III. DIFFUSIONE DELL’ALFABETO: GUERRIERI E MERCANTI DALL’OCEANO ATLANTICO AI DESERTI DELL’ASIA
La scrittura fenicia: formazione, sviluppo e diffusione1Sui Fenici e Cartaginesi in generale, tra le opere più diffuse e complessive, v. Aubet 20012; Bondì et al. 2009 (con bibliografia); sulla storia, v. Elayi 2013. Per le iscrizioni, oltre al CIS I e alle iscrizioni nel RES, v. la raccolta nella sezione fenicia di KAI e TSSI III.
Origine e sviluppo in Oriente
C
ome osservato sopra, nel I millennio a.C. la regione con la prima tradizione di scrittura alfabetica canonizzata è identificata dalla maggior parte degli studiosi con la costa fenicia (la costa sud dell’attuale Siria e del Libano). Qui sarebbero avvenute la riduzione nel numero dei segni e la schematizzazione dell’alfabeto consonantico secondo il tracciato che si diffonderà presso gli Ebrei, gli Aramei e gli stati di Ammon, Moab, Edom, e che sarà poi adottato in Occidente dai Greci e da altri popoli del Mediterraneo antico (Garbini 2006, pp. 71-76, 81-96, 130-147). Già nel Bronzo Tardo – come si è notato – iscrizioni in alfabeto cuneiforme “breve”, quasi tutte provenienti dall’esterno di Ugarit, dimostrano la presenza di dialetti con un fonetismo ridotto; l’ansa iscritta da Sarepta (v. in particolare Bordreuil 1979) sembra indicare che la regione fenicia usasse già nel Bronzo Tardo una lingua con un suo lessico specifico tipico del fenicio dei secoli successivi e un inventario fonologico meno ampio rispetto a quanto attestato a Ugarit e dalla scrittura del Sinai. L’area costiera, del resto, fu meno sconvolta dalle crisi che segnarono il periodo di passaggio tra il periodo del Bronzo Tardo e l’età del Ferro, producendo cambiamenti nelle organizzazioni sociali e politiche della regione, e conservò tradizioni del periodo precedente che trasmise in territori circostanti.
Come accennato sopra, una serie di iscrizioni in una lingua classificata come fenicia e in una scrittura schematizzata secondo forme caratteristiche provengono da Biblo e si datano, secondo l’opinione prevalente, tra l’XI e il X secolo a.C. Sono la già ricordata spatola in bronzo iscritta (KAI 3) (Fig. 15), e gli oggetti in argilla, chiamati “coni”, con brevi testi che contengono nomi propri2Datati da Finkekelstein, Sass 2013 al Tardo Ferro II A-inizi Ferro II B; v. Cross, McCarter 1973.; inoltre, un frammento di vaso con un nome di persona (KAI 8); infine, nel 2005 è stata pubblicata una semisfera in steatite iscritta con un tracciato dei segni dello stesso tipo e una morfologia analoga (Sader 2005a). Questi testi sono ancora in parte simili nella grafia alle iscrizioni dette “cananaiche”. Un po’ anteriori a queste iscrizioni, sono considerate le punte di freccia iscritte, già ricordate: per la maggior parte sono di provenienza sconosciuta (si conosce il rinvenimento di un esemplare a Ruweisseh, in Libano, e di un gruppo da el-Khadr in Palestina), ma B. Sass ha proposto di porre la loro origine nella regione di Tiro3Sulla provenienza dalla zona di Tiro v. Sass 2010; per la datazione proposta da Sass, v. in particolare Finkelstein, Sass 2013, p. 163.. Sulla lama vi è generalmente la formula “Freccia di” accompagnata da un nome proprio e a volte da un patronimico, o da un toponimo di origine oppure da un nome di funzione. Un tipo di scrittura molto simile è testimoniato da due coppe in bronzo iscritte, una, già citata, rinvenuta in Galilea (Kefar Veradim) (Alexandre 2013), l’altra a Creta in una tomba della località di Tekke presso Cnosso il cui corredo è datato a circa il 900 a.C. (Sznycer 1979). La scrittura di questi documenti è generalmente da destra a sinistra, in qualche caso, sulle frecce, da sinistra a destra o anche verticale. Le lettere possono avere in alcuni esempi una direzione diversa o inversa rispetto a quella che sarà canonica in seguito; alcune loro forme sono variabili o inconsuete (ad esempio s.ade).
È considerato successivo un gruppo di iscrizioni monumentali, anch’esse già citate, fatte redigere da alcuni re ghibliti: la loro scrittura ha forme più regolari e riconducibili a un’unica tradizione ed è certo legata a una burocrazia di corte (Fig. 16). Sono l’iscrizione funeraria incisa sul sarcofago chiamato “di Ahiram” (dal nome del defunto; KAI 1) e altre quattro dediche di statue o edifici in onore della “Signora di Biblo” (KAI 4-7), la dea principale della città; si datano comunemente tra ca. il 1000 a.C. e il primo terzo del IX secolo a.C. sia in base alla forma dei segni, sia perché due di esse, quelle dei re Abibaal e Elibaal, sono state incise su statue dei faraoni Sehshonk I (935-914 a.C.) e Osorkon I (914-874 a.C.) e si considerano contemporanee all’arrivo a Biblo di queste statue. Tale ricostruzione è però messa in dubbio – come osservato sopra – da B. Sass e I. Finkelstein4In particolare, Sass 2005, pp. 28-34; Finkelstein, Sass 2013; Sass 2017. Per la datazione tradizionale v. Lemaire 2006 [2009]. Garbini 1977 data il sarcofago di Ahiram al XIII secolo a.C., che propongono datazioni più basse per tutto questo gruppo di testi, ponendoli tra l’830 e il 730 a.C., considerando la loro scrittura “arcaizzante”.
L’isolamento relativo delle più antiche iscrizioni di Biblo rispetto alle altre iscrizioni di questo centro, di alcuni secoli successive, rende una loro posizione cronologica precisa in parte incerta. Anche gli altri insediamenti della costa fenicia non hanno restituito documenti che risalgano così in alto nel tempo. Tuttavia, dalla zona settentrionale, dal centro di Tell Kazel/Sumur/Simyra, nella piana di Akkar, sono stati messi in luce due frammenti di recipienti ceramici iscritti datati tra il 950 e l’875 a.C. (Briquel-Chatonnet, Gubel 2019, pp. 132-134) che sono importanti, perché provengono da un contesto archeologico sicuro; i loro segni concordano nell’insieme con lo sviluppo formale delle lettere che era stato ricostruito finora basandosi sulla presunta evoluzione della loro forma.
Da Tiro, – considerata la principale metropoli fenicia, ricordata nella Bibbia ebraica per i rapporti con i re Davide e Salomone e da numerosi autori antichi come la città madre dei principali insediamenti fenici oltremare – fino a pochi decenni fa non si conoscevano iscrizioni arcaiche. In seguito allo scavo della necropoli di al-Bass, iniziato nel 1997, sono venute in luce alcune stele funerarie in parte iscritte, datate tra il X e il VII secolo a.C. A queste stele si collega un gruppo di monumenti simili provenienti da lavori irregolari. Sono documenti che contengono generalmente nomi propri, spesso prima ignoti, che presentano una grafia per lo più poco curata con segni di forma o andamento inconsueto. Altre stele funerarie simili, che non hanno un preciso contesto archeologico, sono state pubblicate nel corso degli anni recenti5V. Sader 2005b, che raccoglie tutte le stele iscritte note fino ad allora.. Iscrizioni inedite o poco note conservate nel Museo Nazionale di Beirut sono state pubblicate nel 2018 (Xella, Zamora 2018): tutti questi documenti danno esempi di grafie spesso nuove e non ufficiali, interessanti per lo studio dello sviluppo della scrittura fenicia e delle sue varianti locali.
Una serie di lunghi testi in lingua fenicia databili tra l’ultimo terzo del IX, la fine dell’VIII e fino al VII secolo a.C. è stata rinvenuta in centri al di fuori dell’area linguistica fenicia, una regione con popolazione di ascendenza luvia e/o aramaica. Sono iscrizioni monumentali, che celebrano imprese di guerra e di abbellimento del regno fatte erigere da sovrani locali in funzione propagandistica. Mostrano – rispetto alla storia della scrittura – il prestigio della lingua e dell’alfabeto fenici e rendono meglio comprensibile (anche in rapporto con la forma dei segni aramaici più antichi) la derivazione diretta della scrittura degli Aramei dalla varietà fenicia del IX secolo a.C.6Per l’eccezione dell’iscrizione aramaica da Tell Fekheriye v. infra..
L’iscrizione più antica è quella del re Kulamuwa di Sam’al (ora Zincirli), posta intorno all’825 a.C. (KAI 24) (Tav. 8). Si susseguono vari documenti, generalmente originari dalla Cilicia, in versioni bilingui o trilingui – con l’accadico e il luvio geroglifico –, il cui testo non è sempre ben conservato7Sull’insieme di queste iscrizioni v. Lemaire 2001.. L’iscrizione più lunga è quella fenicia e luvia della città fortificata di Karatepe (fine VIII sec. a.C., KAI 26), antica Azatiwadaya, fondata da Azatiwada, un principe legato al re dello stato di Que, che le ha dato il suo nome e che ha fatto comporre, per commemorarla ed esaltare la sua opera, un lunghissimo testo bilingue inciso in tre versioni quasi identiche sia intorno alle due porte della città, sia sulla veste di una grande statua del dio Hadad, dedicata all’interno della cittadella8Edizione definitiva della parte fenicia Röllig 1999.. Iscrizioni monumentali, attualmente frammentarie, provengono dall’antico stato di Que, sono a volte trilingui (Cineköy e Incirli, presso Kahramanmaraş, antica Marash9Teköglu, Lemaire 2002; Kaufman 2007.) e si datano nell’ultimo terzo dell’VIII secolo a.C.: insieme all’accadico e al luvio geroglifico è presente una versione in fenicio. Le ragioni dell’uso di quest’ultima lingua sono dibattute e sembrano da spiegare con un prestigio culturale della Fenicia e con una funzione extra-territoriale della lingua (lingua di cultura e di comunicazione tra stati10Niehr 2016. Sull’uso del fenicio nello stato di Que v. l’ipotesi di Yakubovich 2015.); inoltre, verosimilmente anche con rapporti di tipo commerciale e di carattere economico. Ben presto, tuttavia, il fenicio è sostituito nell’Asia anteriore dall’aramaico, che coesiste con l’assiro, mentre anche l’uso del Luvio geroglifico viene meno. L’iscrizione fenicia più recente proviene dalla Cilicia Aspera, dalla località di Cebelireis Dağı (KAI 287, Mosca, Russell 1987), e si data, in base alla forma dei segni, nel corso del VII sec. a.C.: si tratta di un cippo confinario che attribuisce terreni a un determinato individuo e alla sua famiglia. I nomi propri sono tutti locali e la ragione della persistenza del fenicio non è evidente.
