II. IL GRAFFITISMO CINESE
Adriana Iezzi
Fenomeno recente e dalle caratteristiche estremamente peculiari, il graffitismo cinese emerge nell’area continentale solo a partire dalla metà degli anni Novanta, per poi diffondersi e acquisire visibilità dal 2005 al 2010 (Valjakka 2011, p. 73). La sua penetrazione si fa solitamente risalire all’opera di un artista in particolare, Zhang Dali 张大力 (Harbin, 1963), che nel 1995 sommerge la città di Pechino con un imponente progetto artistico, dal titolo Dialogue and Demolition (Duihua yu chai 对话与拆, 1995-2005) (Fig. 2), che vede la realizzazione con vernice spray di oltre 2.000 ritratti giganti del profilo della propria testa su edifici destinati alla demolizione. Le sue tag1Tag (qianming tuya 签名涂鸦) – È lo pseudonimo, il nome d’arte o il nome in codice che ogni graffitista, mc e breaker, usa per distinguersi, farsi riconoscere e per segnalare la propria presenza in città. La tag è la struttura portante del fenomeno del writing, poiché è la forma più basilare di graffiti, realizzata con spray o marker. L’elaborazione della tag rappresenta lo stile personale del proprio autore. Tutti i pezzi, anche i più grandi, i più colorati, i più elaborati rimangono sempre delle firme. L’attività di marcare una superficie con una tag viene chiamata tagging-up. Per tag bombing, letteralmente “bombardamento di tag”, si intende infatti la riproduzione della propria tag su vasta scala in una determinata area di un centro urbano. La tag può rappresentare anche un segno di riconoscimento tra gruppi. Più writer o mc che si incontrano possono decidere di firmarsi tutti con un’unica tag, in modo da farsi riconoscere come gruppo (cfr. Crew). AK-47 (sigla del Kalashnikov) o 18K (sigla dell’oro a 18 carati) (Pizziolo, Rovasio 2009, p. 8) erano il suo marchio di fabbrica. Su questo pioniere dell’arte dei graffiti pechinesi, di cui si parlerà approfonditamente nel terzo capitolo del libro, non c’è parere concorde, perché per alcuni (in particolare i giovani writer2Writer (tuyazhe 涂鸦者 / penzi 喷子 / tuya yishujia 涂鸦艺术家 / xieziren 写字人) – Legato al concetto di writing, si riferisce al graffitista, colui che esegue graffiti concentrandosi soprattutto sul lettering, quindi sulla realizzazione e l’evoluzione di lettere.) Zhang Dali non viene visto come un iniziatore del graffiti writing3Graffiti writing (tuya shuxie 涂鸦书写) – È un fenomeno sociale, culturale e artistico diffuso in tutto il mondo, nato come espressione spontanea e senza un intento dichiarato di un gruppo eterogeneo di ragazzi appartenenti a una sottocultura, l’hip-hop, che ha avuto origine nei ghetti newyorkesi degli anni Settanta. In italiano si può tradurre con il termine “graffitismo”, che denota l’atto dello scrivere il proprio nome d’arte, la tag, usando vernice spray o pennarello negli spazi pubblici. L’etimologia della parola “graffito” deriva dal latino gràphium, “stile per incidere”, che trae la sua etimologia dal greco gràphein (γράφειν) che significa indifferentemente “scalfire, incavare, disegnare”. Il termine writing, dall’inglese “scrittura, scrivere”, si riferisce all’esecuzione di graffiti, composti meramente da lettere o da caratteri. A questa modalità è legato uno studio del lettering, e quindi dello stile del carattere che deve avere sia la semplice tag che il pezzo. In Cina, il termine “graffiti” non si riferisce solo alla scrittura di lettere o caratteri come nel writing, motivo per cui i graffiti vengono chiamati anche tuya yishu 涂鸦艺术 (lett. arte dei graffiti), sottintendendo una vasta gamma di espressioni artistiche su suolo pubblico (molto più vicine alla street art). Un altro termine usato è tuya huihua 涂鸦绘画 (lett. pittura di graffiti) che si riferisce ai graffiti che contengono puppet. quanto piuttosto come un artista che solo per un periodo della sua carriera ha realizzato graffiti in città, pur se di una forza propulsiva potente.
Ad affiancare la figura di Zhang Dali come (ipotetico) precursore e iniziatore dei graffiti cinesi, viene spesso nominato un altro importante artista, Tsang Tsou-choi (Zeng Zaocai 曾灶材 , 1921-2007), meglio conosciuto come King4King (wangzhe 王者) – Si riferisce a una sorta di guida per gli altri graffitari. In genere è il più bravo, il più abile ed è rispettato da tutti. Un writer viene reputato king solo nel caso in cui un altro king lo consideri tale. La competizione che porta a ottenere questa “carica” può riguardare la quantità di pezzi fatta in una città, lo stile e l’originalità, oppure l’esperienza. of Kowloon (Jiulong huangdi 九龙皇帝), la cui attività si è concentrata nella città di Hong Kong (Tav. 27). Nato da una famiglia di poveri braccianti in un piccolo paesino del Guangdong, una provincia sulla costa meridionale della Cina con capoluogo Canton, Tsang Tsou-choi si trasferisce a Hong Kong all’età di 16 anni, quando comincia a studiare da autodidatta e, nel 1954, servendosi di pennello e inchiostro, inizia a cospargere di scritte ingiuriose strade e viali dell’intera città, attività che lo occuperà per tutta la vita (Clarke 2001). Il contenuto delle sue opere è piuttosto ossessivo: nei suoi “calli-graffiti”5Calligraffiti (shufa tuya 书法涂鸦) – È una forma d’arte urbana che combina calligrafia e graffiti. (graffiti in stile calligrafico) reitera in maniera più o meno inalterata e compulsiva una scaletta prestabilita, in cui compare il nome dell’artista, il titolo che si attribuisce (re o imperatore della Cina o di Hong Kong o di Kowloon), l’elenco di circa 20 dei suoi antenati, il nome di qualche illustre imperatore cinese e, a seguire, una serie di espressioni oltraggiose contro la corona inglese, che proclamano il diritto di sovranità di ciascun popolo (Zhang 2011).
