterana di Graz, di cui era stato titolare per sette anni, ma lo stimava profondamente per quell’opera, il Mysterium cosmographicum, in cui, attraverso un utilizzo sapiente della matematica e della geometria, era riuscito a dimostrare la sua visione copernicana e platonica del mondo. Keplero, infatti, era stato capace di riprodurre con sufficiente accuratezza i moti dei sei pianeti noti all’epoca – Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove e Saturno – facendoli ruotare attorno al Sole su altrettante sfere, che aveva ottenuto circoscrivendo e inscrivendo in ciascuna di esse i cinque solidi platonici, ovvero il tetraedro, l’esaedro (o cubo), l’ottaedro, l’icosaedro e il dodecaedro, gli unici poliedri convessi, le cui facce sono costituite da poligoni regolari, uguali fra loro, e per i quali tutti gli spigoli e i vertici sono equivalenti.
Era stato Platone, nel Timeo, a ipotizzare che i quattro elementi fondamentali – fuoco, terra, aria e acqua – fossero costituiti da particelle piccolissime, che avevano la forma dei primi quattro solidi sopra elencati. In questo modo, aveva potuto fornire una giustificazione di carattere geometrico alla maggiore mobilità del fuoco rispetto a quella dell’aria, essendo il tetraedro più instabile dell’ottaedro, e alla maggiore stabilità della terra rispetto a quella dell’acqua, essendo il cubo più stabile dell’icosaedro. Al dodecaedro, invece, il sommo filosofo dell’antica Grecia aveva assegnato, nel Fedone, l’invidiabile compito di rappresentare la forma dell’intero Universo.
Galileo aveva ricevuto dallo stesso Keplero una copia, in omaggio, del Mysterium cosmographicum, che era stato pubblicato a Tubinga nel 1596. Nella lettera di ringraziamento, che aveva inviato il 4 agosto del 1597 allo scienziato tedesco, aveva voluto esprimere anche la propria opinione sull’eliocentrismo:
Parecchi anni fa mi sono trovato d’accordo con Copernico e da allora ho scoperto le cause di molti fenomeni, i quali, senza dubbio non possono essere spiegati per mezzo di una semplice supposizione. Ho annotato parecchie ragioni e argomentazioni e anche confutazioni delle argomentazioni contrarie, le quali, comunque, io non mi sono arrischiato a divulgare fino a ora, trattenuto dal destino stesso di Copernico, nostro maestro, il quale, anche se ha conquistato fama immortale sopra a pochi, per innumerevoli altri esse potrebbero apparire oggetto di derisione.
In realtà vorrei tentare di pubblicare il mio punto di vista se esistessero più persone come voi, ma visto che non è così, mi asterrò. (Galileo 1965, pp. 54-55)
È interessante notare come a quell’epoca, che precede di tre anni la condanna al rogo di Giordano Bruno, Galileo non mostri alcun timore nei confronti di quella che avrebbe potuto essere la reazione della Chiesa, ma paia temere piuttosto la derisione da parte degli altri studiosi e non voglia correre il rischio di essere dimenticato, al pari di Copernico che, pur essendo stato maestro suo e di Keplero, non è riuscito a lasciare una traccia tangibile, se non in pochi, dell’immortalità del suo lavoro.
Ritornando al 1610, e più precisamente al 10 dicembre di quell’anno, Galileo affinò il “gioco degli anagrammi” con Keplero, facendogli recapitare a Praga una frase che aveva già un suo senso compiuto: «haec immatura a me jam frustra leguntur oj», ovvero «leggo invano queste cose non ancora mature». In essa, aveva celato un messaggio che avrebbe rivelato a Keplero soltanto il mese successivo: «Cynthiae figuras aemulatur mater amorum», ossia «la madre dell’amore emula le forme di Cinzia».