L’uso del fenicio persiste senza interruzioni nella striscia costiera – il Libano attuale – e, in seguito al fenomeno della così detta colonizzazione, si diffonde nel Mediterraneo centrale e occidentale. Nella madrepatria la lingua e la scrittura fenicie sono usate fino a ca. il II-I secolo a.C.; nello sviluppo grafico, dalla fine dell’VIII secolo a.C., la fase della scrittura è chiamata tardo-fenicia: il limite è fissato dalla grafia dell’iscrizione di Karatepe, che fa in qualche modo da transizione verso forme più recenti. La documentazione è ora relativamente più scarsa, anche se gli ultimi anni hanno visto un notevole aumento delle attestazioni. A Biblo, dopo le iscrizioni regali arcaiche, un vuoto separa i documenti da un altro piccolo gruppo di testi regi databili nel corso del V secolo a.C. e fino al periodo ellenistico. Sono importanti l’iscrizione funeraria di un re anonimo, detta Byblos 13 (KAI 280) e quelle di un figlio di un re Shipitbaal (KAI 9); inoltre, e specialmente per la lunghezza e il contenuto, l’iscrizione votiva del re Yehawmilk (KAI 10); infine l’epitaffio della “regina” (figlia di re) Batnoam (KAI 12).
Sidone documenta una serie di iscrizioni a cominciare dal VI secolo a.C. Alcune sono iscrizioni regali molto famose, già note dalla fine del XIX secolo: sono le iscrizioni funerarie del re Tabnit e di suo figlio Eshmunazor (KAI 13 e 14), incise su sarcofagi provenienti dall’Egitto; quindi un gruppo di dediche del nipote di Tabnit, Bodashtart (tipi delle iscrizioni in KAI 15 e 16), cui si devono molte opere di costruzione, tra le quali importanti rifacimenti del grande santuario extra-urbano di Bostan esh-Sheikh, nell’entroterra della città, dedicato al dio Eshmun e legato a una sorgente11V. Stucky 2005; nuove iscrizioni in Mathys, Stucky 2018.. In questo santuario erano deposti numerosi ex-voto iscritti sia di personaggi di stirpe regale sia di fedeli che si scaglionano nel tempo almeno fino al III-II secolo a.C. Unici in questo periodo e altrove ignoti in ambito fenicio, sono alcuni enigmatici documenti incisi su pietra detti “quadrati magici”, con i nomi ricorrenti, leggibili in più direzioni, soprattutto degli dèi Astarte e Eshmun12V. in Stucky 2005, pp. 295-315 (H.P. Mathys, Magische Quadrate)..
La regione di Tiro è la più povera in documenti “ufficiali”13La città romana e quella moderna non permettono se non scavi in aree ristrette.. Oltre alle già citate stele dalla necropoli di al-Bass, interessanti per lo studio dello sviluppo della scrittura fenicia, vanno ricordate altre stele di provenienza sconosciuta, cui si è accennato sopra, e alcune stele da Akhziv, un insediamento poco a sud di Tiro. Iscrizioni importanti sono state rinvenute ad Amrit e a Sarepta, la più recente, una bilingue, fenicia e greca, viene da Arado ed è datata al 24 a.C. Non sembra che l’uso della scrittura fenicia in Oriente sia persistito successivamente.
Diffusione e sviluppo in Occidente
Oltre alle iscrizioni della regione anatolica del periodo tra la fine IX e il principio del VII secolo a.C., alcune iscrizioni rinvenute in Mesopotamia sono l’opera di immigrati o il frutto di bottini di guerra (documenti da Arslan Tash e Ur, KAI 27 e 29). Ma, dagli inizi del I millennio a.C., viaggiatori e mercanti fenici si spingono nel bacino del Mediterraneo dove fondano insediamenti stabili, diffondendo così in una vasta area la propria lingua e scrittura. Già dal IX secolo a.C. e nell’VIII, iscrizioni fenicie sono note a Cipro, in particolare a Kition (ora Larnaca), ma anche altrove, soprattutto nella zona sud-orientale dell’isola. Tutto il territorio, organizzato in regni, ha restituito numerosi documenti successivi, a cominciare dal V secolo a.C. sia di sovrani che di funzionari o semplici devoti; non mancano iscrizioni bilingui, fenicie e greche, in qualche caso in scrittura cipriota sillabica, a documentare il multiculturalismo che ha sempre caratterizzato Cipro. Un archivio amministrativo del IV secolo a.C., il primo finora scoperto (ora una testimonianza anche a Kition), è venuto in luce durante gli scavi della città di Idalion, in questo periodo dipendente dalla fenicia Kition, con testi scritti a inchiostro su frammenti di ceramica o di calcare duro locale; documentano, oltre a sistemi di immagazzinamento di merci – soprattutto olio e vino –, transazioni e forse imposte, un tipo di scrittura quotidiana poco noto in precedenza, che precorre in alcuni casi la più tarda scrittura neopunica14Sulle iscrizioni fenicie a Cipro v. in particolare Masson, Sznycer 1972 e Yon 2004. Sull’archivio di Idalion v. da ultimi Amadasi Guzzo, Zamora 2020 [2021]..
Fenici stanziati in Egitto, in Grecia – nelle isole e nella Grecia continentale – hanno lasciato alcuni documenti con interessanti casi di bilingui; ma la maggior parte delle iscrizioni proviene dagli insediamenti occidentali di Malta, della Sicilia, della Sardegna, della penisola iberica e soprattutto dell’Africa settentrionale15Un buon numero d’iscrizioni dell’occidente non africano è pubblicato in IFPCO; le iscrizioni dall’Africa (e una parte di quelle dalla Fenicia e da Cipro) sono edite nel CIS I; alcune nel RES. È in preparazione un corpus informatizzato di tutti i testi per iniziativa di P. Xella e J.Á. Zamora (2007) [2008].. Le più antiche testimonianze scritte della presenza fenicia in questi territori sono di datazione controversa: le fonti classiche fanno risalire le più antiche fondazioni poco prima dell’anno 1000 a.C., mentre le analisi dei dati archeologici sono discordanti. Se i primi viaggi si possono attribuire già al X secolo a.C., le più antiche iscrizioni fenicie note non sembrano potersi porre prima del tardo IX secolo (Gilboa 2013), attestando, queste ultime, relazioni di scambio piuttosto che stanziamenti fissi. La più antica iscrizione funeraria che conosciamo, da Cipro, non dovrebbe precedere questo periodo; le iscrizioni arcaiche rinvenute in Sardegna (Nora e Bosa)16KAI 30 e 46 (Cipro e Nora); CIS I, 162 (Bosa). sono poste nel IX secolo a.C. in base alla forma dei segni (Tav. 9).
I graffiti su ceramica trovati a Huelva (Spagna), che possiedono un contesto archeologico, non sembrano precedere l’VIII secolo; altri documenti databili tra l’VIII e i VII secolo a.C., per lo più graffiti o dipinti, provengono da varie località della penisola iberica, testimoniando l’incontro tra abitanti locali e nuovi venuti fenici17Huelva: González de Canales Cerisola et al. 2004, pp. 133-135 (lettura di M. Heltzer); insieme della documentazione: Zamora 2021.. In Occidente, a una fase fenicia si fa succedere una fase cartaginese, conseguenza del predominio di Cartagine sugli altri insediamenti, un predominio che ha come effetto, rispetto ai documenti scritti, una specifica standardizzazione nella lingua, nei formulari e nella forma della scrittura dei testi ufficiali. Cartagine, fondata – secondo la tradizione più accreditata – nell’814-13 a.C. da Tiro (i dati archeologici più antichi raggiungono l’800 a.C. circa), divenne relativamente tardi la metropoli dei fenici occidentali. Una caratterizzazione in senso “occidentale” della lingua e della scrittura rispetto a quanto testimoniato nella madrepatria, si coglie intorno alla seconda metà-fine del VI secolo a.C. Da questo periodo la lingua e la scrittura sono chiamate convenzionalmente puniche (Amadasi Guzzo 2014).
Scritture punica e neopunica
Dunque, nell’Occidente abitato da popolazioni di origine o di cultura fenicia, con i cambiamenti nelle situazioni locali, la scrittura si sviluppa autonomamente rispetto al Levante; da ca. il 500 a.C. in maniera evidente, la supremazia di Cartagine, con la propria cancelleria, dà un’impronta specifica e relativamente unitaria alla scrittura e all’ortografia; dopo la caduta di Cartagine (146 a.C.), invece, la dissoluzione delle scuole, produce il diffondersi di scritture corsive e più localmente caratterizzate e differenziate.
