I. I PRIMI SISTEMI DI SCRITTURA1Lavori generali sulle origini della scrittura sono innumerevoli; si vedano in particolare, oltre ai lavori già citati, Février 1948; Gelb 1963; Driver 1976; Aa. Vv. 1982; Vallini 1983; Daniels, Bright 1996; Bocchi, Ceruti 2002; Woods 2010; Pierobon Benoit 2018 (con bibliografie).
Con la formazione di unità abitative complesse, la città – identificata da un insieme di strutture organizzative legate alla scoperta di nuove tecniche, in particolare per la coltivazione e l’organizzazione del lavoro – sorge la necessità di rendere “pubblici” specifici messaggi e di farli durare nel tempo. Tali necessità sono in primo luogo di tipo contabile o amministrativo e vengono poi a intrecciarsi con altre che sono legate specialmente all’apprendimento e alla fissazione delle conoscenze che si devono poter tramandare. Il passaggio – durante un processo parzialmente ricostruibile – dalla registrazione di beni o transazioni espressa in maniera extra-linguistica a una scrittura vera e propria che riproduce una determinata lingua è testimoniato da numerosi documenti in Mesopotamia e nelle regioni vicine (Fig. 2), mentre non abbiamo abbastanza indizi per l’Egitto, dove i primi testi sicuramente scritti non sono di tipo amministrativo, anche se si hanno indicazioni di primi messaggi legati a necessità di questa natura. Le date delle prime testimonianze sono circa contemporanee in Egitto e in Mesopotamia, cioè gli ultimi secoli del IV millennio a.C.
La scrittura in Mesopotamia2V., oltre gli articoli specifici contenuti nei lavori citati alla nota precedente, Niessen, Damerow, Englund 1993; Glassner 2000; Damerow 2012; Sauer 2017 (con bibliografie); inoltre vari capitoli sulla scrittura in Radner, Robson 2011.
Proto-cuneiforme, sumerico, accadico3V. in particolare Walker 1987; Englund 2001.
In Mesopotamia dall’ultimo quarto del IV millennio a.C. circa, è testimoniato un tipo di scrittura che, per la forma di chiodo (cuneo) assunta a partire dal III millennio a.C. dagli elementi compositivi dei segni, sarà chiamata cuneiforme dagli studiosi moderni. Come supporto della scrittura è usata principalmente l’argilla, materiale diffuso e facile da procurarsi nella regione. Naturalmente, iscrizioni di varia natura saranno presto presenti anche su altri materiali, pietra, metallo, pietre dure; saranno anche usate tavolette cerate.
Le prime attestazioni di una forma grafica4V., con la bibliografia sulle varie categorie di documenti, Sauer 2017. sono – con alcune eccezioni – di aspetto figurativo e accompagnano simboli numerici. Risalgono alla fase IV della città di Uruk (ora Warka), nella Mesopotamia del Sud, e si datano intorno al 3200 a.C. Documenti simili – legati verosimilmente a una tradizione comune – sono stati trovati a Susa e sono chiamati proto-elamici, presumendo una relazione con la lingua, l’elamita (o elamico), attestata successivamente in questa regione. Uno stadio più sviluppato è presente su tavolette della fase III di Uruk (periodo detto di Jemdet Nasr, ca. 3000 a.C.)5Per Uruk e la scrittura v. la messa a punto di Nissen 2016. e su alcuni documenti dalla stessa Jemdet Nasr, da Khafagiah, Tell Uqair e da alcuni altri centri: le tavolette di questo tipo sono chiamate convenzionalmente proto-cuneiformi; sono accompagnate o precedute da un gruppo di tavolette chiamate “tavolette numeriche” contenenti per lo più simboli che rappresentano numerali.
Le tavolette proto-cuneiformi di queste prime fasi della scrittura presentano – insieme a simboli numerici – segni di aspetto pittografico che indicano merci, animali ecc.; altri, pochi, di tipo astratto (Tav. 1). Annotano operazioni contabili e amministrative che in parte si riescono a interpretare per il confronto con documenti successivi: quantità di derrate scambiate, liste di ore di lavoro eseguite da operai, elenchi di funzionari di vario tipo e di animali. Permettono così di ricostruire una società stratificata e gerarchica, con numerose specializzazioni, provvista di un’amministrazione organizzata in maniera precisa. Oltre alla registrazione di una serie di operazioni legate alle attività svolte, si manifesta la volontà di codificare determinate conoscenze per mezzo di “liste lessicali” (elenchi di parole divise per categorie) che da un lato fissano e tramandano con la scrittura i vari ambiti del sapere (professioni, mestieri, prodotti ecc.), dall’altro servono come apprendistato per gli scribi: queste liste saranno ricopiate nel corso dei secoli, anche quando le strutture sociali che le avevano originate sono ormai mutate.
In un nuovo stadio, simboli grafici sono usati in funzione fonetica in rapporto a contesti che si ha necessità di interpretare in maniera univoca – in particolare nomi personali e geografici – e sono legati specificatamente alla lingua sumerica6Alcuni studiosi suppongono la presenza di almeno un’altra lingua accanto e prima del sumerico, v. ad es. Englund 2001.. Ogni simbolo può indicare sia oggetti o azioni legati per significato alla rappresentazione pittografica, sia, anche, sequenze di suoni derivati dalle parole rappresentate pittograficamente. I pittogrammi sono quindi, in questo stadio, logogrammi (esprimono il suono di una parola) e/o sillabogrammi (esprimono il suono di un’unità detta sillaba). Per facilitare la comprensione, alcuni simboli sono aggiunti alla rappresentazione grafica come classificatori semantici (divinità, luogo, fiume, legno, pietra, rame, ecc.); sono chiamati determinativi e non sono “letti”. I segni sono incisi, poi impressi, sull’argilla molle con uno stilo a sezione triangolare; si schematizzano nel corso del tempo, e assumono quella forma di chiodi che ha dato alla scrittura il nome di cuneiforme (Fig. 3).
