1. Divenire Aten
Amenhotep IV/Akhenaten ereditò dal padre Amenhotep III un paese stabile e ricco. La XVIII dinastia (1539-1292 a.C. circa), di cui egli fa parte, era sorta a seguito della cacciata di una dinastia di sovrani stranieri (XV dinastia: 1630-1520 a.C. circa), i cosiddetti Hyksos, un termine di origine greca che deriva a sua volta dall’egiziano antico heqau-khasut, «capi delle terre straniere». Di origine cananea, gli Hyksos, dopo essersi stabiliti nella città di Avari (odierna Tell el-Dab’a) nel Delta Orientale, riuscirono a conquistare parte del territorio egiziano. La guerra di liberazione contro la prima dominazione straniera conosciuta dall’Egitto partì da Tebe, nel sud del paese. I principi tebani (XVII dinastia) affrontarono gli Hyksos per circa trent’anni, riuscendo a scacciarli sotto la guida del re Ahmose (1539-1514 a.C. circa), fondatore della XVIII dinastia. Il nuovo sovrano riunificò il paese e gettò le basi per un efficiente sistema amministrativo che permise ai suoi successori di ampliare i confini dell’Egitto. In particolare, i re Thutmose I (1493-1481 a.C. circa) e suo nipote Thutmose III (1479-1425 a.C. circa) intrapresero numerose campagne di conquista, verso sud e verso oriente, che portarono il paese a dominare un vasto territorio. La Nubia, con le sue miniere d’oro e altre risorse naturali, era sotto il dominio egiziano e nel Vicino Oriente le città dalla terra di Canaan alla Siria meridionale riconoscevano il faraone come loro sovrano, pagando tributi. L’Egitto divenne così una delle grandi potenze dell’epoca, accanto al regno dei Mitanni, Babilonia, Assiri e Hittiti.
Al pari di quanto era accaduto durante gli anni dei prestigiosi re della XII dinastia (1938-1755 a.C. circa), anche durante la XVIII dinastia il potere centralizzato ebbe base a Tebe, dove si trovava il tempio di Karnak (Ipet-sut in egiziano), sede del potente dio Amon.1Vedi Glossario – AMON: Dio raffigurato spesso come un uomo con una corona piumata. Nel Medio e Nuovo Regno fu considerato divinità locale di Tebe e dio della dinastia regnante. Il suo centro di culto principale fu il tempio di Karnak. Associato a Min, nella forma Amon-Min, divenne un dio della fertilità; associato a Ra, acquisì caratteristiche solari, divenendo Amon-Ra, il «re degli dei» e il garante del rinnovamento del mondo. Già secoli prima, il dio tebano, al fine di ampliare le proprie prerogative, fu associato ad altre divinità, come al dio della fertilità Min o al potere creativo di Ra, dio sole di Heliopoli, nella forma di Amon-Ra. Il «re degli dei» Amon e il suo tempio di Karnak tornarono a ricoprire un ruolo egemone nel panorama politico-religioso del paese, in quanto garanti e protettori del potere della corona. Uno dopo l’altro, i predecessori di Amenhotep IV/Akhenaten contribuirono, con l’aggiunta di nuove costruzioni, a rendere Karnak – con la sua cinta principale di Amon e quella dedicata alla dea Mut2Vedi Glossario – MUT: Era la compagna di Amon, adorata soprattutto a Tebe. Le sue origini sono oscure come quelle di Amon. Era raffigurata perlopiù come un avvoltoio o una donna con doppia corona. Mut, il cui nome significa «madre», fu associata a diverse divinità femminili, in particolare alla dea avvoltoio Nekhbet., compagna del dio – una tra le più ampie aree sacre mai costruite in Egitto e un centro assoluto del potere religioso. Le competenze di Amon arrivarono ad abbracciare qualunque ambito – il cielo, la terra e i fenomeni della natura – e da lui dipendevano il successo politico e militare dei sovrani e il benessere dei singoli individui. Senza mai negare il politeismo alla base della religione egiziana, i testi dell’epoca tendevano a presentare Amon/Amon-Ra come un dio egemone, in grado di incarnare il concetto stesso di divinità, e tutti gli altri dei come sue emanazioni.
