1. La Rivoluzione
James Buchanan, il segretario di Stato (e futuro presidente), aveva informato Nicholas Brown della sua nomina a console degli Stati Uniti a Roma nel luglio 1845. Il fatto che non parlasse italiano a quanto pare non costituì un ostacolo1In una lettera scritta da un cittadino americano che era stato l’assistente di Brown nel suo primo anno a Roma, oltre alla denuncia della poca considerazione ricevuta da Brown durante il soggiorno in Italia, si asserisce che Brown non parlava altra lingua all’infuori dell’inglese (James Brent Clark a James Buchanan, Roma, 28 gennaio 1847; Stock 1945, pp. 92-93). Sembra plausibile che Brown non conoscesse l’italiano al suo arrivo, ma di certo conosceva il francese e infatti nel suo archivio ci sono lettere scritte di suo pugno in questa lingua.. Giunse a Roma nel mese di dicembre, ma la sua prima corrispondenza iniziò ad arrivare a Buchanan solo nel mese di aprile 1846, quando richiese il permesso di assentarsi da Roma durante i mesi in cui, così scriveva, «non è considerato salutare per gli stranieri rimanere in città»2Stock 1945, pp. 91-92 (Buchanan a Brown, 26 luglio 1845; Brown a Buchanan, Roma, 22 dicembre 1845 e 18 aprile 1846). Il volume di L.F. Stock, Consular Relations between the United States and the Papal States, contiene la corrispondenza tra Brown e il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.. Brown, infatti, interpretava il concetto di “stagione della malaria” in un modo a dir poco generoso, rimanendo assente da Roma da maggio a settembre.
Il nuovo console americano in effetti non ritenne necessario tornare a Roma nemmeno quando, il 1° giugno 1846, papa Gregorio XVI morì. In pochi piansero la scomparsa di questo papa reazionario, che aveva regnato per 15 anni, e la paura di rivolte tese a instaurare un governo laico e democratico era assai diffusa. Nella speranza di trovare qualcuno che potesse tranquillizzare la popolazione e preservare il governo teocratico, i cardinali elessero il cinquantaquattrenne vescovo di Imola, Giovanni Mastai-Ferretti, che prese il nome di Pio IX.
Dopo il suo ritorno a Roma in autunno, il resoconto iniziale di Brown al segretario di Stato Buchanan rifletteva l’entusiasmo diffuso per l’uomo che era visto come il papa riformatore: «Pio IX è molto popolare tra i suoi sudditi», scriveva Brown, «per aver concesso un’amnistia per tutti i prigionieri [politici] […] e per aver concesso il permesso al passaggio della linea ferroviaria attraverso i territori dello Stato»3Brown a Buchanan, Roma, 1 novembre 1846 (Stock 1945, p. 92).. In effetti, questo entusiasmo era condiviso anche dal presidente Polk che consigliò che le relazioni diplomatiche con la Santa Sede divenissero stabili. Nel marzo 1848 il Congresso approvò gli stanziamenti necessari e un chargé d’affaires, Jacob Martin, venne nominato per rappresentare gli Stati Uniti presso la corte papale. Mostrando più entusiasmo per il suo lavoro rispetto a quanto non facesse Nicholas Brown – ma sicuramente meno prudenza – Martin arrivò a Roma proprio al culmine della stagione malarica, intorno ai primi di agosto 1848. Morì entro la fine dello stesso mese4Rossi 1954, pp. 62-63; Liedekerke 1949, p. 100; Marraro 1944, pp. 489-494.. Di conseguenza, nel corso dei successivi mesi cruciali, solo Nicholas Brown avrebbe rappresentato gli Stati Uniti a Roma.
Eppure, sin dal primo momento della sua nomina a Roma, Brown non ritenne necessario restare oltre i mesi invernali; sappiamo che nel 1846, 1847 e 1848 andò via da Roma in aprile e tornò solo in autunno, lasciando il Consolato, sia nel 1847 che nel 1848, nelle mani di Antoine Ardisson, un francese residente a Roma5I primi resoconti di Ardisson a James Buchanan erano scritti in francese; successivamente, forse dopo essere stato informato che l’inglese era d’obbligo, vennero redatti in un inglese scarsamente corretto. Ardisson mandò quindici resoconti a Buchanan, tra l’8 agosto e il 28 novembre 1847, e altri sette in seguito, tra il 3 aprile e il 25 ottobre 1848. Il primo resoconto di Brown successivo a quello della primavera del 1848 (6 giugno) fu spedito il 12 dicembre di quello stesso anno (Stock 1945), dunque lui potrebbe non essere stato a Roma quando Rossi fu assassinato e il papa lasciò la città..