Un gruppo di iscrizioni incise su stele del tofet di Mozia (strati IV e III) e datate nel corso del VI secolo a.C., non presentano sostanziali differenze di scrittura rispetto a quelle della madrepatria, ma mostrano già un tipo di formulario caratteristico dell’Occidente (Amadasi Guzzo 1986). L’iscrizione fenicia su lamina d’oro trovata a Pyrgi18KAI 277. Ultimi studi: Bellelli, Xella 2016., datata a ca. il 500 a.C. (Tav. 10), oltre al formulario occidentale, mostra alcuni tratti specifici nella forma di alcuni segni tipici di quella che sarà la scrittura cartaginese. Da questo periodo le iscrizioni occidentali assumono un tipo di grafia diverso, che caratterizza appunto la scrittura chiamata punica, dal nome latino dato ai Fenici: lunghezza e inclinazione dei segni, così detto effetto di chiaroscuro nel tracciato delle aste che deriva da una scrittura a inchiostro su materiale deperibile. Questo tipo di scrittura, con sviluppi propri e locali nel corso del tempo, si mantiene in tutto l’Occidente fino alla caduta della metropoli; da questa città provengono più di 6000 iscrizioni; sono per la maggior parte dediche a Tinnit e Ba‘l Hammon, gli dèi che presiedevano ai riti di un santuario che, adottando una parola usata nella Bibbia ebraica, è stato chiamato tofet; si tratta di un santuario caratterizzato dall’offerta di bambini e piccoli animali, e specifico di molti stanziamenti fenici dell’Occidente, mentre non è finora documentato nella Fenicia19Studi d’insieme sul rito, nell’ambito di una bibliografia amplissima, Xella 2013. Dati archeologici: D’Andrea 2014.. Le iscrizioni, sia votive da luoghi di culto, sia funerarie su pietra sono le più diffuse; testi su metallo, pietre dure o altri materiali sono meno frequenti. Sono particolarmente numerose, specialmente da Malta (santuario di Tas Silg), le iscrizioni incise o graffite su recipienti ceramici, con funzione votiva o di proprietà.
Dalla metà del II secolo a.C. circa, in tutte le regioni occidentali di penetrazione fenicia, prevale sui documenti in pietra, canonizzandosi secondo le regioni, un tipo di scrittura semplificato, difficile da leggere per l’aspetto corsivo dei segni, usato in precedenza per testi dipinti su ostraka e verosimilmente su materiale deperibile andato perduto (resti di un papiretto magico sono conservati a Malta). Questo tipo di scrittura è chiamato neopunico (Zamora 2012). Le iscrizioni neopuniche hanno caratteri specifici non solo nella forma dei segni, ma soprattutto nella fonologia, per qualche elemento nella morfologia e specialmente nell’ortografia; già attestate in qualche esempio a Cartagine prima della distruzione, sono ampiamente diffuse in tutta l’Africa del Nord, dove documenti particolarmente ben curati provengono dalla Tripolitania, soprattutto da Leptis Magna20Raccolta in Levi Della Vida, Amadasi Guzzo 1987.. Pochi esempi sono noti nella penisola Iberica, in Sardegna, e meno ancora in Sicilia e a Malta. Iscrizioni neopuniche sono diffusamente usate in periodo romano, certamente per tutto il I secolo d.C. e verosimilmente fino al II; in seguito la scrittura scompare, mentre l’uso della lingua sussiste ancora fino a circa il IV-V secolo d.C. espressa in caratteri latini. Queste iscrizioni, che provengono dalla Tripolitania, sono chiamate latino-puniche21Raccolta in Kerr 2010a..
La scrittura ebraica e le varietà della regione circostante: moabita, ammonita, edomita, filisteo22V., con bibliografia, Vanderhooft 2014.
Dal IX secolo a.C. circa, in Palestina e nell’odierna Giordania, dopo i rivolgimenti del Bronzo Tardo, si stabilizzano e si organizzano nuovi stati chiamati convenzionalmente “nazionali” – perché, oltre ad avere costituito unità territoriali di una certa estensione, si riconoscevano in un antenato comune e veneravano specifiche divinità protettrici. Nascono, legate a questi nuovi stati, forme di scritture alfabetiche caratteristiche che prendono il nome dai popoli che in qualche modo rappresentano23Le ricostruzioni della formazione di Israele (e quindi di Israele e Giuda), in rapporto con i testi storici della Bibbia, sono innumerevoli; v. in italiano Liverani 2012..
Scrittura ebraica antica24Raccolte più recenti: TSSI I; Davies 1991; Renz, Röllig 1995; Dobbs-Allsopp et al. 2005. Sullo sviluppo della scrittura v. in particolare Yardeni 2019; Garbini 2006, pp. 101-106 (Iscrizioni della Samaria, che lo studioso considera essere di lingua fenicia); 120-127 (Iscrizioni ebraiche). V. inoltre Rollston 2010. Sulla scrittura della glittica ebraica, moabita ed edomita v. Herr 2014a.
La lingua ebraica, usata correntemente nelle iscrizioni degli stati di Israele e Giuda tra il tardo X-IX secolo a.C. fino all’esilio babilonese del 586 a.C.25Sussiste poi, come manifestazione identitaria con sviluppi e rinascite successive fino al periodo romano., è classificata, come il fenicio, nel gruppo delle lingue semitiche occidentali; l’ebraico impiega – come già si è osservato – un alfabeto di 22 lettere, disposte nell’ordine canonico già testimoniato a Ugarit e poi nell’area fenicia e aramaica. Per ripercorrere il processo di formazione della scrittura “nazionale” dei due stati palestinesi, chiamata ebraica, ebraica antica o paleoebraica, per distinguerla dalla successiva scrittura giudaica, o ebraica quadrata, di derivazione aramaica, si risale alle iscrizioni protocananaiche e soprattutto alla fase testimoniata dalle iscrizioni cananaiche o “Eary alphabetic”, che provengono per lo più dall’area palestinese, in particolare dai centri di Lachish, nel Bronzo Tardo, e poi, nell’età del Ferro, da Tell es-s.afi (Gath) e da Tel Rehov (Rehob) (Finkelstein, Sass 2021 [2022]).
Le più antiche serie alfabetiche che possediamo sono ancora considerate cananaiche: consistono in quelle, già citate, di Izbeth Sartah (approssimativamente attribuita tra l’XI e il X secolo a.C.) e di Tell Zaiyt26Tappy, McCarter 2008. È una serie alfabetica incisa su un blocco di pietra attribuita al X secolo a.C. e dimostrano l’uso almeno da questo periodo – non conosciamo la situazione precedente – della serie di 22 lettere, che non si adatta del tutto alla fonologia della lingua ebraica ricostruita per il primo periodo della sua attestazione (Rendsburg 2013) e fa perciò presumere una sua adozione dall’esterno27A meno di non presumere un dialetto meridionale locale diverso dall’ebraico.. Anche per questo motivo, si propone che un alfabeto lineare già schematizzato sia stato adottato da una città fenicia28Il fenicio – secondo la ricostruzione accettata – ha 22 fonemi, in accordo con le lettere dell’alfabeto usato. – cioè da un centro della costa del Libano. Appoggiano l’ipotesi di un influsso fenicio, oltre alla serie alfabetica comune, l’iscrizione già ricordata di Kefar Veradim (Alexandre 2013), nell’alta Galilea, da vari studiosi considerata fenicia (es. Rollston 2010, pp. 27-28), e la forma dei segni sia dell’alfabeto di Tell Zayit sia di un’altra famosa iscrizione nota da tempo il “calendario di Gezer” (KAI 152) (Fig. 17), un testo generalmente attribuito al X secolo a.C. e considerato spesso come il più antico documento della scrittura ebraica29TSSI I, 1-4. V. in particolare Cross 2003, p. 226..
L’iscrizione di Gezer è incisa su una lastrina di calcare ed elenca operazioni agricole in rapporto con i mesi dell’anno. È però tuttora discussa sia la funzione del documento, sia la sua classificazione dal punto di vista della scrittura e della lingua, da alcuni considerata fenicia30V. da ultimo Pardee 2013. Secondo G. Garbini è di un tipo da ricollegarsi ancora linguisticamente al periodo del Bronzo Tardo: v. Garbini 2006, pp. 97-98., sia infine la sua cronologia31Nel corso del IX secolo (“Late Iron Age II A”; v. Finkelstein – Sass 2013, 167, con bibliografia e diverse proposte sul tipo di scrittura).. Sono entrate, inoltre, nella discussione sulla formazione delle scritture regionali, in seguito agli studi di B. Sass e I. Finkelstein (Finkelstein, Sass 2013), alcune importanti iscrizioni su ceramica da Tell es-Safi (Gath) e da Tell Rehov: alcune infatti hanno segni ancora di tipo cananaico, mentre altre presentano un tracciato delle lettere che, secondo Sass e Finkelstein, e con ragione, non può essere definito da un punto di vista “nazionale”. La scrittura di alcune iscrizioni da Gath è definita dai due studiosi come ebraico-fenicia, mentre quella di alcuni documenti da Rehov è classificata come aramaico-fenicia. Proprio queste due varietà avrebbero dato origine, secondo la loro ricostruzione, alle scritture regionali attestate dal IX secolo a.C. con la stabilizzazione delle nuove entità statali del Vicino Oriente Antico (Israele, Moab, città stato fenicie, stati aramaici).
Una soluzione concorde e priva di problemi riguardo alla formazione delle così dette “scritture nazionali” non è per ora raggiunta, specialmente a causa dei vuoti nella documentazione. È certo però che solo l’emergere di stati organizzati burocraticamente e con amministrazioni centrali ha dato luogo a forme di scrittura nettamente caratterizzate e alla redazione d’iscrizioni monumentali di sovrani locali innanzitutto a scopo celebrativo, commemorativo, memorialistico e funerario.