Attraverso il ritrovamento di importanti documenti che lo attesterebbero, l’artista è convinto che nell’antichità il quartiere di Kowloon, il più popoloso di Hong Kong e quello in cui si trova il maggior numero delle sue scritte, appartenesse ai suoi antenati. Pertanto, le opere calligrafiche che inizia a realizzare sistematicamente in giro per la città, su qualsiasi tipo di superficie, rappresentano un atto di guerra contro il governo britannico che, secondo Tsang Tsou-choi, è colpevole di avere usurpato parte della terra dei suoi avi, annettendola al proprio dominio senza che la sua famiglia ne percepisse un reale compenso. Il fatto che però quest’artista non utilizzi i mezzi convenzionali del graffiti writing (le bombolette spray) e i suoi contenuti (le tag) per dar vita alle proprie opere urbane, da un lato rende unica la sua arte, ma dall’altro la differenzia dalle modalità specifiche di questa forma artistica, avvicinandola piuttosto a quelle tipiche dell’arte della calligrafia.
È facile comprendere perché non tutti siano concordi nell’attribuirgli la paternità dei graffiti cinesi. Le sue opere sono definite nei modi più disparati: il termine più frequentemente utilizzato è calligraphy graffiti (shufa tuya 书法涂鸦) (Zhao 2012), ma troviamo spesso anche “graffiti in caratteri” (wenzi tuya 文字涂鸦) (Zhang 2011) o più in generale “opere calligrafiche” (shufa zuopin 书法作品), “opere di scrittura” (shuxie zuopin 书写作品) e “arte dei graffiti” (tuya yishu 涂鸦艺术). Queste cinque definizioni mettono in evidenza come ci si trovi in un campo borderline di difficile definizione, a metà tra i graffiti e la calligrafia. Inoltre, nel caso di Tsang Tsou-choi ci stiamo riferendo alla città di Hong Kong che, fino al 1997, non era parte integrante della Repubblica Popolare Cinese, quella fondata da Mao Zedong nel 1949, ma era un protettorato britannico, quindi non direttamente riconducibile alla Cina vera e propria.
Hong Kong: hub di sviluppo e diffusione
Nonostante tutti questi distinguo, è innegabile che Hong Kong abbia svolto un ruolo determinante nella diffusione dei graffiti in Cina, soprattutto della forma più “pura” del graffiti writing. È indubbio che in questa città, già nella prima metà degli anni Novanta, fossero presenti dei writer6Writer (tuyazhe 涂鸦者 / penzi 喷子 / tuya yishujia 涂鸦艺术家 / xieziren 写字人) – Legato al concetto di writing, si riferisce al graffitista, colui che esegue graffiti concentrandosi soprattutto sul lettering, quindi sulla realizzazione e l’evoluzione di lettere. e che questo clima abbia avuto una forte influenza nella diffusione dei graffiti nella Repubblica Popolare Cinese7In un documentario intitolato Great Walls of China (Pearl Channel, 2007) si mette in evidenza la presenza di diversi writer attivi a Hong Kong prima della metà degli anni Novanta. Cfr. Valjakka 2011, p. 74.. MCRen (MC 仁) è uno di loro e in un’intervista rivendica infatti di essere il «primo writer in Asia» (Valjakka 2011, p. 90), poiché non riconosce al King of Kowloon lo status di vero writer ed era attivo a Hong Kong molto prima di Zhang Dali a Pechino.
Che l’origine dei graffiti cinesi risalga alla città di Hong Kong è quanto sostengono non solo numerosi writer operanti in Cina, come Dezio (Sanada, Hassan 2010, p. 14) e Tin.G, ma anche alcuni studiosi del fenomeno, i quali affermano che i graffiti si sono originariamente diffusi partendo dal sud, per via delle influenze estere presenti a Hong Kong (Sanada, Hassan 2010, p. 11; Lu 2015, p. 31). Subito dopo la restituzione della città alla Repubblica Popolare Cinese, alcune città limitrofe hanno aperto la strada al graffitismo influenzando il resto della Cina. Dopo il 1997, infatti, molti writer di Hong Kong sono arrivati a Shenzhen, città situata proprio al confine nord, che era appena stato aperto consentendo di passare da una regione all’altra (cfr. sezione Video, Hassan 2010). Da lì, nel 1998 sono arrivati anche a Canton, megalopoli situata a nord di Shenzhen (Sanada, Hassan 2010, p. 14). A differenza della maggior parte degli altri Paesi, soprattutto nelle prime fasi di sviluppo del fenomeno, le più importanti aree cinesi di diffusione dei graffiti sono state centri secondari, quali Chengdu e Wuhan (situata a metà strada tra Chengdu e Shanghai), poiché in metropoli come Pechino e Shanghai il controllo delle autorità era maggiore (ivi, p. 11).