L’apice della dinastia è forse costituito dai 37 anni di regno di Amenhotep III, contraddistinti da una serie di innovazioni iconografiche, architettoniche e culturali. Durante il suo regno, Amenhotep III sottolineò la natura divina del faraone e non esitò ad associarsi e identificarsi con altre divinità al fine di evidenziare le sue caratteristiche solari e il suo ruolo di benefattore verso l’Egitto e la sua gente. In un primo tempo, egli designò come suo successore il figlio maggiore Thutmose, ma a causa della morte prematura del principe, l’erede alla corona divenne il figlio minore che portava il suo stesso nome: Amenhotep, futuro Amenhotep IV/Akhenaten. Non sappiamo se ci sia stato un periodo di co-reggenza tra i due regni o se, come molti oggi ritengono, il giovane Amenhotep salì al trono solo dopo la morte del padre (Gabolde 1998, pp. 62-98; Dodson 2009, p. 6; Laboury 2010, pp. 61-62, 87-92). Non sappiamo neppure quanti anni avesse Amenhotep IV quando fu incoronato.3Durante la XVIII dinastia la conta degli anni aveva inizio a partire dalla data dell’incoronazione del sovrano in carica e non da quella dell’inizio del calendario ufficiale, fondato sull’inondazione annuale del Nilo, che si verificava in luglio. Si ritiene, sulla base dei documenti del regno di Amenhotep IV, che l’inizio dell’anno, che coincideva con la data dell’incoronazione (e in seguito dei suoi anniversari) avvenisse in un periodo tra la fine della stagione akhet, la stagione della piena del Nilo, e l’inizio della stagione peret, ossia della germinazione. Gabolde (1998, pp. 14-16) ha suggerito la data del secondo giorno del primo mese della stagione peret. Di certo doveva essere molto giovane, forse attorno ai 10-15 anni d’età, e ancora celibe, mentre il matrimonio con la regina Nefertiti, nota per il suo famoso busto al Museo di Berlino, fu celebrato entro il quarto anno di regno. Al pari di sua suocera Tye, Nefertiti non era, con tutta probabilità, di sangue regale.
Un’ipotesi accattivante, ma basata su nessuna prova concreta, suggerisce che la giovane regina fosse figlia dell’importante dignitario di corte Ay, destinato a divenire penultimo sovrano della dinastia. Qualunque sia stata la sua origine, Nefertiti appare assai di frequente nell’arte dell’epoca e svolse un ruolo di primissimo piano nel programma politico-religioso del marito. Nel corso della sua vita, ella diede alla luce sei figlie femmine: Meritaten, Meketaten, Ankhesenpaaten, Neferneferuaten Tasherit, Neferneferura e Setepenra, non di rado raffigurate assieme ai genitori. All’inizio del suo regno, il giovanissimo Amenhotep IV, in maniera conforme alla tradizione, fu raffigurato nell’atto di adorare diverse divinità – tra cui, ovviamente, Amon – anche se mostrò sin da subito un particolare interesse per la religione solare. Come vedremo, nel corso del tempo, e attraverso una serie di passaggi, il sovrano si distaccò in maniera sempre più radicale dalla religione tradizionale per presentarsi, assieme a Nefertiti, come promotore del culto del solo dio Aten. Per meglio marcare questa distanza dalla tradizione, nel quarto o quinto anno di regno egli cambiò il suo nome da Amenhotep, «Amon è soddisfatto», in Akhenaten, «Colui che è utile a Aten» o «Spirito di Aten», e organizzò la fondazione di una nuova città, chiamata Akhetaten, «Orizzonte di Aten», nei pressi dell’odierna Amarna, da cui deriva il termine utilizzato per indicare l’epoca di Akhenaten. La città, situata a circa 275 km a nord-ovest di Tebe, era circondata, in maniera del tutto inusuale, da 16 stele di confine, i cui testi riportano la fondazione del sito e parte del programma religioso ed edilizio del sovrano. Akhetaten occupava una vasta area e includeva una zona sacra, con il Tempio Maggiore (Per-Aten) e il Tempio Minore (Hut-Aten), costruzioni destinate alla residenza reale, un’area residenziale con abitazioni per l’élite, un villaggio di operai e un’area sepolcrale ricavata a ridosso del rilievo montuoso a est della città e suddivisa in tre zone principali: una zona a nord e un’altra a sud, entrambe con tombe di privati, e la necropoli reale, in una valle naturale nella roccia in direzione est.