I più antichi documenti della varietà tipica della scrittura ebraica provengono da uno stato esterno, Moab: sono principalmente la stele del re Mesha (KAI 181 = TSSI I, 71-84) (Fig. 18), trovata nel 1868 a Diban, la capitale del regno moabita, e altri frammenti di stele che risalgono alla fine del IX secolo a.C. – inizi dell’VIII32V. la raccolta d’insieme di Ah.ituv 2008. Su Moab v. Benedettucci 2017. Su Mesha, in particolare, Dearman 1989, sulla stele di Mesha, da ultimo, sul testo, Lemaire 2021.. La scrittura ebraica antica è infatti abbastanza povera di iscrizioni monumentali, mentre sono numerose e di contenuto molto importante per ricostruzioni storiche, sociali, e delle concezioni religiose, le iscrizioni su ostraka e intonaco, spesso dipinte a inchiostro, i graffiti su pietra, su ceramica e altre superfici, infine le iscrizioni su sigilli e bullae.
I Moabiti erano una popolazione dell’attuale Giordania, a est del Mar Morto, noti, oltre che da iscrizioni, da fonti bibliche assire ed egiziane. All’inizio del I millennio a.C. il passo biblico 2 Re 3:4-27, ricorda le guerre e la sottomissione del paese di Moab e del suo re Mesha da parte della dinastia di Omri (prima metà del IX secolo a.C.), quindi il ritiro delle truppe coalizzate contro Moab. Una versione diversa è riferita dalla stele del re Mesha, della seconda metà del IX secolo a.C., che celebra le proprie vittorie su Israele e le sue opere di costruttore. Secondo il processo di sviluppo della scrittura generalmente accolto, i Moabiti adottarono la grafia ebraica antica in seguito ai rapporti stretti fra i due stati; questa varietà è già ben canonizzata nella famosa stele e negli altri frammenti citati sopra: una sua caratteristica è la tendenza ad allungare e a incurvare verso sinistra l’asta principale di alcuni segni (b, k, m, n, p)33Sulle due scritture, e i loro sviluppi nel tempo, v. Vanderhooft 2014..
Un altro gruppo importante di testi offre testimonianza della scrittura propria ai regni d’Israele e Giuda per il periodo compreso tra la fine del IX e l’VIII secolo a.C.34V. la ricostruzione del processo in Sass 2017; Finkelstein, Sass 2021 [2022]; diversamente, in particolare, Vanderhooft 2017.; sono i documenti da Kuntillet Ajrud (Horvat Teiman)35Editio princeps Meshel 2012., un insediamento su un’altura nel Sinai settentrionale, la cui funzione è dibattuta, forse una sorta di caravanserraglio, che dipendeva dallo stato di Israele. Le iscrizioni qui documentate sono molto importanti da più punti di vista – in primo piano da quello storico-religioso, ma anche epigrafico e filologico. I testi sono sia incisi su supporti vari, sia, per la maggior parte, dipinti su intonaco e su grandi recipienti. Nonostante il sito fosse legato al regno d’Israele, la scrittura attestata è di più di un tipo e presenta, in alcuni esempi, tendenze che si è proposto di ascrivere ad un ambiente interno e periferico, con tratti che saranno caratteristici della scrittura aramaica (es. Blum 2021).
Riguardo allo sviluppo nella forma delle lettere, le iscrizioni di Kuntillat Ajrud mostrano in vari casi ancora più accentuata la tendenza della scrittura ebraica antica all’allungamento delle aste dei segni e alla loro curva verso sinistra. È tipico, inoltre, l’appiattimento e l’allargamento di alcuni segni (h, z, s.). Nell’insieme questa scrittura, anche se incisa su pietra o altro materiale duro, mostra un’evidente tendenza corsiva: era certo adoperata più di frequente – oltre che su ostraka – su materiale deperibile come papiro, pelle e tavolette cerate; esistono soltanto alcuni frammenti di papiri, la cui autenticità è però messa in dubbio36Un papiretto è classificato come moabita; prima edizione Bordreuil, Pardee 1990.; l’ampio uso di documenti scritti su papiro è però documentato dal ritrovamento di numerose impronte di sigilli conservate su frammenti di argilla (cretule) che servivano a chiudere i rotoli37Su un insieme di bullae v. Avigad 1986. Sono numerosi anche i sigilli, che risalgono all’VIII secolo a.C.: raccolta d’insieme: Avigad, Sass 1997..
La scrittura dei due stati di Israele e di Giuda appartiene a una stessa tradizione, anche se differenze locali e cronologiche distinguono i vari documenti; rispetto alla lingua delle iscrizioni, alcune differenze tra il dialetto usato nel regno d’Israele e quello del regno di Giuda hanno fatto distinguere un ebraico del Nord, con caratteristiche in comuni con il fenicio, da un ebraico del Sud, tipico del regno di Giuda.
Dal regno d’Israele, con capitale Samaria, proviene un solo frammento di stele in pietra, attribuito all’VIII secolo a.C. (Ah.ituv 2008, p. 257). I documenti più numerosi e più importanti che permettono di ricostruire l’approvvigionamento palatino, soprattutto di olio e vino dai terreni circostanti, sono i famosi ostraka, rinvenuti nel 1910 e poi nel 1931-1935 e che si dividono in due gruppi, con date e formule diverse, uno del nono e decimo anno, l’altro del quindicesimo di un re non nominato: si tratta o di Joas o di Geroboamo II, nella prima metà dell’VIII secolo (Ah.ituv 2008, pp. 258-312; da ultimo Richelle 2022, con bibliografia). I documenti attestano una scrittura a inchiostro di tipo corsivo e mostrano l’uso di due sistemi di numerali.
I documenti dal regno di Giuda sono più numerosi, con alcuni testi lapidari importanti per contenuto e forme della scrittura, molto regolare e uniforme; tuttavia, nessuna iscrizione regale è finora nota da questo territorio. Il documento più importante, e di un genere unico, è l’iscrizione del tunnel di Siloe (o Siloam; KAI 189)38TSSI I, 21-23; Ahituv 2008, pp. 19-25 (con bibliografia). (Fig. 19), incisa sulla parete rocciosa della condotta scavata nella roccia tra la piscina di Siloe e la sorgente del fiume Gihon, fuori di Gerusalemme, che ricorda lo scavo del tunnel stesso fatto eseguire dal re Ezechia, come raccontano passi della Bibbia ebraica (2 Re 20:20; Is 22, 9-11; 2 Cr 32, 3-5, 30), perché la città fosse provvista di acqua in vista dell’assedio di Sennacherib nel 701 (proposte alternative non mancano). Appartengono allo stesso periodo o sono di poco successive tre iscrizioni funerarie su roccia dal villaggio di Silwan, nella valle del Kidron; la meglio conservata cita la carica di “maggiordomo del palazzo” – una sorta di ministro –, attribuita a vari personaggi citati nel testo biblico (Ahituv 2008, pp. 44-49). Da Gerusalemme, provengono (oltre a vari ostraka), due frammenti di stele, una dalla “Città di David” e l’altra dall’Ophel, attribuite a questo stesso periodo (Ahituv 2008, pp. 25-26, 30-32). Ai fini della questione della redazione di passi biblici sono molto importanti due amuleti in argento dalla località di Ketef Hinnom, una collina a sud-ovest dell’antica Gerusalemme, che riproducono, a scopo di protezione, testi che richiamano le “benedizioni” del passo biblico Nu 6:24-26 (Ahituv 2008, pp. 49-55) e danno così un chiaro esempio della diffusione di una documentazione canonizzata nella Bibbia ebraica.
Provengono da tombe anche i graffiti di Khirbet el-Qom (un’iscrizione è dipinta), datati nella seconda metà-fine dell’VIII secolo a.C.39Renz, in Renz, Röllig 1995, pp. 199-202 (iscrizioni 1e 2, ca. 700 a.C.; iscrizione 3, ultimo quarto dell’VIII secolo). Sul significato d’insieme (sociologico oltre che religioso di questi e simili testi incisi in luoghi impervi, v. Mendell, Smoak 2017. e di Khirbet el-Lei, degli inizi del VI secolo a.C.; sono iscritti su pareti di grotte usate come tombe, nel territorio tra Hebron e Lachish: il significato di questi testi è difficile da ricostruire completamente, ma è interessante perché rivela aspetti della religiosità del tempo, specialmente delle credenze sull’oltretomba.
La scrittura attestata da questi documenti è ben curata, regolare e rimane notevolmente uniforme durante tutto il periodo della sua attestazione. Nel tracciato dei segni delle iscrizioni su pietra è evidente l’uso del chiaroscuro a scopo ornamentale che – come notato per il punico – è una caratteristica tipica di una scrittura originariamente corsiva.
Mentre, come accennato, le iscrizioni su pietra sono scarse, sono invece molto numerosi e di grandissimo interesse per ricostruire aspetti della storia politica, economica e sociale dello stato, nonché naturalmente della lingua e dello stile narrativo ed epistolare, i numerosi ostraka trovati specialmente negli insediamenti di Arad e di Lachish, ma provenienti anche da altri siti. Un gruppo di 91 ostraka è stato rinvenuto nel Sud, nella fortezza di Arad, distrutta probabilmente tra il 598 e il 597 a.C.; i documenti sono attribuiti soprattutto al periodo VII-inizi VI secolo; 18 ostraka costituiscono una sorta di archivio di lettere del preposto al forte, di nome Eliashib, e si riferiscono alla consegna di derrate alimentari a determinate categorie di personale (Aharoni 1981; ampia scelta in Ah.ituv 2008, pp. 92-153). Della fine del VII secolo è il famoso ostrakon di Mesad-Hashavyahu (vicino a Yavneh Yam, sulla costa a Nord di Ashekelon; KAI 200), che consiste nella petizione di un lavoratore, e dà indicazioni sul diritto allora praticato (Ahituv 2008, pp. 49-55, con ampia bibliografia). Il gruppo di lettere proveniente da Lachish è invece datato alla fine del VI secolo a.C. (Tav. 11); il sito fu distrutto da Nabucodonosor nel 586 a.C., poco prima della conquista di Gerusalemme e alcuni ostraka fanno riferimento alla situazione dell’assedio dell’insediamento (Torczyner et al. 1938; ampia scelta in Ahituv 2008, pp. 56-91). Numerosi altri ostraka da varie località si vanno scoprendo nel corso degli anni e nuove tecniche fotografiche sono state a messe a punto che consentono una lettura più sicura di parti dei testi apparentemente svanite.