Sull’origine della scrittura in Mesopotamia, rivestono particolare interesse i lavori di Denise Schmandt Besserat che ha proposto di ricostruire un processo che da piccoli oggetti in argilla usati in operazioni contabili avrebbe portato alla scrittura (Schmandt-Besserat 1996, 2002). Già dal IX millennio, secondo la studiosa, in un’ampia area del Vicino Oriente – dall’Iran, alla Turchia, alla Palestina – sono diffusi oggettini in argilla, chiamati tokens, calculi, o “gettoni” (Tav. 2). Questi “gettoni” hanno forme in un primo tempo generiche, dischi o coni (tokens semplici), in seguito, più specifiche, con l’aggiunta d’incisioni sulla superficie (tokens complessi) e, infine, riproducono schematicamente oggetti (ad es. giare) o animali (ad es. teste di ovini). I tokens – che si potevano probabilmente anche appendere, ad esempio ai recipienti che contenevano le merci, come dimostrano i fori che presentano alcuni di essi – dovevano servire al controllo di operazioni di scambio di prodotti o comunque a garantire l’esattezza di determinate operazioni svolte: quante e che derrate erano conteggiate in operazioni di compra-vendita; o servivano a documentare attività legate all’amministrazione, razioni o pagamenti di manodopera.
A cominciare dall’ultima parte del IV millennio a.C. gruppi di tokens, che costituivano l’oggetto di una stessa transazione/atto amministrativo, furono inseriti in un involucro di argilla, sferico e cavo all’interno, chiamato “busta”. Ogni involucro doveva essere conservato, perché al bisogno si potesse verificare l’operazione svolta. La necessità di controllare il contenuto della “busta” senza doverla rompere avrebbe indotto a imprimere sulla sua superficie, accanto a uno o più sigilli personali, l’immagine degli oggetti contenuti e il loro numero, indicato da impronte numeriche apposite7Che davvero le buste contenessero ogni volta ciò che era impresso sulla loro superficie, non è però documentato con sicurezza per la difficoltà di verificare il contenuto di sfere ancora integre (che si sarebbero dovute rompere). Sul contenuto delle “buste” – verificato anche mediante tecniche di tomografia – v. ad es. Damerow 2012 e Woods 2012.. Secondo questa ricostruzione, in uno stadio successivo si passò dal concreto alla sua rappresentazione: furono cioè impresse su una tavoletta d’argilla – sostitutiva della sfera contenente i tokens – le immagini degli oggetti/derrate scambiate accompagnate dai simboli delle rispettive quantità. I numeri sono identificati dai segni impressi, mentre il bene contato è inciso con uno stilo appuntito. Al concreto si sostituisce dunque l’astratto e, invece del rapporto uno a uno – tanti oggetti in argilla quanti i beni scambiati – è raffigurato un solo simbolo del bene stesso che è specificato dalla quantità espressa dai numerali. I simboli derivanti dai tokens sarebbero i precursori dei pittogrammi usati nei successivi documenti, diventando segni di scrittura.
Il ruolo dei tokens nella formazione della scrittura è generalmente accettato, ma il processo che portò alla nuova tecnica dovette essere in parte diverso e meno lineare rispetto a quanto ricostruito da D. Schmandt Besserat. In esso ebbero verosimilmente un ruolo anche altre fonti d’ispirazione appartenenti alla cultura del tempo e della regione, come immagini simboliche tipiche della cultura figurativa contemporanea, testimoniate ad esempio su impronte di sigilli. Non è accettata unanimemente, inoltre, la tesi che le sagome dei tokens, non così varie e numerose (quelli “semplici” tendono a essere interpretati ora come sistemi di numerazione per categorie), siano alla base dei pittogrammi/logogrammi successivi, che sulle tavolette dette proto-cuneiformi sono presenti in numeri e varietà particolarmente ampi.
Le prime tavolette numeriche presentano solo simboli impressi; sono a volte, e sempre più frequentemente, accompagnate da segni incisi, che indicano verosimilmente un bene o un soggetto. Appaiono poi tavolette con più gruppi di operazioni, ciascuna delle quali è contenuta in un riquadro inciso, con segni disposti in genere in colonne verticali. I segni sono da un certo stadio staccati da quanto originariamente rappresentato (nel senso che la primitiva forma pittografica non è più riconoscibile) e sono usati come logogrammi (espressione cioè di parole in una lingua identificabile), classificatori semantici (simboli di categorie di significati), o sillabogrammi (semplici suoni nella forma di sillabe). Dalla seconda metà del II millennio a.C., schematizzandosi i segni, la loro direzione è ruotata di 90° e il testo si dispone in linee orizzontali da sinistra a destra.
Come notato sopra, queste tavolette esprimono la lingua sumerica, un idioma di ceppo non conosciuto diffuso essenzialmente nella Mesopotamia meridionale (Michalowski 2020, con bibliografia). La parte settentrionale del paese, invece, era abitata da una popolazione di lingua semitica, gli Accadi, che erano già verosimilmente presenti in Mesopotamia nel Protodinastico I-II (2900-2600 a.C.): nomi propri semitici sono, infatti, già attestati nei documenti sumerici di tali epoche. Dal Protodinastico IIIa (2600-2500 a.C.), la scrittura cuneiforme sumerica in una forma ormai evoluta viene adattata per esprimere l’idioma anche delle popolazioni di lingua semitica (semitico orientale) della Mesopotamia8V. Seri 2010 e note 7 e 8. Una breve esposizione della lingua, con bibliografia, in Hasselbach-Andee 2020b.. Dopo la metà del III millennio a.C., gli Accadi assumono importanza politica, quando Sargon (c. 2334-2279 a.C.) fonda il primo impero noto, la cui capitale Akkad (non lontana da Baghdad; il sito non è stato ritrovato), dà il nome al regno; di conseguenza la lingua è chiamata accadico e il nome di accadico sarà applicato a tutto il semitico di Mesopotamia espresso per mezzo della scrittura cuneiforme. Questo gruppo linguistico si divide, dopo la fine dell’impero accadico, in due rami – l’assiro e il babilonese (Fig. 4), che presentano a loro volta fasi linguistiche distinte cronologicamente – e rimane in uso fino agli inizi della nostra era (tardo babilonese).