Il passaggio di Pio IX da eroe popolare a personaggio malvagio avvenne con velocità spaventosa. Il movimento risorgimentale stava prendendo forza. I sostenitori di una moderna nazione italiana – almeno molti dei moderati al loro interno – avevano sperato che il nuovo papa potesse essere il centro propulsivo attorno al quale gli italiani avrebbero unito le proprie forze e cacciato gli austriaci che occupavano la parte nord-orientale della penisola e controllavano gran parte del resto dell’Italia attraverso matrimoni e alleanze. Alcuni sognavano addirittura una federazione di stati italiani sotto la guida del papa stesso6Tra i promotori più influenti dell’unificazione italiana in nome del papa c’era il sacerdote e politico Vincenzo Gioberti (1843)..
Il fervore patriottico che circondava il papa si dissolse improvvisamente quando, nel mese di aprile 1848, Pio IX dichiarò che non avrebbe sostenuto gli sforzi per spingere gli austriaci fuori dall’Italia. Né, disse, avrebbe potuto approvare un governo dello Stato Pontificio che fosse posto sotto il controllo di laici, una delle richieste principali avanzate dai riformatori. Il 15 novembre, nel centro di Roma, gli insorti uccisero Pellegrino Rossi, il primo ministro del papa: il coltello di un assassino ne recise di netto la gola. In migliaia si riversarono nella piazza antistante il palazzo pontificio del Quirinale, puntando un cannone contro l’ingresso e chiedendo che fosse accettata e riconosciuta la forma di governo da loro indicata.
Abbandonato dai suoi stessi cardinali che fuggivano per mettere in salvo le proprie vite, Pio IX si trovò solo. Una settimana più tardi, con l’aiuto dell’ambasciatore bavarese e di quello francese, riuscì a sgattaiolare fuori dalla porta posta sul retro del suo palazzo e, travestito da semplice prete, fuggì alla volta della fortezza di Gaeta, nel Regno delle Due Sicilie. Gli eventi precipitarono rapidamente. Il papa rifiutò di incontrare la delegazione del governo provvisorio di Roma inviata per convincerlo a tornare. In risposta i ribelli convocarono un’elezione, sulla base del suffragio universale (maschile), al fine di eleggere un’Assemblea Costituente che determinasse una nuova forma di governo per lo Stato Pontificio. Ai primi di febbraio l’Assemblea si riunì a Roma e il 9 febbraio 1849 proclamò la nascita della Repubblica Romana. La forma di governo, enunciavano gli articoli fondamentali, sarebbe stata quella della «democrazia pura»7Diurno, 1849, p. 3; Patuelli 1998, p. 44..
Mentre l’élite romana fuggiva terrorizzata dalla città, Nicholas Brown trovava gli eventi inebrianti. Il 12 dicembre aveva inviato un lungo rapporto a James Buchanan. Il suo racconto piuttosto colorito dell’omicidio del primo ministro del papa mostrò quanta poca simpatia nutrisse per il collega italiano. «Il sole della verità e della libertà è sorto all’orizzonte d’Italia e, sebbene le nebbie della superstizione e le nuvole dell’oscurantismo potrebbero, ancora per un po’, nascondere la sua brillante sfera, tuttavia la sua influenza vivificante nel tempo le disperderà». E, in riferimento all’assassinio, scrisse: «Rimossa in tal modo la chiave di volta dell’arco della corruzione, l’edificio è caduto a terra all’istante». Egli dipinse poi un quadro roseo di Roma in seguito alla partenza del papa: popolo soddisfatto, ordine mantenuto, e uomini di carattere al timone del governo8Brown a Buchanan, Roma, 12 dicembre 1848 (Stock 1945, pp. 129-136)..
A metà gennaio 1849 il papa inviò una feroce protesta a tutti i diplomatici stranieri di Roma. Brown ne inviò una traduzione in inglese a Buchanan.
