IV. L’ALFABETO GRECO: ORIGINE, DIFFUSIONE E DERIVATI CRISTIANI
L’alfabeto greco1Più noti manuali, che trattano anche dell’origine dell’alfabeto: Guarducci 1987; Jeffery, Johnston 1990; sui singoli problemi, v. Lazzarini 1999.
Quasi tutte le scritture che usiamo in occidente derivano direttamente o indirettamente dall’alfabeto greco adattato da quello fenicio. L’ampia diffusione del sistema greco si considera dovuta all’annotazione costante in questa scrittura di segni appositi per indicare i suoni vocalici; di conseguenza questo tipo di alfabeto è stato considerato il più adatto a esprimere quasi ogni tipo di lingua e contemporaneamente a permettere di formulare e trasmettere ogni tipo di conoscenza. Questa constatazione è certamente in parte esatta: in teoria il sistema greco ha fatto sì che ogni suono potesse essere annotato da una singola lettera e quindi qualsiasi fonema a essere teoricamente indicato in maniera precisa e non ambigua. Nella storia della scrittura, tuttavia, questa corrispondenza non si è mai verificata completamente e ogni scrittura, per ragioni sia storiche sia fonetiche rispetto al sistema originario, si discosta dall’astratta definizione di alfabeto. L’affermazione dell’alfabeto greco è da attribuire non tanto o solo alla sua funzionalità, ma a ragioni di carattere storico: è infatti in stretto rapporto con i fenomeni commerciali e coloniali che hanno portato genti di lingua greca sulle coste asiatiche e in Occidente e, più o meno contemporaneamente, genti fenicie in Anatolia, nel Levante, nelle Isole egee e nel Mediterraneo occidentale. Rispetto alla funzionalità dei diversi sistemi di scrittura, ognuno è in grado di esprimere e trasmettere qualsiasi tipo di concetto. Un esempio è quello di Cipro, dove la scrittura sillabica derivata dal cipro-minoico, non è meno performante dell’alfabeto greco che non s’impose che molto tardi, dopo la caduta dei regni locali (ca. 312 a.C.); ciò dimostra, al di là di questioni identitarie, che qualsivoglia sistema fatto proprio da una comunità è del tutto sufficiente alle necessità di redigere e comprendere esattamente un testo di qualsiasi genere e natura (Morpurgo Davies 1986).
Del legame tra scrittura greca e fenicia erano ben consci gli antichi (cf. Erodoto, V, 57-58 e il nome di phoinikéia grámmata “lettere fenicie” dato alla scrittura), anche se le opinioni non sono del tutto concordi ed esistono altre tradizioni. Con il crollo della società legata ai palazzi micenei, intorno al XII secolo a.C., la scrittura lineare B, che annotava nel periodo del Bronzo Tardo la lingua greca, cade in disuso e viene dimenticata; la società, ora mutata nella sua organizzazione (non più accentrata intorno ai palazzi), riacquista col tempo l’uso dello scritto secondo il sistema alfabetico venendo in contatto con il Vicino Oriente. L’alfabeto greco, già dalle sue prime manifestazioni, presenta varietà locali nella forma e nella funzione di alcuni segni. Però, l’uso costante dei medesimi caratteri per la prima annotazione delle vocali – così come la conservazione dell’ordine oramai canonico delle lettere nella serie alfabetica oltre al nome dei segni, uguale nelle due lingue – appare uno degli indizi in favore dell’origine unica del sistema e di una successiva differenziazione regionale. Cambiamento comune a tutte le varietà alfabetiche greche è anche il diverso uso delle sibilanti rispetto al prototipo. Le scritture locali si distinguono invece principalmente per l’impiego dei così detti segni complementari per suoni che non trovarono corrispondenza nel modello.
Per l’annotazione grafica delle vocali, la consonante ’ (alef) originaria è adoperata per a; h (he) per e; y (yod) per i; ‘ (ain) per o e w (waw) per u; quest’ultima lettera è stata posta alla fine della serie, prima dei segni complementari, perché lo stesso segno, nel posto canonico, è servito per il digamma (doppio gamma), simbolo di un suono la cui articolazione era simile a v; esso tuttavia è scomparso presto, specialmente in alcuni dialetti, ed è stato abolito in epoca classica conservandosi solo per il numerale 6. La consonante fenicia h. (h.et) è servita in alcuni alfabeti locali come segno dell’aspirazione iniziale (quello che più tardi sarà lo spirito aspro); in altri, mentre he rappresenta e breve, h.et è usata per e lunga aperta (eta), un uso che più tardi si è generalizzato. Riguardo alla vocale o, in alcuni alfabeti, specialmente del gruppo orientale, la lettera ain corrisponde a o breve (omicron = o piccola), mentre per o lunga aperta è stato creato un nuovo segno – derivato probabilmente anch’esso dalla ain – l’omega (= o grande), posto alla fine dell’alfabeto, dopo i segni complementari, a dimostrazione che si tratta di un segno aggiunto più di recente.
