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Dio, pregato da Giosuè che, dopo aver guidato il suo popolo a Canaan, voleva avere una vittoria completa sui nemici, gli Amorrei, già in fuga, aveva fermato il Sole e la Luna e quindi sostenere che il Sole era già fermo equivaleva a smentire l’operato dell’Altissimo.
Nessuno, tuttavia, forse proprio grazie alla prefazione di Osiander, unita al fatto che la lettura del De revolutionibus orbium coelestium non era per niente semplice, pareva aver recepito la portata rivoluzionaria del lavoro di Copernico che aveva tolto alla Terra il privilegio della centralità. A riprova di quanto appena affermato, vale la pena ricordare che, quando, una quarantina di anni dopo la pubblicazione del De revolutionibus, papa Gregorio XIII avrebbe deciso di riformare il calendario (in quanto la differenza tra la reale durata dell’anno solare e quella che era stata assunta, accumulatasi nei secoli, aveva spostato all’indietro di dieci giorni la data della Pasqua), gli astronomi che aveva riunito in commissione, perché trovassero la soluzione a un problema destinato a ingigantirsi col trascorrere del tempo, si sarebbero serviti proprio dei valori per l’anno solare e siderale che Copernico aveva calcolato e riportato nella sua opera.
Il lavoro di Copernico era indiscutibilmente di difficile lettura, poiché, oltre a essere colossale, era infarcito di relazioni matematiche complesse, volte a dimostrare la veridicità del suo modello. Tuttavia, sarebbe stato sufficiente leggere con attenzione la parte speculativa, che occupa la metà del Primo Libro, per comprendere, passo dopo passo, il ragionamento che aveva portato l’astronomo polacco a mettere il Sole al centro, al posto della Terra. Prima di far immergere il lettore nella matematica, Copernico illustrava, infatti, con estrema chiarezza le conseguenze dell’assunto che la Terra fosse, al pari degli altri pianeti, in orbita attorno al Sole. La prima di queste era la possibilità di dividere i pianeti in interni ed esterni alla Terra, giustificando così, elegantemente, l’evidenza osservativa che vuole Mercurio e Venere visibili esclusivamente all’alba o al tramonto. Il problema era stato affrontato anche da Tolomeo, che lo aveva risolto artificiosamente, allineando i centri degli epicicli di Mercurio e Venere al Sole e stabilendo in modo del tutto arbitrario – ed errato – che Mercurio dovesse essere più prossimo alla Terra, centro del suo universo, di quanto fosse Venere. Copernico, invece, aveva reso tutto più semplice ed elegante: un pianeta interno non avrebbe mai potuto trovarsi in opposizione al Sole e di conseguenza non sarebbe mai risultato visibile nel pieno della notte, come accade invece per i pianeti esterni. Inoltre, la maggiore prossimità di Mercurio al Sole, rispetto a Venere, all’alba o al tramonto, mostrava inequivocabilmente che l’orbita di Mercurio era più interna di quella di Venere e quindi i due pianeti potevano essere ordinati con certezza, in funzione della loro distanza dal Sole.
Una conseguenza del modello eliocentrico, che piaceva molto a Copernico, era proprio la possibilità di dare all’ordine dei pianeti una giustificazione che avesse un senso logico. A differenza di quanto accadeva nel modello geocentrico, in cui i periodi di rivoluzione di Giove e Saturno risultavano molto simili fra loro, rispettivamente di 399 e 378 giorni circa, e di poco più grandi del periodo di rivoluzione della Terra attorno al Sole, poiché in effetti era il movimento orbitale della Terra a essere scambiato per il loro moto, all’aumentare della distanza dal Sole aumentavano anche i periodi di rivoluzione dei pianeti attorno a esso. Questa relazione era per Copernico segno di grande armonia, nonché un forte indizio a sostegno della veridicità del suo modello.
Anche il problema dei moti retrogradi trovava una spiegazione naturale nel modello eliocentrico (Fig. 5), in cui tutto dipendeva dalla posizione e dal moto della Terra rispetto agli altri pianeti. L’evidente “disordine”, che aveva tanto turbato Platone, altro non era che il risultato di un’osservazione, che non era effettuata da un punto di vista fermo, come si riteneva fosse la Terra, ma in moto.
Fig. 5. Il moto retrogrado di un pianeta esterno, secondo l’interpretazione eliocentrica di Copernico: la Terra (T) compie più velocemente la propria orbita attorno al Sole, così il pianeta esterno (P), visto dalla Terra, appare muoversi all’indietro.
Nella parte speculativa del suo Primo Libro, Copernico mostra come, considerando attentamente le dimensioni delle orbite e i periodi relativi, si potessero calcolare molti dei dettagli più fini che riguardavano i moti retrogradi, quali ad esempio la posizione di un pianeta quando diventava stazionario, ossia pareva essere fermo, per quanto tempo avrebbe dato l’impressione di muoversi all’indietro e dove si sarebbe trovato quando avrebbe iniziato a riprendere il suo moto diretto.