«Malgrado la senile, tautologica prolissità di questo straordinario documento», spiegava Brown, «ho pensato che fosse meglio trasmetterlo integralmente […] piuttosto che tentare di farne un compendio, che difficilmente potrebbe rendere giustizia alla sua imbecillità». E continuava: «I commenti sul suo contenuto devono apparire superflui perfino al cittadino illuminato della nostra grande repubblica. Il tutto si regge sul presupposto, difficilmente concepibile nel XIX secolo, che il trono di questo paese, e il governo dispotico sopra i suoi tre milioni di abitanti, spetti al Soglio Pontificio. Ma queste assurdità sono abbastanza fuori moda»9Brown a Buchanan, Roma, 16 gennaio 1849 (Stock 1945, pp. 141-145).. Due settimane più tardi, Brown riferì a Buchanan, con vivo entusiasmo, i risultati delle elezioni per l’Assemblea Costituente di Roma. Mentre il papa e i suoi sostenitori stavano dipingendo un quadro di caos e di violenza a Roma, Brown concluse il suo resoconto con un punto di vista completamente differente. «Ordine e pace», scriveva, «non hanno mai regnato più profondamente, all’interno delle sue antiche mura»10Brown a Buchanan, Roma, 1° febbraio 1849 (Stock 1945, pp. 149-155)..
Tutti gli ambasciatori stranieri presso la Santa Sede avevano lasciato Roma per unirsi al papa a Gaeta, come egli stesso aveva espressamente richiesto, ma Brown rimase dov’era11Come fecero diversi altri consoli a Roma.. Nessun’altra nazione aveva riconosciuto la legittimità della Repubblica Romana di recente proclamata, ma Brown non ritenne necessario attendere istruzioni da Washington. Il 5 febbraio, i nuovi membri eletti della Costituente sfilarono attraverso le strade di Roma per raggiungere la loro nuova sede. «Ho pensato che fosse mio dovere, come cittadino americano», Brown informò Buchanan, poco dopo il fatto, «rendere omaggio al principio della sovranità popolare, di cui la nostra gloriosa Repubblica è l’incarnazione vivente. Di conseguenza, ho accompagnato lo splendido corteo nella mia divisa ufficiale». La domenica seguente, Brown partecipò a una messa speciale di ringraziamento organizzata dai dirigenti della Repubblica Romana, che si tenne nella Basilica di San Pietro12Brown ne dà questa descrizione: «alla presenza di una folla immensa, di tutti i deputati, delle autorità pubbliche e di un corpo numeroso di guardie civiche e truppe […] fu reso grazie alla Divina Provvidenza per l’avvento della Repubblica» (Brown a Buchanan, Roma, 12 febbraio 1849, in Stock 1945, pp. 156-157). Il carteggio Brown contiene una lettera dal Ministero dell’Interno della Repubblica Romana con due biglietti per la riunione dei diplomatici alla Tribuna della sala dell’Assemblea Romana. In quello stesso periodo, Buchanan incaricò Lewis Cass Jr. di rimpiazzare il defunto Jacob Martin come «chargé d’affaires americano a Roma» (Buchanan a Lewis Cass Junr., 16 febbraio 1849, in Buchanan 1909, p. 332). Buchanan inoltre spiegava così la posizione degli Stati Uniti: «nonostante il riconoscere ufficialmente governi esistenti sia stato sia politica che pratica comuni di questo governo, senza investigare la loro legittimità; tuttavia tali governi prima di essere riconosciuti come ufficiali dovrebbero aver dato prova dei propri intenti e della propria autorità per riuscire a mantenere la loro indipendenza. Questo non può ancora dirsi del suddetto governo di Roma. La sua recente creazione e le quasi insormontabili difficoltà che lo circondano rendono estremamente difficile comprendere se sarà in grado di sostenersi». Buchanan aggiungeva: «Certamente ritengo che una veloce restaurazione del potere pontificio sia altamente probabile, se non assolutamente certa»..
Incapace di contenere il suo entusiasmo, Brown, in data 11 febbraio, inviò al Presidente ad interim dell’Assemblea Costituente una lettera di congratulazioni per la proclamazione della Repubblica Romana e la fine del dominio pontificio. Sebbene, scrisse, non fosse ancora nella posizione di poter fare alcuna dichiarazione ufficiale per conto del governo degli Stati Uniti, non provava alcuna «esitazione nell’affermare che è sempre stato un principio cardine, rispettato in modo uniforme, e in ogni circostanza, dal Governo degli Stati Uniti d’America, riconoscere, come supremo, qualsiasi governo che un popolo scelga di istituire» […] «È così perfettamente conosciuta questa grande verità», informava i vertici della Repubblica Romana, «e così profondamente radicato in ogni cuore americano l’amore per la libertà, che la Nazione riconoscerà con gioia all’istante l’indipendenza della Repubblica Romana, molto tempo prima che i loro agenti diplomatici abbiano avuto il tempo, in forma ufficiale, di dare espressione ai generosi sentimenti del loro elettorato»13Nicholas Brown a Monsignor Muzzarelli, Roma, 11 febbraio 1849, Consolato americano (Stock 1945, p. 158).. Una settimana dopo Brown scrisse al ministro degli Esteri della Repubblica Romana, Carlo Rusconi, esprimendo il suo entusiasmo per l’appena proclamata Repubblica e promettendo che presto gli Stati Uniti avrebbero riconosciuto il nuovo governo di Roma14Vedi Documento n. 1 in “SELEZIONE DI DOCUMENTI DAL FONDO NICHOLAS BROWN, JOHN HAY LIBRARY, BROWN UNIVERSITY”: Rusconi a Brown, 18 febbraio 1849, fondo Nicholas Brown..