Rispetto alle quattro sibilanti del sistema fenicio – z (zain), s (samekh), s. (s.ade, enfatica), š (shin) – il greco, come osservato sopra, ne possiede soltanto due, la sonora z e la sorda s. Per annotare la z (zeta) è stato generalmente impiegato (con eccezioni in epoca arcaica) il segno fenicio per zain; per annotare la sibilante sorda appaiono due segni a seconda delle regioni; un segno di forma M è stato chiamato san (secondo quanto riportato da Erodoto) ed è caduto in disuso intorno al VI secolo a.C. La Ionia asiatica e le Isole egee, l’Eubea e le sue colonie, la Laconia, la Messenia, l’Elide e l’Arcadia hanno adottato un segno di forma Σ (o N rovesciato) chiamato sigma. Si ritiene comunemente che il segno san derivi dalla s.ade fenicia, mentre quello chiamato sigma deriverebbe dalla shin. Per i nomi invece, san deriverebbe da shin, mentre sigma è da farsi risalire a samekh. Come si vede la situazione è complicata e non risolta con sicurezza. È da osservare che in alcuni abbecedari, come quello etrusco di Marsiliana d’Albegna, san si trova esattamente nel posto della s.ade fenicia.
I suoni della lingua greca che non trovavano corrispondenza nelle lettere dell’alfabeto fenicio sono stati annotati sia – come si è visto per le vocali – servendosi di lettere fenicie il cui suono non trovava corrispondenza in greco, sia inventando segni nuovi. Non tutte le regioni si sono adeguate però a un unico modello. Sono stati creati nuovi segni specialmente per la labiale aspirata ph (phi), per la gutturale aspirata ch (chi) e per i nessi ks (ksi) e ps (psi). Per il primo è stato usato per lo più il segno fenicio di samekh, mentre per gli altri tre sono stati inventati (dopo un periodo o regioni nelle quali sono adoperate due lettere contigue) dei simboli nuovi, i così detti segni complementari, che hanno le forme (qui riprodotte schematicamente) Φ, Χ e Ψ (alcuni segni diversi non si sono imposti)2L’uso di Φ = ph è comune ai diversi alfabeti.. Sulla base del valore fonetico attribuito a tali lettere lo studioso Athanasius Kircher, nel XVII secolo, ha classificato gli alfabeti greci mediante il nome di un colore con cui sono stati indicati su una carta di distribuzione da lui elaborata. Un gruppo azzurro comprende gli alfabeti orientali, ionici, e vi si adoperano i segni Φ, Χ e Ψ (con varianti) con il valore di ph, ch e ps (vi sono poi delle varianti dette azzurro scuro e azzurro chiaro con impieghi parzialmente diversi). Il gruppo di scritture occidentali, invece, chiamato rosso – cui appartengono le scritture della Grecia continentale, dell’Eubea e di Rodi – usa i segni Χ, Φ e Ψ con il valore rispettivo di ks, ph e ch; per il nesso ps sono impiegate combinazioni di due segni o sono stati inventati simboli appositi.
Esiste inoltre un gruppo di alfabeti nel quale non erano impiegati segni complementari; esso è chiamato verde ed è testimoniato a Creta, a Tera e a Melo.
Nel 403 a.C., sotto l’arconte Euclide, Atene adotta ufficialmente l’alfabeto ionico di Mileto, già ampiamente adoperato in documenti privati: dal nome dell’arconte, questo cambiamento di scrittura è chiamato “riforma euclidea”. Presto anche le città greche occidentali seguono l’esempio ateniese, così che nel corso del IV secolo a.C. può dirsi compiuta l’unificazione delle diverse scritture, con l’uso di un alfabeto di 24 lettere, corrispondente a quello attuale. La direzione della scrittura, che all’inizio era sia da destra a sinistra (come il modello), sia da sinistra a destra, sia anche bustrofedica3Cioè, la prima linea inizia da sinistra a destra (o da destra a sinistra) e quella successiva dalla direzione contraria e così di seguito., è ora sempre da sinistra a destra.
Origine4La questione delle origini è discussa nei manuali citati alla nota 1. Dei numerosissimi lavori specifici si citeranno di seguito i principali e i più recenti che hanno indicazioni bibliografiche complete.
Secondo la leggenda ricordata da Erodoto, nel passo già citato (V, 58-61), e accennata anche in un passo di Diodoro (III, 67,1), l’alfabeto sarebbe stato introdotto in Beozia da Cadmo – mitico re fenicio (in semitico il nome significa “oriente”) – in viaggio alla ricerca della sorella Europa, rapita da Zeus. Con un gruppo di compagni, Cadmo si sarebbe stabilito a Tebe, dove avrebbe insegnato la scrittura agli abitanti del luogo. In un primo tempo essi avrebbero usato le lettere fenicie come tali; quindi, le avrebbero modificate in base alle loro esigenze. Un’altra tradizione, riportata in particolare da Tacito (Ann. XI,14), fa risalire all’Egitto l’origine della scrittura.