Altri documenti su ceramica, come le anse iscritte di vasi da Gibeon, del VI secolo a.C. (Ahituv 2008, pp. 216-218 e bibliografia), mostrano grafie poco curate, il che documenterebbe la diffusione relativamente ampia delle capacità di scrivere a vari livelli sociali. Da ricordare infine i numerosi sigilli iscritti e i bolli, soprattutto il gran numero di impronte su anse di anfore, specialmente i bolli così detti regi, con l’iscrizione LMLK “del re” e spesso il nome di determinate città; la, loro funzione certamente di carattere ufficiale, non è ancora del tutto chiarita40V. il sito The LMLK Research Website http://www.lmlk.com/research/ (bibliografia fino al 2012) e http://www.lmlk.com/research/lmlk_corp.htm (corpus fino al 2012)..
Con la caduta di Gerusalemme e la deportazione a Babilonia dell’élite, l’uso della scrittura ebraica antica subisce un’interruzione. Per la grande diffusione dell’aramaico, al ritorno degli esiliati s’impone in Palestina l’uso di scrivere la lingua ebraica in una scrittura aramaica (e man mano si afferma anche la lingua), che è alla base dell’attuale scrittura usata nella stampa. Si hanno tuttavia, dal II secolo a.C., rinnovate attestazioni dell’antica tipologia dei segni sia su bolli d’anfora e monete sia su pelle, documenti rinvenuti specialmente a Qumran. L’antica scrittura è adoperata fino alla seconda rivolta contro i Romani del 135 d.C. (monete di Bar Kokhba) e un suo sviluppo ne è la scrittura samaritana, usata tuttora da questa setta religiosa; la data di origine di questo tipo di grafia è comunque ancora incerta (Dušek 2012). L’impiego post-esilico della scrittura ebraica antica è da alcuni considerata una conservazione di quella del VI secolo a.C. in determinati circoli ristretti; altri la ritengono una ripresa artificiale.
Scritture moabita, ammonita, edomita41Sulla scrittura moabita v.i già citati Dearman 1989; Benedettucci 2017 (e bibliografia); nell’insieme sull’area v. in particolare Bienkowski 2009. Sulla scrittura, Garbini 2006, pp. 107-108. Scelta di iscrizioni in Ah.ituv 2008, pp. 387-431. Glittica dell’area il già citato lavoro di Vanderhooft 2014. Sull’ammonita v. più di recente, Tyson 2014. Bibliografia completa in Benedettucci 2020. Sulle iscrizioni Aufrecht1989; scelta in Ah.ituv 2008, pp. 357-386. Sulle forme della scrittura, v. Herr 2014a e b. Sugli ostraka (con bibliografia) Richelle 2018. Sull’edomita, v. Bartlett 1989; Rollston 2014 (con iscrizioni e sigilli). Scelta d’iscrizioni in Ah.ituv 2008, pp. 351-356.
Oltre ai documenti dei Moabiti già ricordati, nel corso degli anni si sono individuate scritture attribuibili a stati della regione palestinese e giordana che hanno avuto una certa coesione e autonomia relativa e diversa tra loro – formando regni o stati locali nell’età del Ferro: gli Ammoniti, gli Edomiti e i Filistei (i quali in base agli studi di questi ultimi decenni mostrano di aver avuto un ruolo considerevole anche nella diffusione dell’alfabeto consonantico). Mentre, come si è visto, i più antichi esempi di scrittura moabita la pongono in connessione diretta con quella ebraica, la situazione si modifica in seguito: già alla fine del IX secolo a.C. si diffonde nella regione la scrittura di Damasco e intorno all’800 a.C. l’iscrizione moabita dell’altare di Khirbet el-Mudeiyna (Ah.ituv 2008, pp. 423-426) mostra un ductus e forme di lettere diverse rispetto al testo di Mesha. Nell’VIII secolo a.C. l’influenza della scrittura aramaica – la cui lingua diventerà presto la lingua di comunicazione delle potenze centrali mesopotamiche – esercita la sua influenza sulla scrittura moabita.
È stato isolato, inizialmente sulla base dell’onomastica, ma poi per caratteristiche paleografiche e iconografiche, un gruppo di sigilli identificato come moabita. Le iscrizioni presentano alcune caratteristiche comuni con quelle ebraico-antiche, ma hanno anche, accanto a raffigurazioni caratteristiche, forme di lettere tipicamente aramaiche. Appaiono specifiche di questo gruppo di documenti la forma di mem, con parte superiore larga e asta mediana corta, la ain con occhiello aperto e la shin a tridente.
A nord dei Moabiti vivevano gli Ammoniti, conosciuti in un primo tempo soprattutto per i rapporti con gli Israeliti; soltanto a partire dagli anni cinquanta del Novecento, sono state individuate iscrizioni, che si scaglionano nel periodo IX-V secolo a.C., assegnate a questa popolazione il cui nome locale era “figli di Ammon”. I documenti sono stati attribuiti agli Ammoniti inizialmente basandosi sul luogo di ritrovamento e sull’onomastica, in seguito per specificità grafiche e iconografiche. Attualmente, sono classificate come ammonite tre iscrizioni monumentali su pietra e un testo inciso su una bottiglietta in bronzo (Fig. 20), inoltre un gruppo di ostraka e sigilli la cui classificazione si fonda oltre che sulla forma dei segni, su criteri iconografici. Si discute tuttora sulla lingua delle iscrizioni su intonaco rinvenute a a Deir Alla, nell’attuale Giordania (KAI 312), datate tra l’VIII e gli inizi del VII secolo a.C., che contengono difficili e interessanti testi oracolari42V., con bibliografia, Ah.ituv 2008, 434-465. J. Hackett 1984 considera la lingua cananaica..
La lingua ammonita è classificata come cananaica; la posizione della scrittura è discussa: G. Garbini la considera di origine fenicia, così come la lingua, aramaizzata nel corso del tempo (Garbini 2006, pp. 105-107, con bibliografia essenziale); J. Naveh sottolinea l’identità della scrittura ammonita con quella aramaica, mentre F.M. Cross individua nell’ammonita una “scrittura nazionale” (v. citazioni in Aufrecht 2014). Di fatto, alcune lettere appaiono localmente caratteristiche: in particolare la ain quadrata e la tet allungata, con sbarra centrale. In realtà, non appare possibile, nel IX secolo a.C. (periodo della più antica iscrizione), distinguere la scrittura aramaica da quella fenicia. La successiva aramaizzazione è in accordo con quanto testimoniato per il moabita; ma, mentre la scrittura moabita appare connessa inizialmente a un modello ebraico, riguardo a quella ammonita, data la vicinanza di Damasco, un rapporto di dipendenza con la tradizione grafica di questo stato già verso la metà del IX secolo a.C. appare verosimile (Vanderhooft 2014).
Gli Edomiti (il nome deriva da Edom, altro nome di Esaù nella Bibbia ebraica) risiedevano a Sud di Moab, nella zona tra l’attuale Bosra e Elat. Le iscrizioni più antiche possono risalire al massimo all’VIII secolo a.C. e si estendono fino al V secolo a.C. circa; provengono soprattutto da Tell Kheleifeh, nella regione di Elat, da Umm el-Biyara e da Bosra, nella zona di Petra. I documenti sono stati attribuiti a questo popolo sulla base della provenienza, quando nota, dell’onomastica, di alcuni tratti linguistici e di caratteristiche della scrittura; consistono in alcuni ostraka, in sigilli e impronte di sigilli. Tra questi, il più antico – il sigillo di Yotam – è posto nell’VIII secolo a.C., mentre il più recente si data al V. La scrittura è di tipo aramaico, con caratteristiche proprie in alcuni casi comuni al moabita e all’ammonita; è tipica la mem con parte superiore larga.
Più tardi, in periodo tardo persiano-ellenistico (IV secolo a.C.), nel territorio edomita è usato l’aramaico sia come lingua che come scrittura ed è testimoniato da circa 2000 ostraka detti “ostraka idumei”: sono documenti di tipo contabile e amministrativo, provengono da scavi illeciti e sono ora dispersi in collezioni e musei (da ultimi: Porten, Yardeni 2014-2020); per quanto privi di contesto archeologico, permettono di ricostruire l’attività di grandi aziende agricole, specialmente l’antica Maqqeda (ora Khirbet el-Qom).
Scrittura filistea43Sulla questione dei Filistei v. ad es. Garbini 1997; Yasur-Landau 2010; Faust, Lev-Tov 2011; Killebrew, Lehmann 2013. Sulle iscrizioni e la lingua v. per primo Naveh 1985; Garbini 1997, 245-268. Scelta d’iscrizioni in Ah.ituv 2008, 335-350.