È da questi esaltanti primi giorni della Repubblica Romana che è giunto a noi uno dei più significativi documenti rinvenuti nei Nicholas Brown papers, che si trovano nella Brown University: un biglietto di Carlo Bonaparte, nipote dell’Imperatore francese e cugino del neo-eletto presidente di Francia, Luigi Napoleone.
Carlo Bonaparte fu una delle figure chiave della Repubblica Romana: insigne studioso di scienze naturali, vissuto per molti anni negli Stati Uniti, fu un grande agitatore e vice presidente dell’Assemblea Costituente. Scrisse in inglese la sua risposta all’invito di Brown per la cena in onore del compleanno di George Washington il 22 febbraio:
Carlo Bonaparte accetta con piacere il gentile invito del Console degli Stati Uniti a cena alle sei di giovedì 22, anniversario della nascita del
primo in guerra
primo in pace
primo nei cuori dei suoi compatrioti
20 Feb. 184915Vedi Documento n. 2 in “SELEZIONE DI DOCUMENTI DAL FONDO NICHOLAS BROWN, JOHN HAY LIBRARY, BROWN UNIVERSITY”: Carlo Bonaparte a Nicholas Brown, 20 febbraio 1849, fondo Nicholas Brown.
Eppure, nel clima di eccitazione presente a Roma, qualche presentimento di sventura cominciò a profilarsi all’orizzonte. Dal suo rifugio nella fortezza di Gaeta, il papa esortava le potenze cattoliche d’Europa a inviare i loro eserciti per aiutarlo a ristabilire il suo potere. Il 7 marzo, Brown si rammaricava di tutto quello che sarebbe andato perduto se la Repubblica Romana fosse caduta: la fine dell’Inquisizione e delle sue carceri; la libertà di stampa; la collocazione delle scuole e delle università sotto il controllo laico. Per esistere come potere temporale, spiegava Brown al segretario di Stato americano, il papato «deve essere una teocrazia, e in tal modo radicalmente diverso da qualsiasi governo civile ormai consolidato in tutto il mondo»16Brown a Buchanan, Roma, 7 marzo 1849, Consolato americano (Stock 1945, pp. 162-165)..
Mentre l’identificazione pubblica di Nicholas Brown con i leader della Repubblica Romana e con la causa anti-papale ne stava facendo una figura popolare a Roma, al contempo questo atteggiamento cominciava a provocare un crescente disagio a Washington. Per tentare di frenarlo, a metà febbraio il Presidente nominò un nuovo incaricato nello Stato Pontificio, riempiendo così il posto lasciato vacante diversi mesi prima dall’improvvisa morte di Martin. Buchanan diede istruzioni al nuovo chargé d’affaires, Lewis Cass Jr., di non riconoscere la Repubblica Romana che, ne era convinto, sarebbe stata presto piegata dagli eserciti europei invasori17Buchanan a Lewis Cass Jr., Washington, 16 febbraio 1849 (Stock 1933, pp. 17-18)..