Che l’alfabeto greco sia una scrittura originariamente fenicia (o comunque semitica nord-occidentale) è reso certo, come notato sopra, dal nome e dall’ordine delle lettere nella serie alfabetica; inoltre, e soprattutto, dalla stretta somiglianza tra i segni greci più antichi e quelli fenici. È tuttora, però, discusso in che regione e in che periodo sia avvenuto l’adattamento. È stata proposta, in alternativa a quella fenicia, un’origine aramaica dell’alfabeto greco (v. ad es. Segert 1963) ed è dibattuto il possibile ruolo dell’Anatolia e in particolare della Frigia e della regione Cilicia5V. i vari capitoli in Baurain, Bonnet, Krings 1991. Ulteriori indicazioni qui di seguito.. Bisogna, infatti, ricordare che il concetto greco di Fenicia e Fenici era ampio presso gli antichi: riguardo alla costa, era considerata fenicia tutta la striscia che da Gaza giungeva ad Alessandretta; e quanto dell’entroterra potesse dirsi fenicio non sappiamo.
Lasciando per ora da parte il territorio, il periodo dell’adozione è stato giudicato sulla base della cronologia delle più antiche iscrizioni in alfabeto greco e della somiglianza nella forma dei segni tra i primi documenti greci e i corrispondenti simboli fenici (si ricorda che le lettere delle prime iscrizioni aramaiche non si discostano per forma da quelle fenicie contemporanee). Sono stati presi in considerazione anche altri argomenti, come il nome, l’uso e quindi la pronuncia delle lettere nel periodo più antico e nelle varie regioni6Una rassegna critica delle varie opinioni è nel lavoro di A. Bourguignon 2010.. Partendo da queste premesse, è stato proposto un arco di tempo molto ampio, da ca. il 1100 a.C., opinione sostenuta in particolare da parte di J. Naveh (in particolare, v. Naveh 1973), in rapporto con le iscrizioni proto-cananaiche considerate come modello, fino al 750 a.C., datazione proposta per primo da R. Carpenter7V. Carpenter 1933, che si basava sulla mancanza di documenti greci precedenti; è il più volte menzionato argumentum e silentio, il cui peso si tenta di ridurre al minimo, specie in alcune ricerche recenti (Janko 2015, Waal 2018)., quando ancora le iscrizioni greche dell’VIII secolo a.C. erano notevolmente scarse. Una tesi intermedia, sulla base soprattutto del confronto tra la forma dei segni greci più antichi e i corrispondenti fenici è stata avanzata da P.K. Mc Carter (McCarter 1975), che ha posto l’adozione intorno all’800 a.C., anche considerando un lasso di tempo tra questa e le prime attestazioni pervenute. Questa stessa cronologia è adottata da B.B. Powell (Powell 1991), il quale suppone che la scrittura si sia formata per fissare i poemi omerici. La cronologia intorno all’800 a.C., accolta da molti, è stata rialzata con vari argomenti, in parte consistenti, da C.J. Ruijgh (Ruijgh 1998), che fa risalire la formazione dell’alfabeto greco all’anno 1000 a.C., senza tuttavia essere in grado di colmare il vuoto nella documentazione tra questa data alta e la più antica documentazione greca disponibile (v. Janko 2015). Eccessiva la proposta di M. Bernal (Bernal 1990), secondo la cui teoria l’alfabeto greco sarebbe stato adottato addirittura tra il 1750 e il 1400 a.C., con un intervento successivo nel caso di alcuni segni; le argomentazioni di Bernal si fondano in parte sul numero dei segni dell’alfabeto greco, maggiore rispetto al supposto modello di 22 lettere; la sua tesi tuttavia non ha avuto seguito, per diverse considerazioni, anche formali, ma specialmente perché le condizioni storiche del periodo proposto non si conciliano con la sua ricostruzione.