Gli Accadi fecero generalmente propri i logogrammi sumerici leggendoli però in accadico; adottarono anche i sillabogrammi sumerici, aggiungendovi nuovi valori fonetici derivati da parole accadiche. In sumerico come in accadico ci sono serie di valori omofoni (segni diversi, ma suono uguale) e omografi (stesso segno, ma valori fonetici diversi). Inoltre, uno stesso segno può essere usato, secondo i casi, sia con valore di parola (logogramma), sia con valore di determinativo (non letto), sia con valore di sillaba. Si capisce dunque come il sistema cuneiforme sia particolarmente difficile da interpretare, non solo per il numero elevato dei segni. Tuttavia, ogni periodo e ogni regione possiede proprie consuetudini grafiche, il che, nel concreto, restringe le possibilità di scelta per il valore fonetico da attribuire a ciascun segno.
Nell’ambito sillabico, sono usate le seguenti categorie di segni: a) Segni che rappresentano una vocale (V); b) segni che rappresentano una sillaba che inizia per consonante + vocale (CV); c) segni che rappresentano una sillaba che inizia per vocale + consonante (VC); d) segni che rappresentano una sillaba costituita da una consonante + vocale + consonate (CVC), che può essere sciolta in due sillabe formate da consonante + vocale e vocale + consonante (CV+VC).
Adozione della scrittura cuneiforme
Ebla e stati vicini9V. bibliografia in Scarpa 2017, soprattutto p. 31, n. 17; inoltre, Archi 2015; Catagnoti 2020, con bibliografia; Eblaita in Mnamon, a cura di A. Catagnoti, con bibliografia.
La scrittura cuneiforme si diffonde già nel III millennio a.C. in un’area molto vasta del Vicino Oriente. Gode di grande favore nel corso del II millennio a.C., quando il babilonese diventa una vera e propria lingua di comunicazione e di scambio diplomatico tra diversi stati (v. in particolare Hess 2020). Già prima, tuttavia, intorno al 2500 a.C., la scrittura sumerica, con l’uso di segni sillabici che esprimono elementi semitici, è diffusa in Siria: gli esempi più numerosi e di generi differenti (burocratici, amministrativi, “letterari”, religiosi) vengono da Ebla (Tell Mardikh, a ca. 50 km. da Aleppo), dove si datano tra ca. il 2400 e il 2350 a.C., a cui si aggiungono i ritrovamenti minori di Nabada (Tell Beydar, nella Siria di Nord-Est)10V. da ultimo, con bibliografia precedente, Milano 2014. e Mari (Tell Hariri, sul medio Eufrate). L’insediamento di Ebla ha documentato per la prima volta quanto in precedenza non si supponeva: la presenza nella Siria del III millennio a.C. di una cultura urbana complessa, con una società stratificata e organizzata, dotata di scuole di scribi sviluppate, che intrattiene vasti rapporti politici e commerciali con gli stati circostanti. La lingua dei documenti eblaiti, chiamata convenzionalmente “eblaita”, è vicina all’antico accadico, ma se ne distingue ed è classificata come parte di un gruppo che si propone di chiamare “North Early Semitic”.
Adattamento della scrittura cuneiforme a lingue di famiglie non semitiche
La scrittura cuneiforme sumero-accadica venne adottata già nel III millennio a.C. anche da popolazioni che parlavano lingue di ceppi diversi. Oltre al caso dell’eblaita di cui si è parlato più sopra, il cuneiforme mesopotamico viene impiegato per scrivere l’elamico in Iran sud-occidentale e il hurrico in Mesopotamia settentrionale. In seguito, a partire dal II millennio a.C., altre lingue ancora come l’ittita, il luvio, e l’urarteo sono espresse attraverso questo sistema di scrittura in Anatolia. Intanto a ovest, in una data imprecisata, per esprimere lingue semitiche occidentali si formava, su modello egiziano, una scrittura di un tipo così detto alfabetico consonantico, che verrà adottata quasi ovunque a partire dal I millennio a.C.
Elamico11V. sulla lingua Tavernier 2020, con bibliografia. V. anche Desset 2012; presentazione generale da parte di S. Gaspa in Mnamon.
A Susa e in vari altri insediamenti sull’altopiano iranico sono state individuate tavolette redatte in una scrittura chiamata proto-elamita attribuite al periodo 3100/3050-2800 a.C. circa (v. Meriggi 1971 e 1974) (Fig. 5); questi documenti presentano un tipo di annotazione – con segni numerici e logogrammi – che mostra alcuni rapporti con il proto-cuneiforme.
Nonostante studi recenti di identificazione dei segni, i testi non sono ancora decifrati anche perché non sono in rapporto con una lingua chiaramente determinabile; progressi decisivi sono stati adesso compiuti nei riguardi del successivo così detto “elamico lineare”, usato a cavallo tra il III e II millennio a.C. in un gruppo ristretto di iscrizioni redatte in lingua elamica12V. ad es. Dahl 2013 in generale; sull’elamico lineare v. ora definitivamente Desset et al. 2022. Grazie a questa decifrazione, sappiamo adesso che si tratta di una scrittura completamente fonetica: i suoi simboli rappresentano infatti vocali e consonanti, o sillabe formate da una vocale e una consonante. (Tav. 3). È stato inoltre individuato un “elamita geometrico”, rimasto indecifrato (III millennio a.C; v. Desset 2014).