Arrivato a Roma il 2 aprile, Cass iniziò a inviare il proprio rapporto a Washington18Erano indirizzati al nuovo segretario di Stato, John Clayton, che si era insediato con la nuova presidenza di Zachary Taylor. Clayton inviò una circolare a Brown l’8 marzo 1849 informandolo della nomina (fondo Nicholas Brown).. Sebbene di chiari sentimenti repubblicani (suo padre era stato, l’anno precedente, il candidato – senza successo – del Partito democratico alla presidenza degli Stati Uniti), il tono di Cass era decisamente differente da quello di Brown. Laddove i rapporti di Brown erano pieni di invettive contro i mali della teocrazia e di elogi delle grandi virtù della Repubblica Romana, il nuovo chargé d’affaires offriva una visione decisamente più sobria. «L’Italia», riferiva, «è in uno stato di confusione e di miseria che non aveva più visto dal Medioevo». Con ogni probabilità, prevedeva, le truppe austriache avrebbero presto marciato verso sud per ripristinare lo Stato Pontificio19«Ora, con ogni probabilità,» – aggiunse Cass – «nel corso di un mese il Pontefice rien- trerà in Vaticano». Cass a John M. Clayton, Legation of the United States, Roma, 9 aprile 1849 (Stock 1933, pp. 18-25).. Nello stesso momento in cui Cass inviava a Washington questo rapporto, Brown stava partecipando alla nuova cerimonia di preghiera promossa dalla Repubblica Romana in San Pietro20L’invito dal Ministro Sostituto degli Affari Esteri della Repubblica Romana a Brown è datato 7 aprile 1849 ed esorta a prendere parte alla cerimonia delle 11 del mattino a San Pietro (fondo Nicholas Brown)..
Il contrasto tra i panegirici di Nicholas Brown alla Repubblica Romana e le caute relazioni inviate da Cass a Washington divenne molto più marcato quando gli eventi si avvicinarono alla loro sanguinosa conclusione. Il 24 aprile Brown ricevette un messaggio urgente da Alfred Lowe, il vice console degli Stati Uniti a Civitavecchia, che riportava gravi notizie. Il generale Charles Oudinot era da poco sbarcato a Civitavecchia con 1.320 soldati. Il giorno dopo seguì un ulteriore messaggio di Lowe a Brown. Tredici navi da guerra francesi erano arrivate al porto e altre migliaia di soldati stavano sbarcando. La bandiera francese era stata issata a fianco della bandiera della Repubblica Romana, sulla cima della fortezza che si affaccia sul mare.
Il 28 aprile Brown ricevette un nuovo messaggio urgente da Lowe. Migliaia di soldati francesi erano sbarcati e marciavano verso Roma21Queste tre lettere sono nel carteggio di Nicholas Brown. Lowe era inglese, nonostante fosse il vice console americano a Civitavecchia e aveva iniziato a ricoprire tale carica solo quattro mesi prima (Stock 1945, p. 129).. Brown scrisse un drammatico appello a Washington. Le giustificazioni addotte per non riconoscere la legittimità della Repubblica Romana, dichiarava, erano infondate. Ben lontana dalla “anarchia disperata” e dalla mancanza di sostegno popolare alla causa repubblicana di cui il partito clericale stava blaterando, «in realtà Roma non ha mai visto più calma, più ordine […] E così per l’anarchia che non è mai esistita, se non nella fantasia di sognatori spaventati e fanatici, o nelle relazioni dei calunniatori interessati e dei mercenari mendaci». La verità, insisteva Brown, era che la maggior parte dei romani era «a favore di questo governo di auto-governo, di tutte quelle libertà tanto care a ogni americano…». Era difficile da dubitare, riconosceva Brown, che il potente esercito francese avrebbe potuto conquistare Roma per il papa. «Ma», aggiungeva, «i cuori, le menti, il giudizio dei romani saranno ancora, in silenzio e segretezza […] tesi a venerare e nutrire la memoria della Repubblica perduta; come la madre appassionata, la cui prole è stata massacrata, davanti ai suoi stessi occhi senza lacrime, dalla mano spietata del barbaro macchiato di sangue, che nutre […] il suo dolore e le sue aspirazioni in attesa della vendetta»22Brown a Clayton, Roma, 30 aprile 1849, Consolato americano (Stock 1945, pp. 171-173)..
Tutto questo appare in netto contrasto con le relazioni di Cass dello stesso periodo. Con l’esercito francese in marcia su Roma, il 27 aprile egli scriveva che non era possibile immaginare che i romani potessero opporre una seria resistenza. Il governo romano, scrisse, «appare imbarazzato e indeciso in merito alla direzione da prendere. Questa esitazione […] ha suscitato nel popolo numerose scatenate espressioni di malcontento e avversione»23Cass a Clayton, Legation of the United States, Roma, 27 aprile 1849 (Stock 1933, pp. 32-34).. Gli eventi successivi, però, dimostrarono che Brown era stato più lungimirante, poiché in realtà quando l’esercito francese arrivò a Roma il 30 aprile, venne accolto con ferocia inaspettata dai difensori della Repubblica Romana, guidati dallo spavaldo Giuseppe Garibaldi. I francesi dovettero ripiegare in una frettolosa e imbarazzante ritirata.