A rinnovare il dibattito sull’epoca dell’adozione, nuove scoperte hanno aumentato il numero delle iscrizioni greche conosciute e nuove misurazioni cronologiche hanno innalzato in parte la datazione di alcuni documenti8V. in particolare la rassegna sintetica, ma nello stesso tempo approfondita di Bourogiannis 2018, con ampia bibliografia.. Le nuove proposte per la prima età del Ferro nel Vicino Oriente si sono estese al Mediterraneo occidentale in conseguenza di analisi del 14C e dendrocronologiche, ma non sono state unanimemente accolte9Ad es. Gilboa 2013; v. anche Botto 2016, con ampia bibliografia.; infatti, i dati presi in considerazione non danno risultati abbastanza precisi per i secoli IX e VIII a.C., e gli stessi campioni non sono valutati concordemente, infine, i risultati ottenuti nelle diverse regioni a Oriente e a Occidente non si agganciano a formare un sistema coerente10V. i diversi contributi in Bartoloni, Delpino 2005, con le Conclusioni di B. D’Agostino, pp. 661-663; v. anche per siti vicino-orientali studi specifici in Sagona 2008. Per lo stato degli studi sulla cronologia della Fenicia v. Nuñez Calvo 2016.. In conclusione, per quanto riguarda l’area egea, la cronologia tradizionale sembra a tutt’oggi più convincente. Un ulteriore elemento che ha indotto a rivedere sia la data sia i modi e i luoghi dell’adozione dell’alfabeto da parte dei Greci è l’innalzamento della cronologia delle più antiche iscrizioni frigie che erano giudicate senza esitazioni redatte in un alfabeto derivato da quello greco e che ora sono attribuite da alcuni a un periodo precedente rispetto alle prime testimonianze greche. La questione peraltro non è risolta concordemente: infatti la derivazione del frigio dal greco è tuttora accettata dalla maggior parte degli studiosi.
Oltre alle iscrizioni greche assegnabili all’ultimo terzo dell’VIII secolo a.C. già conosciute da tempo – si ricordano la brocca del Dipylon di Atene e la “Coppa di Nestore” da Pithekoussai (Ischia) (Fig. 28), in esametri, che riecheggiano Omero e la pratica del simposio –, altre iscrizioni della fine dell’VIII secolo a.C. provengono da Corinto, dal monte Imetto e da Thera11Rassegna delle iscrizioni più importanti, insieme con i documenti di più recente scoperta in Bourogiannis 2018.. Inoltre, le scoperte che hanno in parte rinnovato gli studi sull’alfabeto sono specialmente i numerosi documenti da Methone, un insediamento euboico fondato nel 733/32 a.C., dove sono venuti in luce numerosissimi graffiti e iscrizioni che risalgono alla fine dell’VIII secolo a.C. (v. Strauss Clay, Malkin, Tzifopoulos 2017 e soprattutto Kourou 2017). Anche a Eretria le iscrizioni in greco datate nella seconda metà dell’VIII secolo a.C. sono un buon numero; si è poi supposto che un breve graffito su una coppa frammentaria locale, datato nel corso dell’VIII secolo a.C. redatto in lettere fenicie, ma che riportano un nome interpretato in via di ipotesi come greco (la lettura proposta è KPLŠ), possa indicare il momento e soprattutto il luogo (l’Eubea) dell’adozione dell’alfabeto da parte dei Greci (V. ad es. Kenzelmann Pfyffer, Theurillat, Verdan 2005; per il graffito fenicio v. p. 76, n. 66).
La scoperta che soprattutto ha contribuito ad alzare la cronologia dell’adozione12Secondo la cronologia tradizionale. La “cronologia alta” rialza la data del documento di 25-50 anni. Una datazione bassa (in rapporto con la tomba 485, più recente) è proposta da Sass 2005, pp. 155-156 che ritiene il testo una pseudo-iscrizione. Sull’iscrizione v. soprattutto La Regina 1989-1990; Ridgeway 1996; Ampolo 1997; con bibliografia completa v. Boffa 2015, con discussione delle diverse interpretazioni., nonostante l’incertezza della lettura e di conseguenza del significato, è un graffito in lettere greche tracciato da sinistra a destra su un recipiente locale che proviene da una tomba di Osteria dell’Osa (successiva Gabii), datato a ca. il 770 a.C. (Fig. 29). Questa testimonianza, anche mantenendo la cronologia tradizionale, permette di confermare una formazione dell’alfabeto greco almeno alla data già proposta dell’800 a.C. circa, se non un po’ prima.
Riguardo al luogo dell’adozione, sempre restando ferma la tesi di una regione dove Greci e Fenici potessero convivere, una certezza non si è potuta raggiungere; resta verosimile l’ipotesi che lo scambio sia avvenuto tramite viaggiatori euboici. Secondo un’ipotesi, il contatto si sarebbe prodotto in seguito a viaggi per mare di Greci nel Vicino Oriente (è stato proposto il sito di Al-Mina), o, invece, di viaggiatori fenici in un porto dell’Egeo (v. Bourogiannis 2018, p. 249 e nota 110); lungo queste vie marittime, è stato anche proposto che l’adattamento sia avvenuto in un’isola, in particolare a Creta, dove sono testimoniati contatti antichi con i Fenici (Stampolidis, Kotsonas 2006; v. Bourogiannis 2018, pp. 250-251) e dove l’alfabeto presenta una varietà arcaica: è tracciato per un lungo periodo da destra a sinistra (o in senso bustrofedico) ed è privo di segni complementari (Guarducci 1987, pp. 17-19). Sono stati meno verosimilmente proposte Rodi e Cipro: in quest’ultima isola l’uso costante di una scrittura sillabica esclude la possibilità di uno scambio tra alfabeto greco e fenicio, ben noto nell’isola e testimoniato soprattutto nella zona di Kition.
