1.4. La miniaturizzazione
Fin dagli albori della civiltà la tecnologia ha operato su materiali di vario tipo lavorandoli, trasformandoli e forgiandoli con arnesi sempre più sofisticati fino a trasformarli in oggetti utili. La possibilità di disporre di molecole aventi le caratteristiche desiderate permette ora di pensare ad una tecnologia che opera a livello molecolare, cioè nanometrico: è la nanotecnologia. Per meglio comprendere i termini essenziali dell’argomento, consideriamo il problema della miniaturizzazione.
Il primo computer elettronico venne costruito nel 1946 dall’Università della Pennsylvania su richiesta dell’esercito degli Stati Uniti d’America. Si chiamava ENIAC, occupava lo spazio di un appartamento (180 m2), pesava 30 t, consumava 200 kW, conteneva 18.000 valvole termoioniche, 1.500 relé, fili, giunzioni e si rompeva molto frequentemente. La sua potenza di calcolo era irrisoria se confrontata con quella di un odierno smartphone. Come è avvenuta la rivoluzione che ha portato agli attuali computer? Con una sempre più spinta miniaturizzazione che ha portato a ridurre le dimensioni dei vari componenti e, più frequentemente, alla loro sostituzione. Nella corsa verso la miniaturizzazione (Fig. 7) si è seguito l’approccio dall’alto (in inglese, top down) lavorando, con tecniche speciali, pezzi macroscopici di materiali. Questo approccio, però, ha limitazioni intrinseche; in pratica non si può scendere al di sotto di qualche decina di nanometri. Si tratta già di dimensioni molto piccole (circa un millesimo dello spessore di un capello), ma, come ha osservato il fisico Richard Feynman in una famosa conferenza (della quale parleremo più estesamente nel Capitolo 3) alludendo alle dimensioni degli atomi e delle molecole, «c’è un sacco di spazio laggiù in fondo» (Feynman 1960). Per proseguire nel processo di miniaturizzazione occorre trovare strade alternative a quelle usate finora. Fra queste, particolarmente promettente è il cosiddetto approccio dal basso (bottom up), in base al quale i sistemi ultraminiaturizzati vengono ottenuti da componenti molecolari che sono programmati per integrarsi dal punto di vista strutturale e interagire dal punto di vista funzionale, secondo i principi della chimica supramolecolare.
La Natura è maestra insuperabile in questa operazione di costruzione dal basso: ha preparato dapprima un numero grandissimo di molecole perfettamente programmate che nel corso della evoluzione hanno poi dato origine a tutti i congegni e le macchine molecolari che ci permettono di camminare, mangiare, parlare, vedere, pensare: insomma, di vivere. Tutti i congegni e le macchine biologiche e, salendo nella scala della complessità, anche le cellule, i tessuti, gli organi, gli apparati e, infine, gli individui, si formano in Natura per autoassemblaggio (cioè per assemblaggio spontaneo) di componenti più semplici, misteriosamente e appositamente programmati. Salendo passo dopo passo la scala della complessità, la Natura è così giunta a quella estrema meraviglia che è l’uomo.
Nei loro laboratori gli scienziati non sono capaci di salire la scala della complessità dall’atomo all’uomo. Sono capaci di manipolare, anche pesantemente, la vita, ma non sono capaci di costruirla, neppure nella sua forma più elementare, quella della cellula di un batterio. Gli scienziati hanno però imparato a sintetizzare molecole programmate per costruire dal basso nanostrutture capaci di compiere funzioni in seguito a stimoli elettrici, chimici o luminosi. Hanno creato, cioè, congegni e macchine a livello molecolare che, pur essendo molto più semplici di quelle che si trovano negli organismi viventi, sono ugualmente interessanti dal punto di vista scientifico e utili per molte applicazioni.