L’elamico, distinto in varie fasi, il cui ceppo linguistico è anch’esso sconosciuto e dibattuto, fu prevalentemente annotato – nel lungo periodo che si estende dall’ultimo quarto del III millennio circa al IV secolo a.C. (fine dell’impero achemenide) – tramite una scrittura cuneiforme derivata da quella mesopotamica; nel corso del tempo essa subì variazioni e, in particolare, riduzioni nell’uso dei segni. Documenti in elamico sono attestati soprattutto dal XIV-XIII secolo a.C. e provengono per la maggior parte da Susa, da Dur-Untash (Choga Zanbil) e da Anshan (Tall-i-Malyan). Il maggior numero d’iscrizioni è tuttavia assai più tardo, di epoca achemenide, e proviene da Persepoli; sono testi sia su tavolette e mattoni, sia su pietra, in forme monumentali, sia su sigilli. È da ricordare la famosa iscrizione su roccia di Behistun, versione elamica dell’iscrizione di Dario I (522-486 a.C.), redatta anche in antico-persiano e in accadico. L’elamico non sembra sopravvivere al periodo ellenistico13Sui testi scritti in elamico e letti in persiano v. allografia in Appendice..
Hurrico e urarteo14Hurrico: v. da ultimo Campbell 2020 (e bibliografia); inoltre Aa.Vv. 2000 (vari aspetti della storia e cultura hurrita). Urarteo: Kroll et al. 2012; Salvini 2014.
Gli Hurriti sono una popolazione di origine ignota stanziata tra la Mesopotamia settentrionale e la Turchia di sud-est; genti di lingua hurrita, chiamata hurrico, erano presenti anche nella capitale ittita Hattusha (dove molti documenti sono in hurrico), e nei centri di Emar e Ugarit. La loro lingua – diffusa in gran parte del Vicino Oriente – è di tipo agglutinante e appartiene anch’essa a una famiglia non nota. Nomi hurriti sono già attestati alla fine del III millennio a.C., ma la maggior parte dei documenti si data alla seconda metà del II millennio, quando si forma, nel XVII secolo a.C. tra la Mesopotamia settentrionale e l’Anatolia sudorientale, lo stato di Mittani (anche chiamato Hurri, Khanigalbat o Naharina). Nella sua compagine all’elemento hurrita è intrecciato, in posizione sociale verosimilmente dominante, un elemento indo-iranico. Il regno di Mittani ha come capitale Washukanni, una città non localizzata con sicurezza, ma da indentificare molto probabilmente con l’attuale Tell Fekheriyeh, nella Siria di nord-est. Mittani raggiunse una notevole potenza ed estensione nei secoli fino al XIV a.C., quando fu progressivamente sconfitto e ridimensionato da Ittiti e Assiri.
Gli Hurriti si servirono anch’essi del cuneiforme di derivazione mesopotamica, adattandolo in parte alle specificità della propria lingua. Testi in hurrico sono scritti spesso, anche, usando il cuneiforme ugaritico (v. sotto). Con la caduta della potenza mittanica l’uso del hurrico viene meno, intorno al XIII-XII secolo a.C.
Discendenti indiretti degli Hurriti sono considerati gli Urartei (il nome locale è forse Bainili). Noti fin dal XIII secolo a.C. dalle fonti assire, formano uno stato nella zona del lago Van (Armenia odierna) tra il IX e il VII secolo a.C., che si estese poi in regioni circostanti (Azerbaijan e Siria); fu rivale soprattutto degli Assiri, e cadde improvvisamente; il suo territorio passò sotto il dominio prima dei Medi, quindi degli Achemenidi. La lingua urartea, che usa come scrittura il cuneiforme assiro, è attestata da iscrizioni sia monumentali su pietra che celebrano i re del paese, sia su oggetti specialmente in metallo di genere votivo o di possesso, sia su tavolette. Le iscrizioni si datano tra il IX e il VI secolo a.C. Accanto al cuneiforme, era adoperata anche una scrittura geroglifica sinora non decifrata.
Ittita, luvio e geroglifico anatolico15Van den Hout 2021; più in particolare sulla datazione dei testi Archi 2010. Luvio (anche geroglifico): Melchert 2003 e 2020 (e bibliografia); per la scrittura e i testi v. Hawkins 2000.
Gli Ittiti erano un popolo di lingua indoeuropea (lingua chiamata dagli Ittiti “lingua di Neša”, il nome locale del territorio iniziale); formarono un importante stato in Anatolia tra il XVII e il XIII secolo a.C., in una regione dove sono testimoniate lingue diverse, tra le quali l’ittita, preceduto da una lingua detta hattica. Gli Ittiti adottarono – così come avvenne per l’apparentato luvio e per il palaico – la scrittura cuneiforme mesopotamica. Un gran numero di testi di tipo amministrativo, legale, storico, e religioso/rituale proviene soprattutto dall’archivio della capitale Hattusha (ora Boghazköy). Con la caduta dello stato nel XII secolo a.C., l’uso del cuneiforme per l’ittita viene meno e si sviluppa, per la lingua luvia, l’impiego di una scrittura locale di aspetto figurativo detta geroglifico ittita o anatolico, un sistema di scrittura logografico-sillabico inventato ai tempi dell’Impero dove però era di uso limitato alla sfera ufficiale.