Un’altra via di trasmissione privilegia l’Anatolia e si è già alluso all’ipotesi – non dimostrabile – di una derivazione dal frigio (Sass 2005, pp. 146-149; Brixhe 2004); è proposta altrimenti, un’adozione in questa regione sia del greco sia del frigio (v. ad es. Lemaire 1991), con una derivazione del frigio dal greco. Si tende spesso a supporre che lo scambio tra le due scritture sia stato relativamente agevole e veloce; tuttavia, la scomposizione fonologica di una lingua e l’adattamento dei suoni individuati a un sistema diverso presuppongono conoscenze approfondite e un certo lasso di tempo.
Derivati orientali dell’alfabeto greco: l’alfabeto in Anatolia13Contributi importanti in Aa.Vv. 1978. V. anche Sass 2005, pp. 133-152; inoltre Adiego 2018 (ambedue con bibliografia).
In Anatolia, da una data che si fa risalire alla prima metà dell’VIII secolo a.C. (in seguito alla datazione della distruzione di Gordion all’800 a.C.) e poi nel VII e VI secolo a.C., fino a epoca imperiale romana, sono testimoniate lingue diverse, che adoperano scritture in rapporto con o derivate da quella greca, presentando modifiche più o meno evidenti. Queste scritture sono anche chiamate “epicoriche” (indigene, locali), con una terminologia che si presta a qualche confusione.
Scrittura frigia14Le iscrizioni paleofrigie sono raccolte nel sito TITUS. Corpus of Phrygian Inscriptions, che si basa su Brixhe, Lejeune 1984. Analisi dei segni in Adiego 2018, pp. 147-150.
In Frigia, una regione dell’Anatolia centro-occidentale, era parlata una lingua indoeuropea15Obrador Cursach 2020, con iscrizioni aggiornate in Phrygian inscriptions identified after the Phrygian Language (2020) https://elnatoli.medium.com/phrygian-inscriptions-identified-after-the-phrygian-language-2020-9f7bfda0d18e., documentata da due gruppi di documenti: iscrizioni in scrittura così detta “paleofrigia”, il cui inizio è stato datato negli ultimi decenni dell’VIII secolo a.C. fino almeno al IV secolo a.C.; iscrizioni in scrittura “neofrigia”, tra il I e il III secolo d.C., che usano l’alfabeto greco comune. L’alfabeto paleofrigio comprende 19 o 24 segni, di cui solo 17 sono decifrati con sicurezza; gli altri sono ora considerati come varianti dei primi; i rapporti con l’alfabeto greco, dal quale si riteneva derivato, sono ora discussi, anche se un adattamento della scrittura frigia da quella greca è considerato tuttora verosimile.
Scrittura licia16Carruba 1978; Melchert 2000; Adiego 2015. V. inoltre il sito The Canadian Epigraphic Mission of Xanthos-Letoon http://www.xanthos.hst.ulaval.ca/eng/xanthos_tam_eng.php. Per la trilingue del Letoon v. Metzger, Laroche, Dupont-Sommer, Mayrhofer 1979; v. anche Bousquet 1992.
In Licia, a sud della Frigia, era parlata una lingua di classificazione discussa, che ritroviamo in una serie d’iscrizioni di natura funeraria, attribuite quasi tutte ai secoli V e IV a.C. e spesso redatte in più lingue, che contengono a volte interessanti istruzioni per la sepoltura; la scrittura è testimoniata anche da legende di monete. Tra i testi sacri è importante il cippo trilingue in greco, licio e aramaico del Letoon, un santuario presso Xanthos (KAI 319 specialmente per l’aramaico; v. Metzger et al. 1979), che contiene un decreto in rapporto con l’istituzione di un culto. Da ricordare anche il cippo di Xanthos con due iscrizioni funerarie in licio e un epigramma in greco17V. con bibliografia (e nuova proposta del nome del defunto) Facella 2018.. La lingua licia è annotata da un alfabeto di 29 segni con direzione da sinistra a destra. Le lettere concordano in parte (17 segni) con quelle di un alfabeto greco occidentale (con valori fonetici non sempre corrispondenti); alcuni hanno proposto di ravvisare nella formazione dell’alfabeto licio un possibile ruolo della scrittura di Rodi, che non è tuttavia dimostrata. Altri segni sono diversi, modificati rispetto a quelli greci, e sono adoperati in parte per annotare suoni tipicamente lici inesistenti in greco: si discute se si tratti di un’invenzione o di una possibile derivazione da un’altra scrittura.