I Filistei – parte dei così detti “Popoli del Mare”, nella Bibbia ebraica acerrimi nemici di Israele – si stabilirono nella zona meridionale della Palestina nel periodo critico di passaggio tra il Bronzo Tardo e il Ferro I, soprattutto nei centri di Gaza, Ashkalon, Gath/Tell es-Safi, Ekron/Tell Miqneh, Ashdod; in questa regione i modi e i tempi del loro insediamento sono molto studiati e complessi. Un problema specifico riguarda il possibile rapporto con il regno di P/Walistin individuato intorno al 1100-1000 a.C. e fino al IX secolo nell’area della Siria nord-occidentale (v. sotto). La nuova popolazione – considerata dalla maggior parte degli studiosi di provenienza egea – adottò, in un determinato stadio, la lingua e la scrittura locali, usando probabili dialetti propri, anche se non è facile dare una qualsiasi etichetta “etnica” alle prime iscrizioni alfabetiche della regione (v. origine dell’alfabeto consonantico). Un gruppo di testi classificati come filistei in base ai luoghi di ritrovamento, all’onomastica, alle forme della scrittura ed eventualmente alla classificazione linguistica (nel caso dell’iscrizione di Ekron), sono stati individuati per primo da J. Naveh, seguito da G. Garbini (Naveh 1985; Garbini 1997, pp. 245-268). Vari studi successivi, insieme con nuovi documenti, hanno mostrato l’uso precoce dell’alfabeto consonantico nella regione (Izbet-Sartah e ostrakon di Tell-es-Safi/Gath) e hanno identificato un gruppo di iscrizioni e sigilli con caratteristiche specifiche, ma non omogenee, attribuiti a questa popolazione, presenti ancora fino al VII-V secolo a.C. (ostraka di Tell Jemmeh). L’unica iscrizione monumentale, risalente agli inizi del VII secolo a.C., è la dedica a una dea d’identificazione discussa rinvenuta in un santuario di Tell Miqneh (Fig. 21), che ha permesso di identificare in maniera sicura questo insediamento con l’antico centro di Ekron44L’iscrizione contiene il nome della città. Prima edizione: Gitin, Dothan, Naveh 1997; v. anche Naveh 2009, pp. 359-374; 375-378 e Ah.ituv 2008, pp. 335-340.. La sua importanza risiede nell’attestare un dialetto specifico e un’onomastica connessa in parte, in via di ipotesi, con l’ambito egeo, come mostra il nome del dedicante, ricostruito come Ikausu (scritto ’KYŠ) è stato messo da J. Naveh in rapporto con il greco Akhayos (un Achish re di Gath è citato in 1 Sam 21:11, segg.)45La vocalizzazione è quella massoretica. Nei LXX il nome è reso come Αγχαυς.. Il suo nome e quello del padre Pady sono noti dagli Annali assiri dell’epoca di Sennacherib e di Esarhaddon. L’insieme dei documenti attesta una lingua di tipo cananaico (non mancano anche da questa regione alcune iscrizioni in aramaico); testi non traducibili, apparentemente non semitici, sono stati attribuiti anch’essi ai Filistei. La scrittura delle iscrizioni in dialetto cananaico, specie quella di Ekron, è in rapporto con quella fenicia (per Ekron, i confronti sono con documenti da Biblo, simili anche nel formulario), ma ha anche tratti in comune con quella ebraica. L’uso nella regione della lingua e della scrittura aramaica è da ascrivere secondo J. Naveh, alla guarnigione assira stanziata nel territorio. Documenti classificabili come filistei non sono attestati dopo il VI-V secolo a.C.
Scrittura aramaica: formazione, sviluppo e diffusione
Mentre l’alfabeto fenicio, tramite quello greco, è all’origine di tutte le scritture occidentali e in particolare di quella latina, un’altra tradizione grafica, derivata dall’alfabeto fenicio, quella aramaica – già ampiamente citata per il suo influsso precoce sulle scritture locali delle regioni palestinese e giordana –, ebbe una diffusione altrettanto ampia in Oriente nel tempo e nello spazio: basti citare gli alfabeti arabo, ebraico moderno, siriaco, tutti di estrazione aramaica.
Gli Aramei, breve sintesi46V. in generale Dion 1997; Lipiński 2000; Niehr 2014; Younger 2016. Sulla scrittura: Naveh 1970.
Gli Aramei sono una popolazione organizzata originariamente in tribù e clan presenti in Mesopotamia e in Siria settentrionale già nel II millennio a.C.; in quest’epoca è testimoniato l’etnico Ah˘lamu-Armaya attribuito a un insieme di popolazioni che si collegano con i successivi Aramei. All’inizio del periodo del Ferro, anche grazie all’indebolimento delle potenze che fino allora avevano dominato l’area vicino orientale (Ittiti e Assiri soprattutto), gruppi di Aramei si sovrappongono a popolazioni specialmente di lingua luvia, insieme a popoli portatori di una cultura considerata di stampo egeo (i già citati “Popoli del Mare”), cui si lega il regno di P/Walistin, con centro principale nell’attuale Tell Tayinat/Kinalua47Capitale del successivo stato noto come Patina.. Il toponimo P/Walistin è stato individuato da D. Hawkins nella regione intorno al 1100-1000 a.C., fino al IX secolo, e si è proposto di metterlo in relazione con l’etnico dei “Filistei” stabiliti nell’area palestinese48Hawkins 2011. Stato della questione in Younger 2016, pp. 123-135..
I clan aramaici si diffondono territorialmente, si sedentarizzano e formano stati locali che raggiungono una certa potenza regionale. Le nuove entità si esprimono in una lingua che, soprattutto per specifiche caratteristiche fonologiche e morfologiche, è classificata come un gruppo a parte (aramaico) del semitico di Nord-Ovest; per fissarla, i nuovi stati adottano la scrittura alfabetica consonantica49Sintesi per le fasi antica e d’impero (con bibliografia) in Stadel 2020.. Tra questi, il regno di Damasco, sotto il re Hazael (ca. 843-803 a.C.) è a capo di un ampio territorio, definito da alcuni come un “impero” (raggiunge a sud verosimilmente Gath), e diffonde nelle zone circostanti la propria tradizione di scrittura. Hanno avuto anche un certo ruolo politico gli stati di Sam’al (attuale Zincirli), Soba (in Celesiria); più a nord Hamath e Lu’ash e Bit-Agushi (con capitale Arpad). In Mesopotamia si conoscono gli stati di Bit-Bakhyani (con capitale Guzana, ora Tell Halaf) e Bit Zamani, sull’alto Tigri. Tali stati non formarono mai tra loro un’unità nazionale, mentre sono accertate estensioni territoriali e accordi anche di tipo federale tra entità statali. La frammentarietà dei vari potentati permise all’Assiria, riorganizzata in senso imperiale dall’epoca di Tukulti-Ninurta II (889-884 a.C.), di guadagnare progressivamente il predominio sugli stati aramaici. Damasco cade nel 732 a.C. e da quest’epoca non è più documentato come potenza autonoma.
Nonostante la perdita dell’indipendenza politica degli Aramei, la loro scrittura si diffonde ampiamente nell’Asia anteriore; tale estensione è dovuta in parte alla necessità della nuova potenza assira di comunicare coi soggetti occidentali di lingua aramaica o affine, in parte alla consuetudine da parte dell’impero di deportare in altri stati vassalli popolazioni di territori conquistati. È stata anche questa dispersione di gruppi etnici a dare impulso già dall’VIII secolo a.C. all’impiego da parte dell’Assiria della lingua e della scrittura aramaica, favorita anche dalla semplicità del sistema. Sotto l’impero achemenide, l’aramaico diventa una delle lingue ufficiali (lingua veicolare) e si diffonde in una forma scritta uniforme (la fase linguistica è chiamata “aramaico d’impero” o “standard”) già codificata in parte nel periodo assiro. Con la caduta della potenza persiana e la formazione degli stati ellenistici, il greco sostituisce l’aramaico come lingua ufficiale. Quest’ultimo tuttavia, oramai solidamente impiantato, si mantiene; ma non più soggetto ai vincoli di una tradizione centrale, si sviluppa localmente in rapporto con la formazione di nuovi stati più o meno autonomi, ciascuno caratterizzato da una propria varietà di lingua e di scrittura50V. in particolare Gzella, Folmer 2008 (insieme di studi su specifiche fasi e documentazioni); Gzella 2015, ambedue con ampie bibliografie..
La classificazione delle varie espressioni dell’aramaico non è univoca (v. Gzella 2015). La più seguita è quella proposta da J. A. Fitzmeyer (Fitzmeyer 20043, pp. 30-32 e 1979; v. Gzella 2015, p. 47 e nota 114), che distingue cinque fasi successive della lingua: antico aramaico (ca. 925-700 a.C.); aramaico ufficiale (o standard) (ca. 700-200 a.C.); aramaico medio (ca. 200 a.C.-200 d.C.), suddiviso in gruppi di documenti dalla Palestina, dall’Arabia, dalla Mesopotamia; aramaico tardo (ca. 200-700 d.C.), suddiviso in occidentale (palestinese giudaico, palestinese cristiano e samaritano) e orientale (babilonese giudaico, siriaco, mandaico); infine le varie forme di aramaico moderno. La classificazione delle scritture non corrisponde del tutto a quella dei dialetti. Dialetti aramaici possono essere redatti in una scrittura non aramaica: è il caso dell’aramaico samaritano, che adotta una scrittura derivata dall’ebraico antico (la stessa dei Samaritani di religione ebraica). Una lingua non aramaica, l’ebraico, dopo l’esilio babilonese, adotta una scrittura aramaica occidentale, il c.d. ebraico quadrato o giudaico. L’aramaico giudaico del Talmud babilonese (quindi un dialetto orientale) è scritto nell’ebraico quadrato sviluppatosi in Palestina; l’aramaico palestinese cristiano (occidentale), è scritto in caratteri siriaci (orientali). Si presenteranno qui e nei capitoli seguenti le principali varietà delle scritture aramaiche, senza addentrarsi nei dettagli riguardo a quelle più recenti e tuttora in uso quali il c.d. ebraico giudaico o quadrato, il siriaco e l’arabo, le cui grafie hanno avuto vari e specifici sviluppi, che non saranno trattati qui.
Scrittura aramaica antica51Per le iscrizioni e la grammatica, v. TSSI II; di recente, Fales, Grassi 2016 (con bibliografia precedente e scelta di iscrizioni).