Con quella frase, molto poetica, Galileo aveva voluto garantirsi la paternità della prima osservazione delle fasi di Venere, che aveva effettuato, ancora una volta, con il suo cannocchiale. Venere era, infatti, proprio quella «mater amorum» che, mostrando le fasi, emulava le forme di Cinzia, la Luna. Quest’ultima, in effetti, veniva talvolta indicata col termine di “Cinzia” (derivato attraverso il latino Cynthia, che traeva origine a sua volta dal greco Kynthia), parola che nei tempi più antichi veniva utilizzata per indicare “la provenienza” della Luna, in quanto la mitologia greca voleva che la dea Artemide, personificazione della Luna, fosse nata sul monte Kynthos dell’isola di Delo.
Anche in questo caso Keplero aveva trovato una soluzione, «Macula rufa in iove est gyratur mathem, etc», ovvero “c’è una macchia rossa in Giove che gira matematicamente”, che si sarebbe rivelata vera non troppo tempo dopo, nel 1665, grazie alle osservazioni di Giovanni Domenico Cassini, ideatore della grande meridiana della basilica di San Petronio a Bologna e professore di astronomia presso l’Università della stessa città dal 1664 al 1671, anno in cui sarebbe stato chiamato a dirigere l’Osservatorio Astronomico di Parigi.
Quando Galileo pubblicò il Sidereus Nuncius, Keplero aveva già compiuto da un anno un passo per nulla piccolo: col suo Astronomia Nova1Il titolo completo è Astronomia Nova aitiologetos, seu Physica coelestis, tradita commentariis de motibus stellae Martis ex observationibus G.V. Tychonis Brahe, traducibile in Astronomia Nuova basata sulle sue cause, ovvero fisica celeste trattata con i commentari sul moto del pianeta Marte dalle osservazioni di Tycho Brahe., aveva dovuto togliere anche il Sole dal centro, per collocarlo più modestamente in uno dei due fuochi2Dal Glossario: Fuochi dell’ellisse – Sono i due punti fissi, localizzati lungo l’asse maggiore dell’ellisse, che ne permettono la definizione. L’ellisse è, infatti, il luogo geometrico dei punti (del piano) per i quali è costante la somma delle distanze dai due fuochi. delle ellissi, curve molto meno nobili delle circonferenze, su cui, tuttavia, i pianeti, del tutto indifferenti al desiderio di perfezione dei grandi pensatori della storia umana, avevano deciso di muoversi.
Non era stato affatto facile, per lui, dover smantellare l’armonica bellezza del suo Mysterium cosmographicum, anzi, gli era costata una fatica enorme, ma ci si era visto costretto dalle osservazioni accuratissime che un danese, nobile per nascita e astronomo per passione, aveva collezionato nel corso di una vita intera, dopo aver trasformato l’isola di Hven – attuale Ven – situata nello Stretto dell’Øresund, fra la Svezia e la Danimarca, in un osservatorio astronomico. Tycho Brahe, che nel 1575 aveva ottenuto dal re Federico II di Danimarca, oltre all’isola, anche un ingente finanziamento, aveva letteralmente stravolto il modo di vivere degli abitanti di Hven, che prima del suo arrivo erano dei semplici e tranquilli contadini, costringendoli a impegnarsi anima e corpo nell’edificazione dell’osservatorio.
Successivamente, aveva chiamato a Hven i migliori artigiani dell’epoca, affinché potessero realizzare in loco gli strumenti che aveva progettato e che gli avrebbero consentito di misurare con una precisione mai raggiunta prima le posizioni angolari dei pianeti. Gli strumenti ideati da Tycho erano, in buona sostanza, dei grandi “goniometri” dotati di un visore (privo di lenti poiché il cannocchiale di Galileo non era stato ancora realizzato), che poteva muoversi lungo un arco di cerchio. La scala graduata, presente su quest’ultimo, consentiva di leggere il valore relativo alla posizione angolare del corpo celeste centrato nel visore. Consapevole che tanto maggiore era la dimensione del “goniometro”, tanto migliore sarebbe stata la precisione della misura, Tycho aveva fatto realizzare un quadrante3Dal Glossario: Quadrante – È uno strumento che viene utilizzato per misurare l’altezza di un astro sull’orizzonte, che è sempre compresa tra 0° (astro all’orizzonte) e 90° (astro allo zenit). Per questa ragione, il quadrante è costituito da un quarto di cerchio (da cui l’origine del suo nome) provvisto di un cannocchiale che può scorrere lungo una scala graduata. murale4Dal Glossario: Quadrante murale – È un quadrante montato su un muro orientato in direzione nord-sud e viene utilizzato per misurare l’altezza dei corpi celesti, nel momento della loro culminazione in cielo. avente un raggio di 18 m.