Scrittura lidia18Heubeck 1978; Gusmani 1978; Rizza 2015; Adiego, 2015; Adiego 2018, 152 (con ulteriore bibliografia p. 150, nota 6).
Dalla Lidia (e regioni circostanti, fino all’Egitto), situata all’estremità occidentale dell’Anatolia e sede di un regno indipendente tra il VII e il VI secolo a.C. (famosi i re Creso e Gige), poi conquistato dai Persiani, provengono circa cento iscrizioni, la maggior parte delle quali sono state rinvenute a Sardi. Si scaglionano in un periodo che va dalla fine dell’VIII secolo a.C. (con un solo esempio trovato a Smirne) al III-II secolo a.C. (Fig. 30); un gruppo di queste ultime viene da Dascylium, nel nord della Turchia (ora Ergili, prima parte della Frigia). Sono note due bilingui in lidio e aramaico, peraltro non completamente interpretate. La lingua è di tipo indoeuropeo, ma non del tutto compresa. L’alfabeto usato è di 26 lettere; di queste 16 corrispondono a segni comuni all’alfabeto greco. L’origine dei segni addizionali è incerta. Le iscrizioni più antiche hanno direzione sia da sinistra a destra, sia da destra a sinistra; più tardi si stabilizza la direzione sinistrorsa. Notevole un segno a forma di 8 per annotare il suono f: è stato confrontato con il simbolo di uguale forma usato in etrusco per lo stesso suono, ma è stata d’altra parte osservata l’incertezza di questo confronto.
Scrittura caria19Adiego 2007 e bibliografia citata di seguito.
La Caria è situata all’estremità sudoccidentale dell’Anatolia, tra la Lidia (a nord) e la Licia (a sud). La maggior parte dei documenti annota una lingua non indoeuropea, in una scrittura che causa non pochi problemi di decifrazione, interpretazione e origine. Le iscrizioni più numerose non provengono dalla Caria, ma dall’Egitto, dove sono per lo più opera di mercenari: graffiti carii sono stati rinvenuti ad Abu-Simbel, Abido e Menfi. Si datano agli inizi del VI secolo a.C., durante il regno di Psammetico II (593-588 a.C.); un testo appartiene ancora al VII secolo, essendo ascrivibile al regno di Psammetico I (663-609 a.C.). Sono stati individuati circa 35 caratteri che costituiscono l’alfabeto, la cui lettura, tuttavia, non è completamente sicura. Un certo numero di segni è da ricondurre all’alfabeto greco, ma solo pochi hanno lo stesso valore fonetico. Fino ad anni recenti si riteneva che la scrittura fosse in parte alfabetica, in parte sillabica, e ciò anche per il numero elevato dei segni. Varie lettere erano state messe in rapporto con un sillabario chiamato “asianico” (v. Friedrich 1932) o con quello cipriota. Ma, nel decennio 1970-1980 è stato proposto e poi dimostrato che la scrittura è completamente alfabetica, senza riuscire però a raggiungere una decifrazione completa. Ulteriori progressi sono stati compiuti in seguito, grazie agli studi di K.-T. Zauzich, T. Kowalski e J.D. Ray (citati da Adiego 2018, pp. 154-155, e già Adiego 2007, con le tappe della decifrazione). Infine, la decifrazione completa è stata proposta negli anni Novanta del Novecento da D. Schürr e I.-X. Adiego (v. Schürr 1992 e Adiego soprattutto 2007); quest’ultimo ha ben mostrato che poche lettere dell’alfabeto greco (le vocali e la sibilante s) corrispondono per forma e valore fonetico alle corrispondenti carie, mentre altre sono usate per suoni diversi; altre infine hanno assunto forme aberranti o sono state probabilmente inventate localmente, come è avvenuto nei casi delle altre scritture alfabetiche dell’Anatolia. Sull’origine della scrittura le certezze sono premature, al di là di un ruolo del greco; Adiego propone inoltre un possibile influsso del lidio.
Scrittura sidetica20V. in particolare Pérez Orozco 2005; Adiego 2018, 157-158.
Dall’antica città di Side, in Panfilia, ad est della Licia, provengono iscrizioni in greco e in latino; sono inoltre documentate soprattutto legende di monete (fine V-III-II secolo a.C.) ma anche alcune stele (due delle quali bilingui con il greco), in una lingua e scrittura locale, chiamata sidetica. Questa scrittura è alfabetica ed è stata decifrata, con l’eccezione di alcuni segni il cui valore fonetico rimane sconosciuto. L’alfabeto consta di 25 o 26 segni, la cui origine secondo alcuni studiosi (Neumann 1978; Adiego 2018, p. 157) sarebbe da mettere in relazione con il greco, mentre O. Carruba e S. Pérez Orozco (Carruba 1992; Pérez Orozco 2005 con bibliografia precedente). lo ritengono un derivato dall’aramaico.