Le prime testimonianze delle scritture aramaiche sono da attribuire al IX secolo a.C. La più antica è considerata una corta epigrafe da Tell Halaf (antica Guzana, nella Turchia meridionale), da alcuni datata nel X secolo a.C. (KAI 231 = TSSI II, 10; Dankwarth, Müller 1988). Nella vicina Tell Fekheriye (antica Sikan, forse l’antica Washukanni, capitale dello stato di Mittani) è stata scoperta casualmente nel 1979 una statua maschile con una lunga iscrizione cuneiforme assira incisa sulla parte anteriore della veste e una sua versione aramaica incisa sul lato posteriore (KAI 309); nonostante l’aspetto molto arcaico delle lettere, l’iscrizione si pone intorno alla metà del IX secolo a.C. o poco dopo in base ai dati contenuti nel testo, oltre alle caratteristiche iconografiche e stilistiche del monumento52Prima edizione con discussione sulla datazione, Abou Assaf, Bordreuil, Millard 1982. Studio recente (con data nell’ultimo quarto del IX secolo a.C.) in Dušek, Mynářová 2016.. L’origine e il periodo dell’adozione di questo tipo di scrittura sono dibattuti e devono considerarsi differenti e verosimilmente precedenti rispetto alla scrittura adottata intorno all’ultimo quarto del IX secolo a.C. in una zona sud-occidentale; oltre alla forma dei segni, la resa grafica di alcuni fonemi tipici dell’aramaico è diversa a Tell Fekheriye rispetto alle iscrizioni degli altri stati più occidentali: in particolare la *t originaria è resa dal segno S (samek) e non da Š (shin) come altrove (Fales, Grassi 2016).
Un gruppo d’iscrizioni della seconda metà del IX secolo a.C. è stato redatto dalla cancelleria del re Hazael di Damasco: oltre a un frammento di avorio da Arslan Tash, noto dagli anni trenta del Novecento, e a un avorio frammentario da Nimrud, è da attribuita a Hazael un’importante iscrizione commemorativa ricostituita da tre frammenti rinvenuta a Tel Dan (in Galilea; KAI 310)53Prima edizione: Biran, Naveh 1993; Biran, Naveh 1995 (= Naveh 2009, pp. 256-273). V. anche Hagelia 2009., che nomina sia il regno di Samaria sia forse la casa di David, commemorandone la sconfitta; sono poi da segnalare un paraocchi e un frontale in bronzo, parte di una stessa bardatura, trovati rispettivamente a Eretria e a Samo (Younger 2005): erano verosimilmente beni del sovrano acquisiti come bottino o come dono nel corso di una campagna nello stato di Umqi. Divenuti poi parti del saccheggio seguito alla caduta di Damasco del 732 a.C., sono passati di mano in mano e sono stati offerti, infine, come doni di pregio in santuari greci. Intorno all’800 a.C. si data un’iscrizione dedicata a Melqart da un re Barhadad, forse di Arpad, trovata nella località di Bredj, pochi chilometri a nord di Aleppo (KAI 201 = TSSI II, 1); il testo mostra interessanti rapporti culturali con Tiro, che sono forse andati di pari passo con l’adozione della scrittura. Risale a ca. il 785 a.C. la famosa stele del re Zakkur (ca. 803-780 a.C.) di Hamath e Luash, da Tell Afis (KAI 202 = TSSI II, 5), che commemora la vittoria di questo sovrano su una coalizione di almeno 16 re capeggiati da Barhadad di Damasco (il figlio e successore di Hazael), mostrando così l’iniziale declino dello stato damasceno; un altro frammento di stele con il nome di Hazael è stato trovato nel corso di scavi degli ultimi decenni sempre a Tell Afis. Tre stele frammentarie, della metà dell’VIII secolo a.C., rinvenute nel sito di Sefire (la localizzazione esatta è discussa) a ca. 25 km da Aleppo (KAI 222-224; v. anche Lemaire, Durand 1984; Fitzmeyer 1995), contengono un lungo e interessante trattato tra il re Matiel di Arpad e un certo Bargayah (la vocalizzazione è convenzionale), non identificato, più potente di Matiel, re della ugualmente non identificata città/stato di KTK (si tende a vocalizzare Kittika)54Lemaire, Durand 1984 hanno proposto che il personaggio sia da identificare con il governatore (turtānu) Shamshi-Ilu. (Fig. 22). In questo periodo l’uso dell’aramaico si estende dalle attuali Turchia e Siria fino a sud-est del lago d’Urmia (Iran), dove, a Bukan, è stata trovata un’importante iscrizione, attribuita alla metà/fine dell’VIII secolo a.C. (v. soprattutto Lemaire 1998).
Rispetto ai documenti finora elencati – in parallelo, ma diversamente rispetto alla statua di Tell Fekheriyeh –, un gruppo di iscrizioni dall’attuale Zincirli, antica Sam’al (o Ya’diya) è classificato a parte: la prima, fatta incidere dal re Kulamuwa intorno all’825 a.C. (KAI 24 = TSSI III, 14), è in lingua fenicia (v. sopra); negli stessi anni lo stesso re dedica un oggetto in oro al suo dio, Rekub-El, in un dialetto aramaico locale, con tratti arcaici (KAI 25 = TSSI III, 14), chiamato “lingua di Sam’al” (o Yaudico); in questo dialetto sono incise le lunghe e difficili iscrizioni dei successori, i re Panamuwa I e II (KAI 214-215 = TSSI II, 13-14). La stele di un dipendente dell’ultimo Panamuwa, Kuttamuwa55Prima edizione: Pardee 2009., è in un dialetto ancora con particolarità locali, mentre le iscrizioni del figlio di Panamuwa II, il re Bar-Rakib (KAI 216-221 = TSSI II, 15-17)56Che aveva usato il dialetto locale per commemorare il padre Panamuwa. (Tav. 12), oramai tributario dell’Assiria, testimoniano l’affermarsi, già nell’ultima parte dell’VIII secolo a.C. di una lingua letteraria aramaica comune.
Con l’eccezione di quanto testimoniato nello stato di Guzana (in particolare a Tell Fekherye, dove l’adozione dell’alfabeto è da considerare indipendente rispetto alle altre località, la scrittura di questi documenti più antichi non differisce dalla scrittura fenicia contemporanea (se non in alcuni casi nell’esecuzione in rilievo, seguendo la tradizione luvia). L’iscrizione di Kulamuwa, in fenicio, dimostra chiaramente l’adozione diretta da parte di Aramei della tradizione della costa. Le già ricordate iscrizioni, spesso bilingui o trilingui dalla regione, in fenicio o con una versione fenicia (Çineköy, Incirli, Hasan Beyli, Karatepe, più tardi Cebel Ires Dağı) dall’antico stato di Que (v. Lemaire 2001), dimostrano nell’VIII secolo a.C. la diffusione della lingua e della scrittura fenicia in questa regione (la cui dinastia regnante appare in relazione con un antico apporto greco, v. ad es. Jasink, Marino 2007), indicando anch’esse la direzione dell’imprestito da parte degli stati aramaici, diversamente da quanto è meno chiaro per la zona palestinese e giordana.
Un’ulteriore indicazione dell’adozione della scrittura da quella formatasi per una lingua cananaica, verosimilmente fenicia, deriva dalla constatazione che il repertorio di suoni dell’aramaico non coincide con il numero dei segni del sistema adoperato. Le grafie usate dimostrano, infatti, che il gruppo linguistico aramaico possedeva cinque fonemi in più rispetto ai segni della scrittura adottata. Gli Aramei quindi, per rendere i loro suoni specifici, si sono serviti di segni dell’alfabeto adottato (quello fenicio) per suoni avvertiti come simili: uno stesso segno è stato usato per annotare più di un fonema. In seguito, con lo sviluppo della lingua, le antiche corrispondenze non sono state più sentite come adeguate; la grafia si è quindi modificata in accordo con la nuova pronuncia, ciò che permette (insieme con la comparazione linguistica) di ricostruire la fonologia originaria.
Come il modello della scrittura adottata, gli Aramei non indicano le vocali con specifici segni, ma ben presto, diversamente dal fenicio, sviluppano un sistema di parziale annotazione di questi suoni servendosi dei segni consonantici he, waw e yod. Seguendo la consuetudine della grammatica ebraica, i segni in funzione vocalica sono chiamati matres lectionis, simboli, cioè, che facilitano la lettura. L’annotazione delle vocali avviene in un primo tempo soprattutto nel caso delle vocali lunghe (e dei dittonghi) in fine di parola e, più sistematicamente in seguito, all’interno delle parole. Il sistema è già testimoniato a Tell Fekherye ed è attestato più di frequente nella scrittura dei nomi propri di origine straniera.
Scrittura aramaica standard, fino ai periodi babilonese e persiano57V. Naveh 1970, Lemaire 2014.
I primi indizi di diversificazione della scrittura aramaica da quella fenicia si notano già nell’VIII secolo a.C.: si assiste alla formazione di un tipo di grafia inconfondibile che presenta uno sviluppo abbastanza rapido e notevoli tendenze verso forme corsive. I primi tratti caratteristici di questa scrittura si notano nelle lettere incise su mattoni provenienti da Hamath, della metà dell’VIII secolo a.C., che appartengono ancora alla fase antica della scrittura aramaica. Tra la fine dell’VIII e la fine del VII secolo a.C. lo sviluppo dei segni si segue poi grazie a una serie di brevi indicazioni su ostraka e tavolette, semplici “etichette” (spesso riassuntive di testi assiri, o indicative di merci oggetto di compra-vendita), sia invece grazie a testi più lunghi riguardanti scambi di merci, contratti e lettere. Le iscrizioni monumentali di questa fase sono invece meno numerose: sono importanti due stele funerarie rinvenute a Nerab, a sud-est di Aleppo (Tav. 13), nonché numerosi sigilli iscritti58Per un’antologia di iscrizioni, oltre a KAI, v. TSSI II. Sullo sviluppo, oltre a Naveh 1970, v. Naveh 1982, pp. 78-88 e 89-100, con un confronto con il processo di sviluppo tra scrittura fenicia, ebraica e aramaica; v. inoltre Garbini 2006, in particolare pp. 147-170 con nota bibliografica (pp. 169-170)..