La scrittura cuneiforme si diffonde dunque in tutta l’Asia anteriore antica e la lingua accadica, nella sua variante babilonese, è adottata come lingua franca tra i vari stati fino in Egitto per tutto il periodo del Bronzo Tardo (ca. 1550-1150 a.C.). Cade in disuso in Occidente con la crisi che mette fine agli imperi e agli stati cittadini del II millennio a.C. in favore della scrittura alfabetica consonantica che è adottata nel I millennio a.C. dalle nuove entità statali dell’Asia anteriore e si diffonde quindi in Occidente. Il sistema consonantico (chiamato ora abjad) era già conosciuto e usato localmente nel II millennio a.C.; la variante meglio nota nel periodo del Bronzo Tardo è quella tracciata secondo la tecnica cuneiforme adoperata nella città stato di Ugarit tra il XIV e il XIII secolo a.C. L’ispirazione del sistema consonantico è attribuita all’antico Egitto, la cui scrittura si è formata contemporaneamente a quella mesopotamica.
La scrittura in Egitto16Oltre ai capitoli dedicati alle scritture dell’Egitto nelle principali storie delle scritture (Cap. I, nota 1), v. Betrò 1995; Roccati 2000. V. anche Grandet, Mathieu 2007.
Scrittura geroglifica
Le prime testimonianze di una scrittura in Egitto (Fig. 6), chiamata geroglifica dal greco ἱερογλυφικὴ, “(scrittura) incisa sacra”, sono press’a poco contemporanee a quelle della Mesopotamia (Piquette 2013; Regulski 2016 e 2017; Morenz 2020 e bibliografia). È stato discusso di conseguenza se i due sistemi siano in qualche modo legati, e si è supposto che quello egiziano abbia quanto meno tratto ispirazione dal proto-cuneiforme. Vari ritrovamenti, specialmente incisioni su piccoli oggetti, graffiti su ceramica e segni impressi su sigilli di tipi ben radicati nella cultura locale fanno supporre, invece, che i due sistemi siano sorti indipendentemente, in una temperie nella quale, nelle due regioni, era emersa una società multiforme con l’affermazione di una élite, di un’amministrazione complessa e di un insieme di relazioni e commerci estesi.
I primi esempi di segni di scrittura che, quando compresi, esprimono toponimi o forse nomi propri di re o designazioni di mercanzie, sono testimoniati da ritrovamenti della tomba U-J di Umm el-Qa‘ab ad Abido (scavi tedeschi), datata tra il 3320 e il 3150 a.C. I segni, incisi in particolare su vasi e su placchette di avorio e osso, hanno già la forma caratteristica dei successivi geroglifici (Fig. 7). La scrittura geroglifica è attestata in seguito per un lunghissimo periodo: l’ultimo documento si data al 394 d.C. Se in Mesopotamia la formazione dell’espressione scritta appare legata a necessità contabili e amministrative, lo stesso non può affermarsi per l’Egitto, dove, anche accanto a necessità amministrative, le prime forme scritte sembrano legate a esibizioni di prestigio in rapporto con l’affermazione di figure di sovrani.
Una scrittura vera e propria legata al fonetismo della lingua appare un centinaio di anni dopo i ritrovamenti della tomba U-J (ca. 3200-3000 a.C.); è attestata su oggetti quali palette e teste di mazza e deriva, verosimilmente, dalla necessità di rendere in maniera adeguata nomi propri personali. In seguito, intorno alla metà del III millennio a.C. (Antico Regno) la lingua è annotata per mezzo di segni logografici e consonantici, accompagnati da determinativi. I segni indicano in maniera non ambigua le consonanti di quanto è raffigurato e si ha un repertorio sia di segni monoconsonantici (che corrispondono a nomi che comprendono una sola consonante) sia biconsonantici sia triconsonantici. Come in Mesopotamia, si usano omofoni e omografi. Spesso i segni consonantici specificano la funzione grammaticale dei termini; è applicato il sistema del rebus: un segno pittografico può cioè assumere il valore fonetico di quanto rappresenta e combinarsi con altri segni per indicare soltanto suoni, indipendentemente dalle immagini. Nella scrittura geroglifica i segni mantengono sempre l’originario aspetto figurativo (Tav. 4). La scrittura può avere andamento verticale (colonne) o orizzontale e da sinistra a destra o da destra a sinistra in base alla disposizione del testo. È usata per generi letterari di ogni tipo (ufficiali, religiosi, privati) e su supporti vari (da pareti di templi e di tombe, a oggetti, a papiri). I segni usati sono diverse centinaia e aumentano sensibilmente nell’epoca tolemaica (323-30 a.C.); in questo periodo la scrittura è adoperata in maniera per così dire cifrata, in modo da renderne complicata l’interpretazione, non solo creando nuovi segni, ma inventando ortografie inconsuete e di comprensione complessa con intenti anche simbolici (Gaudard 2010).
Scrittura ieratica17V. ad es. in Woods 2010, pp. 159-160 (Bandy); sullo sviluppo della scrittura v. Regulski 2009 e 2017 e Roccati 2012.
Una varietà corsiva della scrittura egiziana è chiamata ieratica (il termine significa lettere sacre): è una scrittura corsiva, tracciata a inchiostro, sempre da destra a sinistra, su papiri e ostraka, cuoio, stoffa; è usata per testi di ogni genere (religiosi, letterari, legali, amministrativi, matematici). Testimoniata sin dalla Dinastia 0 (ca. 3000 a.C.), continua a essere adoperata fino al III secolo d.C. accanto al geroglifico. La forma dei segni è in rapporto con i corrispondenti geroglifici, ma le due scritture si sviluppano indipendentemente e sono impiegate ambedue anche da uno stesso scriba per scopi diversi. Nel corso del tempo la scrittura ieratica si modifica notevolmente nella forma e nell’andamento dei segni.
Scrittura demotica18V. ad es. Johnson 2010.