Derivati cristiani orientali dell’alfabeto greco
Mentre come si è visto la situazione della scrittura in Anatolia è per così dire intricata21Così come a Nord, dove si svilupparono le scritture cirillica, armena e georgiana; v. Daniels, Bright 1996., coesistendo nella prima parte del I millennio e per vari secoli diverse tradizioni, nel resto del Vicino Oriente anteriore si afferma man mano la scrittura aramaica; intanto, in Occidente – con l’eccezione delle aree di colonizzazione fenicia – il greco è all’origine di gran parte dei sistemi locali e la sua influenza si esercita anche in Oriente dopo le conquiste di Alessandro; in regioni settentrionali, d’altra parte, dove non si era imposto il latino, continua a determinare la formazione di scritture locali, spesso in rapporto con credi religiosi.
Copto22Daniels, Bright 1996, pp. 287-290; Buzi, Soldati 2021; Quack 2017 sull‘introduzione della scrittura.
Nel Vicino Oriente, lo stabilirsi di dinastie di origine greca ha avuto come naturale conseguenza anche l’estendersi dell’uso, insieme alla lingua, anche della scrittura greca e la sua adozione per annotare parlate che precedentemente si servivano di sistemi propri. È questo il caso dell’Egitto, dove si afferma il copto. Con il termine “copto” si indica sia la lingua erede dell’egiziano faraonico sia anche la scrittura che sostituisce il geroglifico e le sue varianti, in particolare il demotico (v. Stadler 2008): sono stati chiamati “Copti” dagli Arabi musulmani che conquistarono la regione nel 641 d.C. gli abitanti locali cristiani dell’Egitto (il vocabolo risale a Qubt., Qibt., arabizzazione del greco Aigyptios “egiziano”). In un primo tempo il termine ha una connotazione tanto etnica che religiosa; in seguito, con la progressiva islamizzazione del paese, ne assume una specificatamente religiosa. La chiesa cristiana appare già costituita in Egitto verso la metà del III secolo d.C. e la sua fede è di tipo monofisita, dottrina – secondo la quale nel Cristo era presente solo la natura divina (v. Guidi 1934) – condannata dal concilio di Calcedonia (451 d.C.). Staccati da Roma e poi perseguitati dai Persiani che conquistano l’Egitto nel 618-619, i Copti vedono nell’occupazione araba una liberazione: tuttavia, assoggettati a pesanti tasse e in alcuni periodi perseguitati, si assimilano progressivamente sia dal punto di vista linguistico sia da quello religioso. Il copto, nell’uso quotidiano, cessa di esistere intorno al XIII secolo, mentre sopravvive tuttora come lingua liturgica (v. Camplani 2015). La lingua copta è attestata già nel II secolo d.C. da alcuni brevi documenti e a cominciare dal III secolo d.C. da testi cristiani tradotti dal greco; accoglie, in parte per l’esigenza della traduzione, numerosi elementi lessicali di quest’ultimo. È suddivisa principalmente in 5 dialetti: il sahidico della regione di Tebe, che si diffonde in un primo periodo come lingua letteraria in tutto l’Egitto e il bohairico, della regione di Alessandria, capitale della chiesa copta, che ha soppiantato il sahidico come tale soprattutto dall’XI secolo (ma è diffuso già dal IX). Vi sono poi il dialetto della zona di Achnum, della zona del Fayyum e di Menfi.
Il copto usa 24 caratteri dell’alfabeto greco e 7 lettere derivate dalla scrittura demotica per suoni specifici inesistenti in greco23Sul sistema ortografico v. in particolare Orlandi 1999.. Nel corso del tempo si verifica un’evoluzione nelle forme della scrittura. I testi, a parte alcuni documenti di carattere privato o giuridico anche su ostraka, sono su papiro (Tav. 16) e hanno contenuto religioso e genere liturgico.
Gotico24V. Ebbinghaus 1996; 1997 (non visto); Carcignani 1988; Granberg 2010 (con bibliografia precedente); Santoro 2018 (con bibliografia specifica).
Questa scrittura, caratteristica di popolazioni germaniche, va distinta dai caratteri di origine latina chiamati gotici. I Goti, cui si riferisce questo tipo di grafia, erano una popolazione germanica frazionata in gruppi stanziati in varie zone dell’Europa; sono stabiliti già dal II secolo d.C. nella zona del bacino della Vistola e sulla costa settentrionale del Mar Nero, venendo a contatto in più riprese con l’Impero Romano con il quale hanno conflitti nel corso dei secoli III e IV d.C. Nel 410 Alarico, a capo dei Goti dell’ovest o Visigoti, riesce a occupare e saccheggiare Roma. I documenti in gotico sono di particolare importanza come prima testimonianza relativamente ampia di una lingua germanica orientale, in un periodo nel quale cominciano a essere attestate con scritture proprie varie altre lingue locali: l’armeno, il georgiano, l’etiopico.