La velocità e l’ampiezza della diffusione del fenomeno sono state comunque importanti su tutto il territorio nazionale, soprattutto dai primi anni del Duemila. Traghettati anche dalla neoarrivata cultura hip-hop8Hip-hop (xiha 嘻哈) – È un movimento culturale nato in prevalenza nelle comunità afroamericane e latine del Bronx, quartiere di New York, alla fine degli anni Settanta. I quattro principali aspetti o elementi della cultura hip-hop sono la parola, la musica, il movimento, il segno: lo MCing (shuochang 说唱), anche noto come musica rap, introdotto dagli afroamericani (MC è l’acronimo di Master of Ceremony); il Djing (dadie 打碟), introdotto dai giamaicani; il graffiti writing (tuya shuxie涂鸦书写), la breakdance (dibanwu 地板舞 o piliwu 霹雳舞) introdotti dai portoricani. (Valjakka 2015, p. 76), a partire dal 2005 i graffiti sono giunti a Pechino e a Shanghai dove hanno conosciuto il loro picco di popolarità tra il 2007 e il 2013. È in questo periodo, e in particolare tra il 2008 e il 2012, che Xeme e Sinic, due writer di Hong Kong, hanno organizzato le famosissime Wall Lords Graffiti Battles, le più importanti graffiti jam session a livello cinese e asiatico, che ogni anno hanno visto la partecipazione di molte crew9Crew (tuandui 团队) – Letteralmente “ciurma”, “equipaggio”; nella cultura hip-hop si riferisce a una cerchia di persone che collaborano a un progetto artistico o culturale, come ad esempio un gruppo di writer, o un gruppo di ballo. Nel graffiti writing, sottintende un gruppo organizzato di writer che creano pezzi comuni dipingendo insieme. Solitamente sono amici, quindi tra loro c’è stima e rispetto reciproco; un writer può anche appartenere, nel corso del tempo o contemporaneamente, a più di una crew. Il nome di una crew è molto spesso un acronimo, che può avere anche più di un significato ed è composto solitamente da due o tre lettere. In molti casi il nome della crew viene scritto, come la tag, a lato del pezzo oppure si creano pezzi con la sigla della crew, con accanto le tag dei componenti. cinesi e non, testimoniando l’alto livello tecnico ed espressivo da esse raggiunto (Valjakka 2016, p. 369)10Queste competizioni si svolgevano ogni anno sia a livello nazionale, con la partecipazione esclusiva di crew cinesi, sia a livello transnazionale, con la partecipazione di crew provenienti da Filippine, Singapore, Giappone, Corea, Cina, Indonesia, Malesia, Tailandia e Taiwan. Per quel che riguarda la Cina, la crew che vinceva la competizione nazionale poteva partecipare a quella transnazionale. Una testimonianza dell’alto livello tecnico raggiunto dalle crew cinesi è data, ad esempio, dalla vittoria ottenuta nel 2011 dalla crew cinese ABS (cfr. cap. III) nella competizione a livello panasiatico.. Tuttavia, il loro successo è stato di breve durata. Tra il 2014 e il 2015, in particolare a Pechino e a Shanghai, è iniziato il graduale declino dell’arte dei graffiti, soprattutto a causa della repressione attuata dal governo nei confronti di questa forma artistica e delle pressioni economiche, volte a demolire i luoghi solitamente deputati ad accogliere i graffiti, a favore della costruzione di moderni quartieri residenziali o di aree commerciali. Non bisogna dimenticare che nel 2013 Xi Jinping è diventato Presidente della Repubblica Popolare Cinese, avviando una politica di controllo sempre maggiore della società civile, che ha trovato ampio spazio nel piano quinquennale varato nel 2016, con derive sempre più autoritarie a partire dal 2017, quando il suo pensiero politico è diventato parte integrante della Costituzione cinese.
Purtroppo, questo tipo di politica perdura ancora oggi e il mondo dei graffiti cinesi continua a subirne le conseguenze, lasciando poco spazio alle voci critiche e all’azione libera dei writer che, per sopravvivere, hanno dovuto piegarsi a logiche economiche, costituendosi in partnership commerciali e lavorando su commissione, oppure sono stati costretti a smettere di fare graffiti per le strade.
Forme d’arte fuori e dentro la legalità
Sin dalla loro introduzione su suolo cinese, i graffiti hanno acquisito dei tratti distintivi che li diversificano dai nostri graffiti occidentali. La prima macro-differenza sta nel fatto che in Cina i graffiti non sono considerati in tutto e per tutto una forma di vandalismo, un atto criminale o una manifestazione della lotta di classe. Benché la legge cinese vieti di scrivere e disegnare su spazi pubblici urbani, gli ufficiali giudiziari sono solitamente tolleranti nei confronti dei writer, purché le loro opere non siano troppo vistose, non diventino virali e non siano offensive (Valjakka 2011, p. 82). Le punizioni nei loro confronti si limitano perlopiù al pagamento di ammende o alla pulizia dei muri imbrattati (Valjakka 2015, p. 263).