Con le sue osservazioni, Tycho era riuscito a capire che né il modello tolemaico, né il modello copernicano erano in grado di riprodurre i moti dei pianeti, in particolare quello di Marte che, essendo, fra i pianeti esterni, quello con l’orbita più ellittica, è più difficilmente riconducibile alla combinazione di forme circolari.
Tycho aveva addirittura ideato un proprio modello, con cui, da luterano convinto quale era, aveva voluto tentare di salvare a ogni costo il ruolo centrale della Terra: solo questa, infatti, restava immobile al centro dell’Universo e attorno a essa girava il Sole, circondato da tutti gli altri pianeti.
Il modello di Tycho sembrava, a tutti gli effetti, aver avuto come unico intento quello di salvaguardare la veridicità della preghiera di Giosuè al Signore5Cfr. Capitolo 2. Dal Libro di Giosuè (10:12,13): «Quel giorno, quando il Signore diede a Israele la vittoria sugli Amorrei, Giosuè pregò il Signore e gridò alla presenza di tutti gli Israeliti: “Sole, fermati su Gabaon! E tu, luna, sulla valle di Aialon!”. Il sole si fermò, la luna restò immobile, un popolo si vendicò dei suoi nemici». in quanto non riusciva a reggere il confronto con le osservazioni, ottenute proprio da chi lo aveva ideato. Tycho, del resto, era consapevole di questo problema e in particolare aveva notato le enormi difficoltà legate alla riproduzione dell’orbita di Marte e, proprio per questo motivo, aveva scelto di consegnare a Keplero i suoi dati, sperando che la genialità matematica dell’astronomo tedesco riuscisse ad aver ragione di tutte le discrepanze e a dimostrare la validità del suo modello.
I due si erano incontrati per la prima volta a Praga, da esuli, nel 1600. Tycho aveva dovuto lasciare Hven tre anni prima, a causa di una serie di contrasti col re Cristiano IV di Danimarca, succeduto al padre Federico II, che si erano protratti e ingigantiti nel tempo, fino a far prendere al sovrano la decisione estrema di togliergli l’isola. Così, dopo aver girato per un paio di anni attraverso un’Europa contesa fra le diverse confessioni e lacerata da continui dissidi religiosi, nel 1599 era riuscito a ottenere da Rodolfo II, imperatore del Sacro Romano Impero, un generoso stipendio e anche un castello dove poter ricostruire il suo osservatorio. Keplero, invece, sarebbe giunto a Praga l’anno successivo, dopo aver dovuto abbandonare Graz che, da cittadina in cui le religioni cattolica e luterana avevano convissuto pacificamente, era precipitata nella spirale dell’integralismo cattolico. In realtà, Tycho aveva già intrattenuto una corrispondenza epistolare con Keplero e qualche anno prima l’aveva addirittura invitato a Hven, in segno di ringraziamento per la copia del Mysterium cosmographicum che l’astronomo tedesco gli aveva inviato in dono, similmente a come aveva fatto con Galilei.
Keplero avrebbe voluto andare a Hven, perché era estremamente interessato all’ingente mole di dati osservativi di Tycho, con cui era convinto che sarebbe riuscito a verificare la validità del modello platonico-eliocentrico, che aveva proposto nel Mysterium cosmographicum, ma il suo stipendio di professore a Graz gli consentiva a malapena di sopravvivere, vedendolo costretto a doversi dedicare alla più redditizia attività degli oroscopi, per cui, a malincuore, aveva dovuto declinare l’invito.