Secondo la tradizione, parte dei Goti si convertì al cristianesimo (ariano)25Dottrina elaborata da Ario (256-336), condannata dal concilio di Nicea (325) che, nella dottrina sulla Trinità, subordinava il figlio al padre. nel IV secolo. Per diffondere – soprattutto – la conoscenza delle sacre scritture, ma anche con scopi di riconoscimento identitario, il vescovo Wulfila (311-388), a capo di un gruppo stanziato in Mesia, una provincia romana del Basso Danubio (territorio corrispondente in parte alla Bulgaria attuale), inventò un alfabeto nuovo, adatto a esprimere la propria lingua. Servendosi di esso tradusse la Bibbia in gotico.
Le testimonianze della nuova scrittura consistono in alcuni manoscritti su pergamena26V. http://www.wulfila.be/gothic/manuscripts/ che contengono frammenti di traduzione dei testi biblici – buona parte del Nuovo Testamento e poche parti del Vecchio Testamento – posteriori, peraltro, alla traduzione di Wulfila e non più antichi del VI secolo. Tra questi il più celebre è il Codice argenteo, scritto su pergamena rossa in caratteri d’argento e d’oro (si trova ora a Uppsala) che contiene buona parte dei Vangeli. Come documenti profani, sussistevano due contratti di vendita redatti in latino con dichiarazioni e firme in lingua gotica, il primo conservato ad Arezzo, ora scomparso (ne rimane una copia), il secondo a Napoli. Sono attestate due varietà di scrittura: una usata nei manoscritti biblici, l’altra, più corsiva, attestata dai contratti. Le lettere sono 27. Due alfabetari fanno conoscere l’ordine dei segni. Tra questi 16 o 17 (in base a come è considerata la w) hanno origine greca (concordano con i simboli greci nella forma e nel valore fonetico); altre lettere sono di origine incerta e si discute tuttora sulla possibile influenza del latino e delle rune27Nega tale influenza Ebbinghaus, v. in particolare 1996..
Scritture glagolitica e cirillica28V. Cubberley 1996.
Successivamente, rispetto al copto e al gotico, dai secoli IX e X, derivano dal greco le scritture chiamate glagolitica e cirillica usate da popolazioni di lingua slava. Secondo la tradizione, la scrittura è stata portata agli Slavi, che ne erano ancora privi, intorno all’860 dal monaco san Cirillo (il cui nome originario, prima della sua consacrazione, era Costantino), insieme con suo fratello Metodio, per fissare i testi liturgici, dando forma anche a una lingua letteraria (v. Tachiaos 2005). Rispetto a questa tradizione di un’introduzione unica, si constata però che sono attestati due tipi di alfabeto, uno chiamato glagolitico29Il nome deriva forse dal verbo che significa “parlare” (Enciclopedia Treccani on line, s.v. “glagolitico”)., l’altro – in base al nome dell’inventore tradizionale – cirillico. Varie considerazioni indicano che il glagolitico è l’alfabeto più antico che consiste in una forma di scrittura corsiva; è messo quindi in rapporto con un alfabeto greco corsivo e si è supposto che la sua adozione preceda di circa due secoli l’860. La varietà grafica detta cirillica, invece, si riallaccia alle forme maiuscole dei testi greci, e sarebbe quella adottata da Cirillo; questi avrebbe reso formale il corsivo già presente e vi avrebbe aggiunto alcuni segni per suoni inesistenti nel greco. Un’altra tesi invece propone di identificare in Cirillo l’inventore del glagolitico. Il glagolitico e il cirillico coesistono per secoli nell’area, con influssi del secondo sul primo: il glagolitico perdura nelle regioni della Bulgaria e della Macedonia fino al XIII secolo. Persiste in Croazia, con modifiche nella forma dei segni, fino al XIX secolo, dove è impiegato in ambito religioso. Il cirillico, diffuso prima in Bulgaria e Serbia, si è esteso in Russia, subendo qui varie modifiche, specialmente da parte di Pietro il Grande e poi in epoca sovietica. Oltre che in Russia, Serbia e Bulgaria è usato in Ucraina. Adottato in Romania, è stato poi sostituito dalla scrittura latina. Altre scritture derivate dal greco sono state usate per lingue indoeuropee: si ricordano la scrittura armena, la cui formazione, posta nel V secolo e attribuita al monaco Mesrop (v. ad es. Zanolli 1934), è dibattuta (v. Sanhan 1996); quella georgiana, che ha relazioni con la prima, è anch’essa attestata a partire dal V secolo e la sua origine è ugualmente incerta: ambedue sono messe in rapporto o con il greco o con una scrittura di tipo aramaico (Holisky 1996). Sistemi grafici locali di derivazione greca sono stati impiegati in Albania, dove dal 1910 si usa definitivamente l’alfabeto latino.