In Cina i graffiti sono spesso definiti «per metà legali e per l’altra metà illegali» (Bidisha 2014) e, a differenza delle nostre città, c’è una evidente scarsità di tag nelle aree dei trasporti pubblici (il luogo dove sono nati i graffiti e dove da noi si trovano in misura maggiore), così come negli spazi urbani, a eccezione dei distretti di arte contemporanea, tra cui il Distretto artistico 798 di Pechino e l’area di Moganshan Road a Shanghai. L’attività di bombing11Bombing (zhajie 炸街 / beng 崩) – Tradotto in italiano “bombardare”, consiste nell’eseguire graffiti illegali su muri o treni con throw-up, tag, stencil e pezzi composti da lettere semplici e veloci da realizzare. Pratica prediletta dai writer che hanno come obiettivo primario la quantità, tappezzando intere città con la propria firma per raggiungere la fama di king. sui treni, in particolare sui vagoni della metropolitana, una pratica molto comune in Occidente, è invece estremamente rara in territorio cinese. Occasionalmente nelle città del sud qualche writer prova a rompere la regola, ma è un fatto del tutto eccezionale per timore delle ripercussioni da parte delle forze dell’ordine. Intaccare luoghi pubblici di grande visibilità (come la metro) rende la polizia poco tollerante (Valjakka 2011, p. 82). Scrivere sui treni, o su qualsiasi altra proprietà governativa, è assolutamente vietato ed è considerato un atto dichiaratamente sovversivo. Il rischio è quello di essere incarcerati dalla polizia o di essere posti sotto sorveglianza e, nel caso degli stranieri, implicherebbe l’immediata espulsione dal Paese (Valjakka 2015, p. 264).
A dispetto della carica rivoluzionaria contro l’omologazione e il grigiore delle città, la componente vandalica e illegale, parte integrante del fenomeno, ha fatto sì che non si possa scrivere lungo la metropolitana, né su altri mezzi pubblici e, di conseguenza, il graffiti writing cinese si è svuotato della sua natura underground. Tuttavia, in Cina esistono dei muri definiti “semi- legali”, presenti in ogni città, su cui i writer possono dare vita alle loro creazioni senza subire interventi da parte della polizia: non si tratta di hall of fame12Hall of fame (tuya qiang 涂鸦墙) – Letteralmente “atrio della fama”, si riferisce a uno spazio in cui è permesso dipingere più o meno legalmente. Nelle hall of fame dipingono i writer intenti a un lavoro di ricerca artistica, che preferiscono porre l’accento sulla qualità dei pezzi che sulla quantità, ricercando uno stile sempre più originale. autorizzate dal governo, ma di muri su cui non è considerato illegale fare graffiti. Il primo tra questi è l’Honghu West Road a Shenzhen, dove i primi graffiti sono comparsi tra il 2002 e il 2003 (ibid.). Altri muri “semi-legali” di grande importanza sono Moganshan Road a Shanghai (cfr. cap. IV), Jingmi Road a Pechino (cfr. cap. III), Fuqing Road a Chengdu (cfr. cap. V), Mong Kok Alley a Hong Kong e Huangjueping Street a Chongqing. A tutto questo consegue che la maggior parte dei graffiti in Cina, specialmente quelli che sono collocati in zone molto frequentate dalla gente comune, sono apolitici (ivi, p. 265) e dunque privi di qualsiasi messaggio di protesta sociale. Anzi, talvolta i graffiti vengono creati proprio a sostegno dei messaggi politici dell’establishment di governo. Alcuni esempi sono i graffiti comparsi in varie zone di Pechino prima delle Olimpiadi del 2008, per promuovere questo epocale evento e propagandare l’immagine di un paese ricco, potente e prospero. Un esempio per tutti, l’opera Olympic Beijing del Kwayin Clan (Fig. 8) descritta più avanti nel cap. III.
Similmente, nello stesso anno, il graffito realizzato da Tin.G (cfr. cap. IV) e da Moon, un writer proveniente da Quanzhou nella provincia del Fujian, rispondeva agli accesi dibattiti tra gli stranieri che chiedevano una maggiore autonomia per alcune regioni della Cina (il Tibet, in particolare) con una duplice scritta in inglese e cinese One China Forever (Yi ge Zhongguo 壹個中國) a Moganshan Road, ribadendo che la Cina è, e sarà sempre, una e indissolubile (Valjakka 2015, p. 266). Il fatto interessante è che si tratta di iniziative personali dei writer, non pilotate dall’alto ma effettivamente spontanee. Questo non significa che non ci siano espressioni di protesta tra i writer cinesi, pur se molto rare, ma solitamente sono rese in maniera astratta o attraverso complessi riferimenti visuali, e sono realizzate in luoghi poco visibili, di difficile accesso, come gli edifici abbandonati (ivi, p. 265).