Anche i canoni artistici subirono forti trasformazioni (Laboury 2009). Se all’inizio del regno del nuovo faraone l’arte esprimeva un’evidente continuità con il passato e aveva come punto di riferimento lo stile dell’epoca di Amenhotep III, a partire dal quarto anno di regno essa ruppe con la convenzione per aprirsi a idee innovative. Come vedremo, l’idea che la divinità potesse essere rappresentata, secondo la tradizione, come un uomo a testa animale fu rigettata. Pertanto, il dio sole, ormai unico dio, non apparve più in forma semi-antropomorfa, bensì attraverso la sua manifestazione visibile, come un astro da cui partono i raggi di luce. Anche la figura umana, soprattutto quella del re e della sua famiglia, fu modificata. Uno dei canoni caratterizzanti dell’arte egiziana, che voleva la figura umana vista in parte di profilo (volto, gambe, petto e braccia) e in parte di fronte (occhio e spalle), non fu messa in discussione. A cambiare furono lo stile e le proporzioni. Se un tempo le figure erano idealizzate e costruite su un gioco di rigide linee rette, la nuova arte predilesse le linee curve, che donavano movimento e fluidità. Si assiste a un allungamento smisurato del collo, delle mani, dei piedi e degli arti in generale, le cosce e il ventre sono pronunciati e il contrasto tra i fianchi e la vita è assai più marcato, così come marcati sono i tratti del volto. Questa stilizzazione, che influenzò la rappresentazione delle persone comuni, oltre a rendere la figura del re immediatamente riconoscibile, distante e diversa dagli altri sovrani d’Egitto, ebbe connotazioni ideologiche. La morbidezza delle linee rese la sua figura androgina (Robins 1993), forse al fine di equiparare la natura del re a quella della divinità, artefice del mondo e pertanto padre e madre del creato.
Da Akhetaten provengono le cosiddette “lettere di Amarna” (Tiradritti 2009), tavolette cuneiformi contenenti la corrispondenza dei faraoni con alcuni stati della regione siro-palestinese e con le maggiori potenze dell’epoca: Assiria, Mitanni, Babilonia, Hittiti, Arzawa (Turchia sud-occidentale) e Alashiya, da identificare con ogni probabilità con Cipro. Le lettere, che risalgono all’ultima fase del regno di Amenhotep III e al regno di Akhenaten (più incerta è la presenza di tavolette ascrivibili al regno di Tutankhamon), sono ritenute fonti di primaria importanza per la ricostruzione della politica estera egiziana, ciò nonostante l’atteggiamento di Akhenaten verso le popolazioni del Vicino Oriente rimane di difficile ricostruzione. Alcuni storici hanno restituito un quadro molto negativo, che ritrae Akhenaten concentrato a portare avanti la sua riforma religiosa e non interessato a mantenere intatto il dominio egiziano sui territori conquistati dai suoi predecessori, neppure quando questi erano minacciati. In più di un’occasione, il faraone sembra ignorare le richieste d’intervento da parte dei piccoli stati vassalli, alcuni dei quali non tardarono a passare sotto l’influenza di Suppiluliuma, re degli Hittiti, la cui zona di influenza si stava sempre più espandendo a scapito anche dell’Egitto. Akhenaten era comunque ben consapevole dell’importanza di mantenere il controllo dell’accesso all’Egitto dal Delta, come dimostrano tracce di una sua presenza nel Sinai; e anche in Nubia non esitò a reprimere una rivolta, come testimoniano due stele lasciate a Buhen e Amada (Laboury 2010, pp. 292-293).
Se Akhenaten mostrò un modesto interesse per ciò che accadeva al di fuori dei confini egiziani, non gli mancò di certo la volontà necessaria a imporre una radicale riforma interna. Nel corso del suo regno, il sovrano mostrò una salda determinazione a trasformare la tradizione millenaria del suo paese, toccandone diversi aspetti, dal sistema figurativo all’architettura, dalla religione alla concezione della regalità, su cui l’Egitto si fondava.
Ma la forza della tradizione ebbe il sopravvento e il progetto di Akhenaten fallì. Alla sua morte, l’Egitto ritornò velocemente sui suoi passi, cercando di dimenticare – per quanto possibile – il re e la sua politica.
La religione instaurata da Akehnaten si basa su un culto esclusivo per il dio Aten. Ma da dove deriva questa divinità che per un brevissimo periodo della storia egiziana antica surclassò qualunque altro dio o dea? A parte una prima attestazione risalente alla V dinastia (2450-2325 a.C. circa), il termine jtn (aten) ricorre con una certa frequenza nei cosiddetti Testi dei Sarcofagi (2200-1800 a.C. circa), un insieme di formule scritte soprattutto su sarcofagi e che costituivano una sorta di guida dell’aldilà per il defunto. Il termine aten è qui utilizzato per indicare il «disco» del sole (Redford 1976; Goldwasser 1997; Hoffmeier 2015, pp. 76-82). Illuminante è la formula 355: «O Ra che sei nel tuo uovo, che sorgi nel tuo disco (aten) e risplendi nel tuo orizzonte (akhet), che nuoti nel firmamento – senza un tuo uguale tra gli dei – che navighi oltre i sostegni di Shu [= le nuvole, o il cielo], che doni i venti con il respiro della tua bocca e che illumini le Due Terre [= Egitto] con i tuoi raggi». L’immagine del dio sole chiuso nel suo uovo, che evoca l’idea di un dio immobile, è seguita da immagini che descrivono il dio in azione: in primo luogo egli sorge come disco, per poi risplendere all’orizzonte e iniziare a emanare luce, ossia calore, e i venti, ossia il respiro. Più che indicare un nome del dio Ra, jtn è una sua manifestazione e la fonte da cui ha inizio la vita diurna.