La scrittura demotica è uno sviluppo dello ieratico e compare a cominciare dalla metà del VII secolo a.C. Il documento più recente si data al 452 d.C. (è un graffito dal tempio di Iside a Philae). Il demotico è la scrittura dei testi amministrativi e contratti, ma, dal periodo tolemaico, vi si scrivono anche documenti di altro genere; è usato l’inchiostro e i supporti sono ostraka e papiri, occasionalmente anche materiali come la pietra: l’iscrizione più famosa è quella della così detta “stele di Rosetta”19Il nome deriva da quello del luogo di ritrovamento (ora Rashid) sul delta del Nilo, avvenuto nel 1799 durante la campagna d’Egitto di Napoleone Bonaparte., incisa su una lastra di un tipo di granito (granodiorite), da cui è partita la decifrazione della scrittura geroglifica (Tav. 5). Consiste in un decreto in geroglifico, demotico e greco, del 196 a.C., in onore di Tolomeo V Epifane (210-180 a.C.). Come lo ieratico, il demotico si scrive da destra a sinistra, e nel corso del tempo semplifica e riduce il numero dei caratteri; questi tendono a legarsi tra di loro e gruppi di lettere formano unità inscindibili, quasi fossero sigle. Dal V secolo d.C. la lingua egiziana è sistematicamente annotata usando un alfabeto derivato dal greco, chiamato copto20V. Cap. IV., che è servito come base per la comprensione dell’egiziano antico21Sulla decifrazione dell’egiziano v. ad es. Pope 1999, pp. 11-84..
Altre scritture del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico
Una volta affermato, il concetto di scrittura si espande con forme indipendenti e diverse – ma spesso per le stesse motivazioni – in tutti gli organismi con società articolate che danno origine a sistemi grafici adatti a necessità specifiche, sistemi che poi si trasmettono e si incrociano tra loro, producendo nuove sistematizzazioni secondo le diverse esigenze sociali e le caratteristiche delle lingue alla base della loro adozione.
Scritture dell’Egeo22V. con bibliografia Nosch, Landenius Enegren 2017. Sulle scritture sillabiche a Creta e a Cipro v. Morpurgo Davies, Olivier 2012.
Creta23Evans 1909 e ad es. Godard 1997.
Già nel III millennio a.C. e poi nel II a Creta è attestata una cultura assai raffinata, messa in luce per la prima volta in seguito agli scavi di Arthur Evans agli inizi del XX secolo. I più antichi documenti scritti riferibili a questa cultura sono tuttora indecifrati (il geroglifico cretese e la lineare A), i più recenti sono in una lingua greca e in una scrittura di tipo sillabico (la lineare B) e alfabetico (l’alfabeto greco).
Scrittura cretese geroglifica24Olivier, Godard 1996; Karnava 2016; Civitillo 2018 (con rispettive bibliografie).. Alcune centinaia d’iscrizioni chiamate geroglifiche, rinvenute nella parte centrale e nord-orientale di Creta, sono incise soprattutto su sigilli, impronte di sigillo, cretule o tavolette e sono state individuate per la prima volta a Cnosso da Evans. Lo studioso ha attribuito il nome di “geroglifica” a questa scrittura indecifrata perché la credeva in rapporto con il sistema egiziano (Fig. 8); lo stesso studioso ha dato il nome alle altre due scritture individuate nel corso dei suoi lavori, che ha chiamato, per il loro aspetto schematico, “lineari” A e B. Gli studi, in particolare i confronti con la lineare A contemporanea – che mostra relazioni con la geroglifica riguardo ad alcuni logogrammi e al sistema di numeri e frazioni – e in parte con la successiva B, a sua volta derivata dalla A, hanno permesso di concludere che la scrittura geroglifica è di carattere sillabico, con l’uso inoltre di logogrammi; è stato anche possibile stabilire che i documenti che la testimoniano sono per la maggior parte di genere amministrativo e contabile (presenza di numerali e frazioni, simboli di persone, animali o prodotti vari).
Disco di Festòs25V. tra i numerosissimi studi Duhoux 1977; Godart 1997; Facchetti 2003 (con le rispettive bibliografie) e Del Freo in http://mnamon.sns.it/. Contemporaneo della scrittura geroglifica e della lineare A è il così detto disco geroglifico di Festòs, trovato nel 1908 nel palazzo minoico di questa località, in un contesto difficilmente databile. È un disco in argilla con l’impressione a spirale, sui due lati partendo dal centro, delle raffigurazioni di 45 sigilli a timbro con in tutto 242 segni (figure e teste umane, animali, vegetali, oggetti vari). Numerosi tentativi di decifrazione non hanno portato a risultati plausibili. Segni simili si trovano su un’ascia in bronzo da una grotta Arkhalokori, nella zona centrale di Creta (messa in rapporto con la lineare A). Alla scrittura geroglifica cretese sono avvicinati i segni incisi su un gruppo di sigilli trovati nella necropoli di Furnì ad Archanes, sempre a Creta, datati tra la fine del III e i primi secoli del II millennio a.C.