Laddove non siano considerati un atto di vandalismo, i graffiti in Cina appaiono come una pura forma d’espressione artistica (in primo luogo agli occhi degli stessi writer) e il loro sviluppo è stato sostenuto sin dall’inizio e con forza dal sistema dell’arte contemporanea, in particolare a Pechino e a Shanghai. I distretti artistici di arte contemporanea sono diventati i “contenitori” principali dei graffiti, i pochi luoghi in cui i writer sono sempre stati liberi di fare bombing e di realizzare pezzi elaborati, ovunque e comunque. Fin dall’inizio sono state promosse mostre ed eventi legati al mondo dei graffiti, per incoraggiare e dare visibilità a questa forma artistica (Valjakka 2011, pp. 78-80), non ultima la mostra intitolata Art from the Streets (The History of Street Art – from New York to Beijing)13Art from the Streets (The History of Street Art – from New York to Beijing) è il titolo della mostra realizzata dal Department of Mural Painting della Central Academy of Fine Art (CAFA) e dal CAFA Art Museum, in collaborazione con la Magda Danysz Gallery di Shanghai, presso la 3B Exhibition Hall del CAFA Art Museum, dal 1° luglio al 24 agosto 2016 (https://www.cafamuseum.org/en/exhibit/detail/530). Curata da Tang Hui e Magda Danysz, la mostra ha accolto writer internazionali provenienti da Brasile, Cina, Francia, Italia, Portogallo, Senegal, Stati Uniti e Regno Unito e ha prodotto il catalogo Street Art, a Global View disponibile a: https://issuu.com/magdagallery/docs/digital_catalogue_3., organizzata nel 2016 a Pechino presso il CAFA Art Museum, dove writer cinesi hanno potuto esibire le loro opere insieme ad artisti del calibro di Banksy, Blek le Rat, Invader e Shepard Fairey. Un altro importante punto di contatto tra il mondo dei graffiti e quello dell’arte è il fatto che la maggior parte dei writer cinesi possieda un background artistico: si tratta perlopiù di studenti di scuole o accademie d’arte, designer o giovani che lavorano nel mondo dell’industria creativa (ivi, p. 80). Questo fa sì che molti di loro traspongano il proprio stile anche in opere di graphic design, realizzate su supporti temporanei o su tela. Non è infatti raro che alcuni di quelli che un tempo erano graffiti writer siano oggi diventati artisti a tutto tondo: Fan Sack, di cui si parla nell’ultimo capitolo, è proprio uno di questi. In Cina, la natura osmotica di questi due mondi permette facilmente di passare da una parte all’altra, a differenza di ciò che succede solitamente in Occidente.
Sperimentazioni middle class e professionisti on demand
Tra le funzioni primarie dei graffiti in Cina ci sono l’espressione individuale e l’abbellimento degli spazi urbani, non la ribellione. In particolare, gran parte della nuova generazione di writer cinesi, soprattutto a Pechino, si serve dei muri come fossero tele su cui riversare la propria espressività artistica, animando le opere con molti elementi figurativi del tutto immaginari, quali fantasmi, draghi, funghi animati e personaggi di cartoon (Valjakka 2011, p. 75), a vantaggio di una maggiore creatività rispetto alla semplice combinazione di lettere.
Ciò accade perché i graffiti rappresentano una forma di fuga dalla realtà per molti giovani che provengono dalla classe media o agiata cinese, nulla a che vedere con i ghetti newyorkesi degli anni Ottanta. Per molti di loro, infatti, si tratta di una specie di hobby di breve durata e dopo uno o due anni (o anche meno) la maggior parte di questi writer smette di fare graffiti (Valjakka 2016, p. 367) a causa della forte pressione familiare, che li spinge a trovare un “vero” lavoro e a collocarsi nel tessuto sociale.
Tutto questo ha fatto sì che il numero dei writer cinesi effettivamente attivi sia rimasto sempre esiguo, soprattutto se confrontato con il numero di abitanti, e per questo la scena dei graffiti non è mai giunta a uno sviluppo completo, nonostante alcuni writer siano molto talentuosi e tecnicamente bravi (Valjakka 2015, p. 263). Secondo Andc, il leader dell’ABS crew, tra il 2013 e il 2014 nel picco del loro sviluppo, in Cina c’erano circa 500 writer professionisti, concentrati principalmente nelle città di Pechino e Shanghai, ma solo una cinquantina, se non addirittura una trentina, aveva delle buone capacità (per Andc cfr. Tung 2013; Wu 2014). Già nel 2015, con l’inizio del declino, la stima è scesa tra i 350 e i 250 (ibid.) e oggi ce ne saranno meno della metà.
La concezione cinese che vede nei graffiti una forma artistica, anche in virtù delle suddette abilità di molti writer, ha reso ben accetta la propensione a realizzare opere remunerate o su commissione, al contrario di quanto avviene in Occidente, dove la maggior parte dei writer afferma che solo i graffiti illegali sono degni di essere chiamati graffiti (Valjakka 2011, p. 82). In Cina, al contrario, è molto comune che i writer collaborino con brand commerciali nazionali o stranieri, per promuovere campagne pubblicitarie o per l’apertura di nuovi punti vendita e altre iniziative promozionali. Sono tantissime, ad esempio, le collaborazioni che le crew trattate in questo volume hanno intrapreso con marchi famosi. Per molti di questi writer, soprattutto all’inizio delle loro carriere, le collaborazioni commerciali rappresentavano solo un modo per guadagnare dei soldi da reinvestire in strada. Successivamente, per molti di loro si sono rivelate un trampolino di lancio per fondare vere e proprie società specializzate nella realizzazione di graffiti a scopo commerciale. Una delle prime a cogliere quest’occasione è stata l’ABS crew (cfr. cap. III), seguita da altre di Pechino, come la DNA e la Tuns crew, nonché dalla CGG crew, di cui fa parte Tin.G (cfr. cap. IV) e che riunisce writer donne da Canton, Hong Kong e Hainan. Anche Gas ha seguito il loro esempio, aprendo a Chengdu un negozio di vernici spray e creando un sodalizio commerciale con un altro writer, Seven, con cui tuttora realizza opere su commissione (cfr. cap. V). Per i writer cinesi sembra che questo sia l’unico modo per sopravvivere e non scomparire ma all’aumento esponenziale delle loro attività commerciali corrisponde una drastica diminuzione delle attività illegali su strada, ed è facile intuirne le motivazioni.