È molto istruttivo, infine, leggere come Copernico, nel V capitolo del suo Libro I, fornisce l’argomentazione a sostegno della rotazione della Terra attorno al proprio asse:
Sebbene la maggior parte degli autori sia concorde che la Terra resta inerte al centro del mondo, cosicché giungono impensabile e finanche ridicolo supporre il contrario, tuttavia se considereremo più attentamente la cosa, la questione ci apparirà non ancora risolta e perciò niente affatto trascurabile. Infatti ogni mutazione locale apparente deriva dal mutamento della cosa guardata, o da quello di chi guarda, da mutazione certamente ineguale di entrambi. Perché fra cose mosse in modo eguale nello stesso senso non si percepisce movimento: intendo dire fra l’oggetto veduto e colui che lo vede. Ora è proprio la Terra quella da cui è visto quel circuito celeste e offerto alla nostra vista. Se dunque si ipotizza qualche movimento della Terra esso apparirà in tutte le cose che gli sono esterne con uguale velocità, ma in senso opposto, come se quelle cose passassero via quale è innanzi tutto la rivoluzione diurna. Questa infatti sembra trascinare l’intero mondo, fuorché la Terra e quelle cose che sono intorno ad essa. Ma se si ammettesse che il cielo non ha nulla di questo movimento, e invece la Terra ruota da occidente verso oriente, se qualcuno esaminasse attentamente quell’apparente sorgere e tramontare del Sole, della Luna e delle Stelle, troverebbe che proprio così avviene. E poiché è il cielo quello che contiene e abbraccia tutto, il luogo comune di tutte le cose, apparirà subito perché si debba attribuire un movimento al contenuto piuttosto che al contenente, a ciò che è collocato piuttosto che a quello che colloca (Bertin 1973, pp. 295-296).
Nel suo affermare che «fra le cose mosse in modo eguale e nello stesso senso non si percepisce movimento» e che «il movimento della Terra apparirà in tutte le cose che gli sono esterne con uguale velocità ma in senso opposto», si trova già quel “principio di relatività” che sarà enunciato da Galileo nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo quasi 100 anni dopo.
Copernico fu, per molti aspetti, un uomo nuovo, figlio di un’era di grandi mutamenti e innovazioni, ma rimase legato alla tradizione che vedeva nella circolarità dei moti il segno dell’ordinata perfezione del Cosmo, pertanto scelse per il suo modello i moti circolari uniformi. La sua posizione filosofica, a questo proposito, è chiarissima e illustrata nel capitolo X del Libro I:
Al centro di tutte le cose si trova quindi il Sole. Chi infatti, in questo bellissimo tempio, potrebbe collocare questa lampada in una posizione diversa e migliore di quella da cui puoi illuminare insieme il tutto? […] E così il Sole, come se fosse assiso su un trono regale, governa la famiglia degli astri che si muovono in cerchio intorno a lui (Hoskin 2001, p. 89).
La conseguenza della scelta dei moti circolari uniformi non fu indolore: anche in un sistema che vedeva il Sole al centro, era necessario introdurre qualche artificio per riprodurre i moti osservati dei pianeti che in realtà si muovono su orbite ellittiche, di cui il Sole occupa uno dei fuochi1Dal Glossario: Fuochi dell’ellisse – Sono i due punti fissi, localizzati lungo l’asse maggiore dell’ellisse, che ne permettono la definizione. L’ellisse è, infatti, il luogo geometrico dei punti (del piano) per i quali è costante la somma delle distanze dai due fuochi.. Così, anche Copernico, che era riuscito a liberarsi degli equanti, si vide costretto a introdurre i deferenti e gli epicicli nel suo modello.
La tradizione vuole che il 24 maggio del 1543 i discepoli e gli amici a lui più vicini gli abbiano consegnato la prima copia stampata del suo lavoro e che egli, risvegliatosi per pochi istanti dal coma, abbia sorriso e sia spirato. È molto probabile che questo racconto non sia una fedele riproduzione dello svolgersi degli eventi, ma debba invece considerarsi il tributo con cui i discepoli abbiano voluto omaggiare quel loro grandissimo maestro, che aveva tenuto segreta per più di 30 anni l’opera che avrebbe cambiato il mondo.
Mettendo il Sole al posto della Terra al centro del Cosmo, Copernico aveva tolto all’Uomo il ruolo di centralità nell’Universo, sradicando così definitivamente quello che per millenni era stato un pilastro non solo della religione, ma più in generale della filosofia ed era molto probabile che le conseguenze di questo sconvolgimento valicassero gli angusti confini della scienza, provocando fortissime reazioni avverse. Consapevole dei terribili rischi in cui sarebbe potuto incorrere, aveva deciso di non pubblicare il proprio lavoro e proprio in conseguenza di questa sua scelta non ebbe modo di vedere gli effetti del suo “averci tolti dal centro”.
In realtà, se Copernico fosse sopravvissuto alla pubblicazione dello straordinario frutto del suo ingegno, si sarebbe sorpreso nell’accorgersi che non solo nell’immediato non sarebbe accaduto nulla, ma non ci sarebbero state reazioni di alcun tipo nemmeno negli anni a venire. Il De revolutionibus orbium coelestium sarebbe stato letto da pochissimi studiosi e rimasto un’opera pressoché sconosciuta per diverso tempo.
Nelle università d’Europa si sarebbe continuato a insegnare il sistema di Tolomeo, fatte salve poche e rare eccezioni. Una di queste fu a opera di Michael Maestlin, nato sette anni dopo la morte di Copernico e divenuto professore di matematica all’Università di Tubinga: ai suoi studenti, tra i quali sarebbe stato incluso anche Keplero, avrebbe insegnato i due sistemi del mondo, quello tradizionale geocentrico e quello innovativo eliocentrico di Copernico.
L’altro scienziato che avrebbe portato alla luce l’opera di Copernico, insegnandola e sostenendola a tal punto da farla includere, più di 70 anni dopo la sua pubblicazione, nell’Indice dei libri proibiti della Chiesa, sarebbe stato Galileo Galilei.
Solo allora la “rivoluzione copernicana” avrebbe cominciato timidamente a farsi strada, tra innumerevoli difficoltà, e ancora molto lungo sarebbe stato il cammino verso la consapevolezza che la Terra era stata definitivamente abbandonata dal suo Cielo.