Lineare A26Godart, Olivier 1976-1985; Perna 2016 (con bibliografia). V. anche Del Freo in http://mnamon.sns.it/. Questo tipo di scrittura è in uso dal 1800 a.C. ca. e sembra sparire intorno al 1400 a.C. È, come la geroglifica, una scrittura logo-sillabica – con sillabe costituite verosimilmente da C+V – tracciata nella maggior parte delle attestazioni da sinistra a destra: sono usati segni con valore sia di sillabe sia di parole (logogrammi). La lineare A ha in comune un certo numero di simboli con la scrittura geroglifica, ma non ne appare la derivazione, mentre sembrano evidenti rapporti reciproci. La presenza contemporanea di due scritture diverse nella stessa isola è un problema dibattuto e non risolto. La lineare A è tuttora indecifrata, non solo per il numero abbastanza esiguo delle iscrizioni, ma anche per l’ignoranza della lingua che esprime. I documenti più antichi sono stati trovati prima a Creta a Hagia Triada, presso Festòs (Primi Palazzi, XIX-XVIII secolo a.C.); un gruppo successivo viene da Cnosso (Secondi Palazzi, XVII-XV secolo a.C.) e da varie località dell’isola; inoltre, a differenza dalla scrittura geroglifica concentrata in una sola zona di Creta, documenti in lineare A sono testimoniati nell’area egea fino a Mileto. Sono ancora una volta per la maggior parte testi contabili, incisi su tavolette, ma anche su oggetti vari – in particolare “tavole per libagioni”, larghi vasi in pietra per offerte agli dèi, le cui iscrizioni sono più lunghe e di contenuto a carattere cultuale – e su ceramica. La scrittura lineare A è alla base della lineare B, come mostrano vari segni e ideogrammi molto simili. Tentativi di decifrazione si basano sull’attribuire ai segni comuni alla lineare B lo stesso valore fonetico; i risultati sono tuttora scarsi. La lingua appare comunque non greca. Il sistema numerico (le frazioni a parte) è comune alle due scritture.
Lineare B27Myres 1952; Ventris, Chadwick 1956; Duhoux, Morpurgo Davies 2008-2014; Del Freo, Perna 2019. V. anche Del Freo in http://mnamon.sns.it/. Anche questa scrittura deve il nome ad Evans, che ne identificò i primi esempi a Cnosso (iscrizioni in lineare B sono state trovate anche a Khania). Numerosi altri esemplari sono poi venuti in luce soprattutto a Pylos¸ inoltre a Micene, a Tirinto, a Tebe e in numerose altre località della Grecia. I testi sono per lo più incisi su tavolette in argilla, ma anche dipinti su anfore e si datano tra il XV-XIV e il XIII secolo a.C. (Fig. 9). La scrittura, come osservato, deriva dalla lineare A28V. ad es. in maniera specifica Meißner, Steele 2017., ma esprime la lingua greca in uno stadio arcaico. La decifrazione, basata in primo luogo sull’identificazione di toponimi e nomi di persona, risale al 1952 ed è dovuta a Michael Ventris, con la collaborazione linguistica di John Chadwick (Ventris, Chadwick 1953). Consiste in un sistema sillabico (C+V o V; a volte CC+V) precisato da logogrammi (che non erano però letti di norma). La direzione della scrittura è da sinistra a destra e le parole sono separate da interpunzioni e accompagnate spesso da numerali. I testi sono tutti di genere amministrativo e contabile e non sembra che la lineare B fosse usata per altri scopi.
Cipro29V. di recente Steele 2018.
Scrittura cipro-minoica30V. in particolare Olivier 2007; Duhoux 2013; Ferrara 2013. V. anche Cannavò in http://mnamon.sns.it/. Cipro presenta, fin dal II millennio a.C., una cultura scritta in rapporto con la lineare A usando peraltro anche il cuneiforme babilonese per i rapporti con l’esterno, ad esempio con l’Egitto, dove alcune lettere provenienti dall’isola ci fanno conoscere il suo nome locale di Alashiya. La più antica iscrizione in una scrittura chiamata cipro-minoica è una tavoletta da Enkomi, datata intorno al 1500 a.C., i cui segni presentano notevoli somiglianze con quelli della lineare A (Fig. 10). Successive sono sia alcune tavolette con segni impressi molto più sviluppati, sia brevi iscrizioni incise o impresse su vari tipi di oggetti che si datano tra il XIII e il XII secolo a.C.; provengono da varie località di Cipro, soprattutto da Enkomi, e, in Siria, da Ugarit. La lingua annotata non è stata identificata, anche in ragione dello scarso numero dei testi; tuttavia, questa scrittura è alla base del successivo sillabario di Cipro, la cui lingua è il greco, nel dialetto arcadico dei Micenei che si stanziarono nell’isola intorno al XII secolo a.C. e vi diffusero la propria lingua.
Scrittura sillabica cipriota31Masson 1983; Egetmeyer 2010; Karnava, Perna, Egetmeyer 2020. V. anche Cannavò in http://mnamon.sns.it/. Il più antico documento in greco di Cipro ad oggi noto è uno spiedo in bronzo iscritto, l’obelos di Opheltas (il nome è al genitivo nella forma greca Opheltau), così detto dal nome del proprietario che vi è inciso. L’oggetto è stato trovato, con un gruppo di altri spiedi non iscritti, a Palaepaphos-Skales32N. 170 in Olivier 2007. V. in particolare di recente Olivier 2013, pp. 16-19.; è attribuito al periodo 1050-1000 a.C. ed è verosimilmente redatto ancora nella scrittura cipro-minoica. I successivi documenti si datano tra la prima parte del I millennio a.C. e il II secolo a.C. quando altrove, in ambito greco, prevale l’alfabeto. La scrittura è sillabica e conta un massimo di 56 segni che annotano CV e V; la direzione è generalmente da destra a sinistra. Accanto a un sillabario comune, è specifico il sillabario di Paphos, la cui scrittura è, inoltre, da sinistra a destra. I rapporti con la scrittura cipro-minoica, per quanto sicuri, non sono del tutto chiariti; anche il momento del passaggio, che è parallelo all’affermarsi di una comunità greca a Cipro, non è evidente.
Un gruppo di circa 25 iscrizioni, rinvenute quasi tutte ad Amatunte, è redatto nella scrittura sillabica comune, ma in una lingua sconosciuta che è stata chiamata da J. Friedrich “eteo-cipriota” (significa “cipriota autentico”) (Tav. 6). Le iscrizioni appartengono per la maggior parte al IV secolo a.C., ma alcune risalgono fino al VII. Sono di generi vari: ufficiali e funerarie su pietra (quattro bilingui) o su ceramica. Non è dimostrabile, come è stato proposto, che la lingua testimoniata sia quella indigena di Cipro prima dell’arrivo dei Greci. Dopo il IV secolo a.C., quando si diffonde l’alfabeto greco, questa lingua non è più documentata33Proposta di decifrazione Petit 1997..