È importante rilevare, inoltre, che i writer cinesi, seppure appartenenti a crew diverse, sono prima di tutto amici. Non esiste una vera e propria “territorialità”, né una guerra di strada come avviene in Occidente. Al contrario, gli artisti si scambiano stimoli e perfino i materiali, in una larga comunità in cui vige la più assoluta libertà espressiva. In questa atmosfera, la condivisione diventa l’humus dell’arte e la libertà rende fertile il terreno della creazione.
Charactering e figurativismo, lezioni di stile cinese
Per quanto riguarda la ricerca stilistica, è innegabile che i graffiti cinesi fin dall’inizio abbiano imitato gli stili euro-americani (Valjakka 2011, p. 84) e anche oggi la maggior parte degli stili prende ispirazione da quella tradizione (Valjakka 2016, p. 368). Questo fatto è derivato anche dalla discreta presenza di writer stranieri che hanno operato (e continuano tuttora a operare) nelle metropoli cinesi, collaborando molto di frequente con i writer locali; ne hanno per questo condizionato la scena, rendendola molto più internazionale. A Pechino, ad esempio, vanno ricordati Zyko (Germania), Aigor (Europa), Sbam (Italia) e Zato (USA); a Shanghai, Dezio (Francia, Tav. 19), Fluke (Gran Bretagna) e Diase (Italia), i quali per lungo tempo hanno vissuto e operato in Cina, influenzandone fortemente lo scenario.
Nonostante ciò, un tentativo di elaborare uno stile cinese è evidente sin dalle prime fasi dello sviluppo dei graffiti in Cina e caratterizza l’operato di alcune crew e diversi writer. Un richiamo evidente a questo tipo di ricerca è nell’uso dei caratteri cinesi al posto delle lettere, motivo per cui parleremo di charactering14Charactering – Termine da noi coniato per indicare lo stile dei caratteri nei pezzi di writing (cfr. Lettering) o l’uso di caratteri cinesi nelle opere. e non più di lettering15Lettering – Si riferisce allo stile delle lettere ed è il concetto fondamentale del writing. Se sei un writer, scrivi prima di tutto lettere, che possono essere diverse nelle dimensioni e negli stili: block, lettere di grandi dimensioni, squadrate o rettangolari, generalmente riempite con un solo colore; soft, lettere rotonde, morbide, dalla forma simile a quella delle nuvole, in genere di un solo colore all’interno di un outline; bubble style, lettere con stile “a bolla”, le lettere sembrano bolle di sapone, colorate con molta precisione, con un largo outline; wildstyle, tradotto “stile selvaggio”, le lettere sono composte da frecce tridimensionali intersecantesi, che danno idea di movimento e confusione. Nel caso della graffiti art cinese, dato che molti writer si servono anche dei caratteri per i loro pezzi, è stato necessario coniare un nuovo termine che indicasse lo stile dei caratteri: il Charactering.. Il charactering è un neologismo da noi coniato per riferirci allo stile dei caratteri nei graffiti cinesi, poiché molti writer non usano le lettere dell’alfabeto. I graffiti realizzati con i caratteri sono opere estremamente difficili da comporre perché non seguono una regola fissa: mentre i writer occidentali sviluppano (e praticano nei book16Black book o book (shougaoben 手稿本) – Quaderno o libro che raccoglie le bozze di un writer., quaderni per le bozze dei pezzi) un proprio lettering che possono ripetere per qualsiasi tipo di scritta, in cinese ciò non è possibile perché ogni carattere si scrive in maniera diversa dagli altri, quindi bisogna inventarsi ogni volta un nuovo modo per ritrarre ciascun carattere e connetterlo agli altri in maniera armonica e coerente. Per fare questo è indispensabile una notevole dimestichezza con l’uso della bomboletta e una grande creatività, soprattutto se si vogliono ricalcare stili come il wildstyle17Wildstyle (kuangyefengge 狂野风格) – Complessa costruzione di lettere assemblate per dare una forma e una dinamica particolare al pezzo. In questo stile le lettere vengono distorte e sovrapposte e talvolta arricchite da frecce tridimensionali, tribali, picche, puppet e altri elementi decorativi che danno idea di movimento e confusione. Questo stile può essere straight o soft: nel primo caso, è simmetrico e le frecce che formano le lettere tracciano angoli spigolosi; nel secondo caso, è asimmetrico e gli angoli sono sostituiti da frecce curve con punte arrotondate. Per aumentare la percezione di profondità dell’opera, oltre all’inserimento di collegamenti fra i caratteri, si può addirittura trasformare tutta la struttura della parola in un elemento tridimensionale. Questa forma intricata di graffiti, dall’inglese “stile selvaggio”, è considerata la forma di writing più difficile da eseguire e spesso le scritte sono indecifrabili per i non addetti ai lavori. e il 3D (stile tridimensionale).