Il termine aten ricorre anche nel Racconto di Sinuhe, un noto testo letterario dell’inizio della XII dinastia, in cui si narrano le vicende di un egiziano di nome Sinuhe, il quale, sulla strada di ritorno da una spedizione in Libia guidata dal principe Senusret (futuro Senusret I), apprende della morte improvvisa del re Amenemhat I (1938-1908 a.C. circa) a palazzo e, in preda a un’inquietudine improvvisa, decide di abbandonare la spedizione e fuggire verso la Siria, dove verrà accolto da una tribù di Beduini. La morte di Amenemhat I è descritta come un ritorno al disco, fonte di vita: «Il dio [= il re] è salito al suo orizzonte (akhet), il re dell’Alto e del Basso Egitto Sehetepibra [= Amenemhat I] è asceso al cielo, unito con il disco (aten), la carne del dio [= del re] assorbita in colui che lo ha creato» (Le Guilloux 2005, pp. 24-25). Nell’immagine del disco del sole è insita anche l’idea del movimento e il suo percorso nel cielo diventa una metafora del potere del faraone sull’intera terra. In un altro passo del Racconto di Sinuhe, il protagonista si rivolge a Senusret I, figlio e successore di Amenemhat I, dicendo: «la paura per te si è estesa nelle terre e nei paesi stranieri, poiché tu hai sottomesso ciò che il disco (aten) circonda» (Le Guilloux 2005, pp. 62-63).
L’associazione tra la luce del disco e l’idea del potere universale della monarchia fu ripresa a partire dalla XVIII dinastia, quando il paese iniziò a espandere i suoi confini verso l’esterno, alla conquista di nuovi territori. Allo stesso tempo, i significati espressi dal termine jtn iniziarono ad arricchirsi di nuove sfumature. Su una stele dal tempio di Karnak del regno di Ahmose, primo re della dinastia, jtn non sembra più indicare, infatti, la mera presenza fisica del sole nel cielo diurno, ma un nome del dio sole stesso, al pari di Ra, Khepri e Atum4Vedi Glossario – ATUM: Dio primordiale e solare, ritenuto il creatore del mondo per eccellenza. Raffigurato sempre sotto forma umana, era a capo dell’Enneade di Heliopoli; fu poi venerato come manifestazione del sole al tramonto.. Il re «è come Ra quando sorge, come la luce di Aten (aten), come l’apparire di Khepri alla vista dei suoi raggi in cielo, come Atum nel cielo orientale»; nello stesso monumento, il sovrano è descritto governare «ciò che il disco/Aten (aten) ha circondato» (Sethe 1906-09, p. 19). Lo stesso viene detto di Thutmose I, con la differenza che il nome jtn termina con il geroglifico rappresentante un dio seduto (Sethe 1906-09, p. 82), a conferma di come ormai esso sia percepito come un vero e proprio nome divino. Durante i regni di Thutmose IV (1400-1390 a.C. circa) e di suo figlio Amenhotep III – padre di Akhenaten – l’associazione tra il re e il dio sole divenne ancor più evidente: il nome di Aten inizò ad apparire non di rado nelle fonti accanto a quello del re e frequenti diventarono i riferimenti al fatto che il dominio del faraone si estendeva a tutto ciò che il disco circonda (Helck 1955-58, pp. 1667, 1696, 1702); inoltre, Amenhotep III inventò un epiteto specifico per se stesso, «abbagliante Aten/disco» (aten tjehen) (Hoffmeier 2015, pp. 79-81), a dimostrazione di come le figure del re e del dio sole trovassero nell’idea della luce e della brillantezza il loro punto di convergenza.
Mentre Aten si affacciava con discrezione sulla scena religiosa, durante la XVIII dinastia il dio tebano Amon, il «re degli dei», fu assimilato in maniera sempre più marcata al dio sole, nella sua forma Amon-Ra. Sin dalle sue prime apparizioni durante l’inizio del Medio Regno (2010-1630 a.C. circa), Amon di Tebe aveva plasmato la sua personalità ispirandosi a quella di Ra, dio sole di Heliopoli. Con la XVIII dinastia, Amon di Karnak si era ormai trasformato in un dio solare, un demiurgo posto al centro del mondo divino e le cui competenze investivano l’intero cosmo. La politica espansionistica, verso sud e verso oriente, intrapresa dai nuovi faraoni di Tebe fece sì che Amon acquisisse caratteri universali. Fu proprio durante il regno di Amenhotep III – un periodo di fervore intellettuale e prosperità senza precedenti – che si assistette all’apice di entrambi questi fenomeni.