Scritture indecifrate dell’Età del Bronzo
Iscrizioni isolate
Nel Vicino Oriente del periodo del Bronzo la scrittura più diffusa è la cuneiforme di origine mesopotamica, adattata, come si è visto, nelle singole regioni, a lingue di famiglie differenziate; la lingua accadica, d’altra parte, nella variante babilonese, è usata come mezzo di comunicazione tra i diversi stati. Il geroglifico egiziano è anch’esso diffuso, ma non così ampiamente. Nella regione siro-palestinese, accanto a questi sistemi, si sono individuati altri tipi di scrittura di uso limitato e tuttora non decifrati. Si affiancano ad attestazioni disparate della scrittura alfabetica detta consonantica (o abjad), che invece si affermerà dal periodo del Ferro. È verosimile supporre che società locali con organizzazioni sociali e politiche sviluppate e a conoscenza della “tecnica” scrittura, abbiano creato – ispirandosi a sistemi noti – sistemi propri per necessità interne, caduti presto in disuso per successivi cambiamenti di carattere sociale e politico.
È del tutto isolata e illeggibile l’iscrizione – messa, spesso, ma senza successo in rapporto con una scrittura egiziana – che corona la così detta stele di Balua34V. in particolare, con storia della scoperta e bibliografia, Routledge, Routledge 2009.: è un’iscrizione molto rovinata rinvenuta nel 1930 nel sito di Khirbet al-Bal‘ua in Giordania, nel territorio dell’antica Moab; è priva di un contesto archeologico sicuro ed è generalmente attribuita al periodo tra il XIV e il XII secolo a.C. su basi iconografiche e stilistiche. Allo stesso modo, non è stato decifrata la scrittura incisa su un gruppo di tavolette in argilla provenienti da Deir Alla, sempre in Giordania, datate tra il XIII e il XII secolo a.C., attribuite da alcuni ai Filistei e messe spesso in rapporto con la documentazione di ambito egeo (Shea 1989a e 1989b; de Vreeze 2019). Altri documenti isolati non hanno ricevuto interpretazione né sicuro collegamento con tipi di scrittura noti. Si tratta in particolare di due ostraka da Kamid el-Loz (Libano) datati intorno al 1400 a.C. che si è cercato di considerare tra i primi esempi di scrittura alfabetica (Mansfeld 1970; Vita 2004, pp. 20-23). Infine, segni incisi sull’orlo di un vaso trovato a el-Jisr, in Libano, non leggibili, sono stati considerati anch’essi come possibili attestazioni di una scrittura alfabetica del II millennio a.C.35Su queste iscrizioni indecifrate del Bronzo Tardo v. anche, brevemente, Garbini 2006, pp. 79-80..
Iscrizioni pseudo-geroglifiche di Biblo36V. Dunand 1945, che raccoglie tutte le iscrizioni da lui trovate, divide i segni in gruppi e tenta una decifrazione. In seguito, le proposte alternative sono state molteplici (v. in particolare Mendenhall 1985; Sznycer 1994; Garbini 2009); si vedano anche Israel 2003; Vita, Zamora 2018; Sass 2019. Il nome della scrittura è parso poco appropriato ed è stato sostituito con etichette del tipo “Sillabario di Biblo”, “Sillabario cananaico” o semplicemente “Scrittura di Biblo” (v. Vita, Zamora 2018, 75, nota 3).
Accanto a questi gruppi di documenti isolati, alcune interessanti iscrizioni sono state messe in luce a Biblo da M. Dunand, per la prima volta nel 1929 e poi in anni successivi. Lo studioso le ha chiamate “pseudo-geroglifiche” per la somiglianza dell’insieme dei segni con la scrittura egiziana (Fig. 11). Le iscrizioni sono 16 (comprendendovi un’iscrizione così detta enigmatica e i resti di testo inciso su una spatola iscritta in fenicio sull’altra faccia); sono incise sia su stele in pietra per lo più frammentarie, sia su placche e spatole in bronzo. Sono state classificate come pseudo-geroglifiche anche alcune brevi iscrizioni su piccoli oggetti, tra i quali un sigillo37L’elenco dei testi considerati “pseudo-geroglifici” e la storia degli studi sono in Israel 2003, Vita, Zamora 2018, Sass 2019..
Nonostante vari tentativi d’interpretazione, nessuna decifrazione può considerarsi verosimile e ciò anche a causa dello scarso numero dei testi e nonostante si presuma di avere a che fare con una lingua semitica e che alcuni (pochi) segni si ritrovino con forma simile in iscrizioni fenicie. Il numero dei segni, secondo il computo di M. Dunand, è di 114; dato che i documenti sono pochi, lo studioso ha supposto che il repertorio completo fosse più alto rispetto a quello testimoniato finora e che la scrittura usata fosse di tipo sillabico con l’uso di logogrammi, anche eventualmente in funzione di determinativi. Tentativi successivi non hanno portato a progressi sostanziali, se non all’identificazione di alcune sequenze da considerare come singole parole e possibili suffissi.
Come la lingua e la scrittura sono ignoti, anche la datazione delle iscrizioni è controversa perché i documenti sono stati tutti trovati fuori da un contesto sicuro. Le proposte sono dunque molteplici, da quella di Dunand che li poneva tra il 1800 e il 1600 a.C., a datazioni ancora più alte, e, infine all’ipotesi di B. Sass (2019), che suppone che questa scrittura sia stata usata tra il 900 e l’830 a.C. per esprimere la lingua fenicia in testi monumentali, quando l’alfabeto fenicio era già in uso in una forma corsiva adoperata su materiali deperibili.