Oltre all’uso della scrittura in caratteri, il ricorso a elementi visuali che richiamano la cultura cinese, talvolta creativamente rielaborati, come draghi, panda e lanterne, è un’altra caratteristica che troviamo in molti dei graffiti realizzati in Cina. Coloro che forse più di tutti sono riusciti a spingere la ricerca verso uno stile cinese sono la Beijing Penzi e il Kwanyin Clan a Pechino (cfr. capp. IV e V), poiché hanno saputo inserire nelle loro opere intricati riferimenti visivi alla cultura di appartenenza (Valjakka 2015, p. 271).
Un’altra crew che invece combina spesso caratteri cinesi e lettere latine è la Oops crew di Shanghai (cfr. cap. IV), e sempre di Shanghai è la writer e illustratrice di nome Popil che usa le posizioni yoga per dare forma alla sua Letter girl che sta alla base del suo lettering (Walde 2011).
Ci sono perfino writer stranieri che a Pechino e a Shanghai cercano di usare i caratteri cinesi per richiamare il linguaggio locale: il primo è Dezio, che a Shanghai è conosciuto per i suoi pezzi elaborati, in cui usa la sua tag cinese (Duxi’ao 度西奥) (Valjakka 2016, p. 363); il secondo è Zato, che ha tappezzato Pechino sia con la sua tag cinese (Zatuo 杂投), sia con altre scritte misteriose in mandarino.
Ma questo tipo di ricerca non interessa solo Pechino e Shanghai. A Chengdu opera il writer Gas, che fa sistematicamente uso dei caratteri cinesi nelle sue opere, scegliendo parole che richiamano concetti salienti della cultura cinese (cfr. cap. V). A Shenzhen c’è Touchy (a.k.a. Touch), che crea dei pezzi in charactering estremamente elaborati, difficili da decifrare persino per un madrelingua. Egli fa uso di caratteri fortemente rimodulati, di grandezze differenti, riportati in ordine casuale e con colori mischiati tra loro, con la finalità di puntare il dito contro i messaggi ingannevoli della crescente industria pubblicitaria (Valjakka 2015, p. 273). A Hong Kong sia Xeme che Sinic, due fratelli “graffitari” molto conosciuti nei circoli locali, usano i caratteri cinesi nei loro pezzi e prendono talvolta ispirazione dalla calligrafia tradizionale (Johnson 2008). Altri writer che ricorrono regolarmente all’uso dei caratteri sono Mora (Chen Shisan 陈十三) di Canton, Moon (Yue xia 月下) di Quanzhou (provincia del Fujian), Exas (Lingdan 灵丹) e Zeit (Shijian 时间) di Pechino (Mouna 2017), ognuno secondo il proprio stile personale. Si tratta dunque di un panorama estremamente diversificato al suo interno e assai diverso rispetto a quello a cui siamo abituati, il cui approfondimento ci può fornire un’interessante chiave di lettura per interpretare alcuni tratti salienti della cultura giovanile locale e per scoprire aspetti inediti della Cina dei nostri giorni.
Questioni terminologiche
Scoprire come vengono definiti oggi i graffiti in Cina, permette di comprendere quanto complesso sia il fenomeno che stiamo trattando e quanto sia ricco di peculiarità specifiche. Sembrerebbe una questione puramente terminologica e “di nicchia” per filologi o sinologi, invece rivela molto di ciò che sono oggi i graffiti in Cina e di come sono percepiti. Il termine più usato nel gergo colloquiale per definire i graffiti è tuya 涂鸦, una parola che letteralmente significa “scarabocchiare” e viene solitamente adoperata per definire, appunto, gli scarabocchi dei bambini oppure una brutta grafia, quella che chiameremmo “scrittura a zampa di gallina”. La parola si compone di due caratteri – tu 涂 “spalmare, scarabocchiare” e ya 鸦 “corvo” – e deriva da due versi di una poesia di un autore di epoca Tang (618-907), di nome Lu Tong 卢仝 (795-835), che racconta di come il figlio, ancora piccolo, si divertisse a scarabocchiare i libri del padre con inchiostro corvino18I due versi da cui deriva la parola tuya sono: Hu lai an shang fan mozhi, tumo shishu ru laoya 忽来案上翻墨汁,涂抹诗书如老鸦 (E all’improvviso capovolse l’inchiostro sul tavolo, scarabocchiando i libri di nero corvino).. Il significato originario della parola assume dunque connotazioni alquanto negative, creando un parallelo tra i graffiti e il tentativo di scrittura di un bambino, ed è per questo che spesso nei media locali si preferisce parlare di tuya yishu 涂鸦艺术 “arte dei graffiti”, un modo per nobilitare questa forma espressiva elevandola a rango artistico, sottolineando la forte interconnessione tra i graffiti e il mondo dell’arte spiegata in precedenza.
A queste due definizioni se ne aggiungono molte altre, ognuna con una diversa sfumatura: sia la stampa locale che i writer parlano talvolta di jietou tuya 街头涂鸦 “graffiti di strada” (Valjakka 2015, p. 261; Llys 2015) per riferirsi esclusivamente a quei graffiti che interessano il contesto urbano, perlopiù non legale, sottolineando un legame con il luogo principe e prediletto dai graffiti, la strada. L’uso di questa espressione mette in evidenza come in Cina non sia scontato che i graffiti si facciano per strada, poiché essi trovano facilmente anche altre collocazioni (mostre, interni di negozi e locali, merchandising e oggetti di design) del tutto legittime e riconosciute come tali.
Occasionalmente, si parla anche di tuya huihua 涂鸦绘画 “graffiti dipinti” (Valjakka 2011, p. 77) per sottolineare come ogni opera sia percepita come un vero e proprio dipinto, e rappresenti un fatto in primo luogo esornativo del contesto urbano, dove la presenza di elementi figurativi è sempre auspicata. In relazione a questa definizione, ci sono altre espressioni come jietou qiangti caihui 街头墙体彩绘 “murales su strada” o shou hui qiang hui 手绘墙绘 “murales dipinti a mano”, con cui talvolta vengono classificati dei graffiti che richiamano ancora di più quest’idea. L’uso di tali apparenti imprecisioni lessicali è dovuto al fatto che i graffiti vengono spesso classificati e definiti come una forma di jietou yishu 街头艺术 “street art”19Street art (jietou yishu 街头艺术) – In italiano “arte di strada” o “arte urbana”, è un termine di origine massmediatico che cerca di definire e circoscrivere tutte quelle forme d’arte che si manifestano in luoghi pubblici, spesso illegalmente, con le tecniche più disparate. Nasce e si evolve da una costola del graffiti writing, si sviluppa e si estende nel tempo in pratiche diverse: sticker art, stencil art, poster art, proiezioni video, sculture, installazioni e performance.. Infatti, nonostante negli ultimi anni ci sia stata una netta differenziazione nel contesto euro-americano tra i graffiti basati sulla scrittura e i murales dipinti, che rappresentano una forma di street art, in Cina questa differenziazione non è netta e spesso le due cose vanno a confondersi (Valjakka 2016, p. 358).
Anche in cinese esiste una parola specifica per indicare il graffiti writing, in cui tutto è basato sulle lettere della propria tag e la vernice spray, ed è tuya shuxie 涂鸦书写, la perfetta traduzione dell’espressione inglese, anche se è una dicitura poco utilizzata perché sono pochi i writer che si dedicano esclusivamente a questa forma.
Per quel che riguarda l’ambito legale, sono due le parole utilizzate: tuxie 涂写 e kehua 刻画 (Valjakka 2014, p. 98), la prima richiama l’idea del graffiti writing (tuxie letteralmente significa “scrivere scarabocchiando”) e la seconda rimanda alle opere di street art basate su elementi figurativi; kehua significa infatti “dipinto, ritratto” e quindi ci fa nuovamente tornare in pieno ambito artistico. Anche per la legge cinese i graffiti sono dunque scarabocchi oppure dipinti in piena regola, niente a che vedere con la loro funzione originaria. Anche la parola writer presenta diverse traduzioni in cinese, mettendo nuovamente in evidenza che ci muoviamo in un terreno molto fluido. La prima è penzi 喷子, che letteralmente significa “spruzzatore”, ovvero colui/lei che usa bombolette spray, dal verbo pen 喷 (lett. spruzzare) che i writer utilizzano per indicare l’atto di fare un graffito (Valjakka 2011, p. 77). La Beijing Penzi crew (cfr. cap. III) ha utilizzato questa parola all’interno del proprio nome, presentandosi dunque come una crew formata da “writer di Pechino”.
La parola più utilizzata dai writer cinesi per autodefinirsi è però tuyazhe涂鸦者 oppure tuyaren 涂鸦人, ovvero “persone che fanno graffiti”, o come diremmo in gergo “graffitisti” o “graffitari”. Nelle pubblicazioni si preferisce usare un’altra espressione ovvero tuya yishujia 涂鸦艺术家 “artista di graffiti”, il che ci riporta nuovamente all’idea diffusa che i graffiti sono percepiti dal vasto pubblico come una forma d’arte (Valjakka 2011, p. 77). C’è infine un’altra parola, anzi due, ma molto simili tra loro, che richiamano l’elemento principe dei graffiti, ovvero la scrittura, e sono xiezizhe 写字者 e xieziren 写字人 (Flowerstr 2017), che letteralmente significano “una persona che scrive caratteri”. Questi due termini si riferiscono al dibattito molto vivido nei circoli cinesi, che ruota attorno all’utilizzo o meno della scrittura cinese all’interno dei graffiti, rivolgendosi favorevolmente a questa idea e riportandoci a quella originaria del graffiti writing: l’importanza dello scrivere, dello scrivere per esistere. È proprio a questo concetto che il nostro libro si ispira ed è la ragione per la quale abbiamo favorito l’analisi di artisti che sono, o sono stati, prima di tutto graffiti writer che hanno usato la scrittura come veicolo di espressione, di esistenza e, perché no, anche di sussistenza.
Pertanto, abbiamo prediletto la descrizione di opere che hanno come elemento e mezzo principale la scrittura, perché pensiamo che non si possa prescindere da essa per parlare di graffiti, in particolar modo in Cina, in cui si adotta la scrittura ancora in uso più antica del mondo e dove la scrittura rappresenta un veicolo identitario non solo del singolo, ma dell’intera nazione.