Dal VII secolo a.C. accanto a una forma di scrittura monumentale e, in alcuni esempi, parzialmente corsiva, è attestata una varietà ulteriormente corsiva testimoniata da numerose tavolette incise (più raramente dipinte), spesso bilingui in aramaico e assiro. Sono inoltre di notevole interesse letterario e importanza storica per questo periodo alcuni papiri conservati in Egitto: un papiro trovato a Saqqara contiene una lettera al faraone di un re di Ekron di nome Adon (605 a.C.) (KAI 266 = TSSI II, 21) (Fig. 23), che usa la lingua comune di scambio. Le caratteristiche della scrittura aramaica di questo periodo (che si mantengono in parte anche in seguito) sono la forma notevolmente squadrata delle lettere, la tendenza ad aprirsi degli occhielli di b, d e r, la semplificazione della forma dei segni che provoca l’eliminazione o il distacco di alcune aste. Inoltre, con il passare del tempo, nella scrittura corsiva (che influenza anche quella monumentale), si osserva un uso del chiaroscuro che – contrariamente a quanto avviene nel fenicio e nell’ebraico – ingrossa le aste orizzontali dei segni; tale differenza è forse dovuta, almeno in parte, a una diversità dello strumento usato per scrivere.
Con il costituirsi dell’impero persiano – dopo la caduta degli stati assiro prima e poi babilonese – l’importanza dell’aramaico aumenta notevolmente. Ciro II (590-530 a.C.) costituì una grande provincia che comprendeva, oltre ai territori propriamente aramaici a est e a ovest dell’Eufrate, la Siria e la Palestina, fino ai confini con l’Egitto. Questi territori formano la satrapia di Abar nahara “al di là del fiume” e l’aramaico con la sua scrittura vi è riconosciuto come lingua ufficiale. Con la conquista dell’Egitto (525 a.C.) da parte di Cambise (529-522 a.C.), l’aramaico diviene la lingua anche di questa provincia ed è correntemente impiegato per le relazioni tra i funzionari e le popolazioni locali59Sull’aramaico d’Egitto, v. Muraoka, Porten 2003.. Nell’insieme, sia la lingua sia la scrittura si mantengono notevolmente uniformi anche nelle aree periferiche. L’influenza esterna si limita all’adozione di elementi lessicali dal persiano o dall’egiziano e più tardi dal greco. Numerosi e importanti documenti provengono dall’Egitto, tracciati su papiri o pergamene e su ostraka (Porten, Yardeni 1986-1999). Un gruppo di lettere da Ermopoli risale alla fine del VI-inizi del V secolo a.C. Un eccezionale insieme di testi del V secolo a.C. proviene da Elefantina e comprende oltre a lettere di contenuto vario ricche di preziose informazioni, in particolare su una comunità ebraica lì residente (Folmer 2022); è su un papiro di Elefantina il famoso “Romanzo di Ahiqar”, il cui nucleo è un insieme di massime sapienziali accompagnate da una cornice narrativa (Contini, Grottanelli 2005). Tra le pergamene, sono da ricordare le lettere del potente satrapo persiano Arshama, verosimilmente imparentato con la famiglia di Dario, nella seconda metà del V secolo a.C. (v. in particolare Allen, Ma, Taylor, Tuplin 2013). Tra le iscrizioni monumentali di questo periodo, che mostrano anche l’ampia diffusione territoriale dell’aramaico, sono importanti le iscrizioni di Teima, in Arabia; peraltro, epigrafi monumentali aramaiche, che presentano una scrittura abbastanza regolare, sono numerose in un’area molto vasta che va dall’Asia Minore, alla Palestina, all’Egitto, fino appunto all’Arabia (Fig. 24).
La variante corsiva è rappresentata da tavolette e bullae sempre più numerose, iscrizioni su anfore, infine su papiro e pelle (v. Lemaire 2014 e Byrne 2014 con le rispettive bibliografie). La varietà della scrittura è notevole e dipende sia dal supporto, sia dalla destinazione più o meno occasionale dell’iscrizione: brevi ricevute di acquisti o vendite di merci, tracciate rapidamente, erano verosimilmente ricopiate su documenti complessivi, forse vergati su papiro in una scrittura più formale. Con l’avvento dei regni ellenistici si afferma il greco come lingua dell’amministrazione; a poco a poco la scrittura unitaria si disgrega e si formano scritture legate a stati locali.
Alfabeto sud-semitico: formazione, sviluppo e diffusione60Classificazione linguistica e scritture: Al-Jallad 2020; Arbach 2017.
Scritture
Seppure inizialmente molto meno diffusa rispetto al cuneiforme, la scrittura alfabetica consonantica, almeno dal periodo del Ferro II (X secolo a.C. circa), diventa predominante, non solo nel Levante in senso ampio, ma anche nella penisola araba, da dove in seguito si diffonde in Etiopia e con alcuni documenti lungo le rotte dei commerci degli aromi61Per le lingue e la scrittura v. ad es. Macdonald 2010; Robin 2010; Avanzini 2015. Inoltre, sulla scrittura (con problemi di cronologia e, in parte, di classificazione) Garbini 2006, pp. 235-367 (bibliografia specifica dopo ogni settore e generale, pp. 375-377; grammatiche, lessici e onomastica, paleografia e sussidi bibliografici, pp. 380, 381, 382, 383). Sulla cronologia v. Arbach 2017.. L’alfabeto usato, che comprende 29 segni (con oscillazioni locali), non è però lo stesso rispetto a quello che si afferma nel nord, sia per la forma dei segni sia per il loro ordine nella serie canonica: l’ordine canonico è quello chiamato hlh.m già testimoniato a Ugarit e a Beth-Shemesh tra il XIV e il XIII secolo a.C., con alcune varianti locali62Sull’ordine dei segni: Bron, Robin 1974; Ryckmans 1985; sulle diverse tradizioni, specialmente riguardo al nord-arabico, Macdonald 1986.. Questo tipo di scrittura, detta sud-semitica, esprime un insieme di lingue classificate nel gruppo semitico centrale (Huehnergard, Rubin 2011); le lingue che usano la scrittura meridionale si manifestano in numerose varietà e le grafie testimoniate presentano diversità nella forma dei segni sia per quanto riguarda le zone e gli stati che le hanno adoperate, sia rispetto a un ductus monumentale (musnad) e a uno corsivo (zabūr) – tipi di specificità che naturalmente sono più o meno spinte o sovrapposte a seconda dei testi. La scrittura sud-semitica è usata per circa 1500 anni, dall’inizio del I millennio a.C. fino al V-VI secolo d.C., quando è stata man mano sostituita dalla scrittura araba, derivata da quella nabatea di origine aramaica.
Le iscrizioni sud-semitiche, note dal XIX secolo e ben presto decifrate, sono numerosissime e aumentano di anno in anno grazie alle ricerche archeologiche che hanno portato sia a cambiamenti e precisazioni rispetto alla cronologia sia alla conoscenza di un nuovo tipo di documentazione, i testi incisi sui così detti “bastoncini”. Sono attestate specialmente nella zona meridionale dell’Arabia, in particolare nella parte sud-occidentale della penisola, costituita dallo Yemen e dai paesi vicini (compresa l’Etiopia); iscrizioni in questa scrittura sono presenti anche nell’Oman sud-occidentale, più a nord, nell’Arabia settentrionale e in Egitto; un esempio è stato rinvenuto fino a Delo63Sono stati individuati graffiti safaitici a Pompei, v. Helms 2021 (con precedente bibliografia). (Figg. 25-26).
Nella parte sud-occidentale della penisola arabica è documentata una cultura di carattere sedentario, con lo sviluppo di stati prosperi grazie al commercio carovaniero, in particolare dell’incenso, abbondante nella zona del Dhofar; questi stati, hanno costruito monumenti imponenti tanto di natura templare e palatina che di carattere idraulico, a scopo di irrigazione, accompagnati da iscrizioni ufficiali che li commemorano e altre di generi molteplici, anche di carattere giuridico. Una stessa scrittura, con differenze e varianti locali, che esprime lingue arabe precedenti l’Islam, è diffusa in Arabia del nord e nord-est, ed è attestata anche in Siria e in Giordania: in questi territori è usata da popolazioni più povere rispetto al sud-ovest dell’Arabia, spesso nomadi; i documenti sono soprattutto graffiti su roccia, tracciati secondo varietà a volte specifiche delle lettere. Iscrizioni a carattere monumentale sono in queste regioni in prevalenza funerarie (v. Macdonald 2004). Le lingue rappresentate da questi documenti sono tradizionalmente divise in due ampi gruppi secondo un criterio geografico: il gruppo meridionale, detto sudarabico (v. Avanzini 2015; Stein 2020) e il gruppo settentrionale, detto nordarabico. All’interno di ciascun gruppo sono individuate varietà dialettali e grafiche, anch’esse suddivise in gruppi principali, sia per caratteristiche grafiche e linguistiche effettive, sia basandosi su quanto è conosciuto riguardo alle unità territoriali e tribali di quei territori. Classificazioni corrispondenti il più possibile alle realtà politiche e sociali documentate sono state proposte da M.C.A. Macdonald (oltre a quanto già citato, v. Macdonald 2010) e da C.J. Robin (un quadro d’insieme in Robin 2010), accompagnate da analisi delle lingue e delle scritture testimoniate finora. Data la presenza di entità statali organizzate, le scritture meridionali sono più unitarie rispetto a quelle settentrionali: sono distinte, in corrispondenza degli stati territoriali noti storicamente, in sabeo, mineo (detto anche mad–ābic), qatabanico e hadramutico (Tav. 14).
Costituiscono il nordarabico principalmente il dedanita, il taymanita, il dhumaita, l’hismaico, il safaita e alcune varietà dell’insieme denominato thamudeno, distinte in BCD e meridionale64Il thamudeno è chiamato originariamente così in base al nome della tribù di Thamud; è in realtà costituito da dialetti che si è appurato non avere nulla a che fare con questa tribù. V. Madonald, King 2000; Macdonald 2004, p. 492.. Vi sono inoltre altre lingue non chiaramente classificabili. Come si è accennato, una varietà di scrittura sud-arabica particolarmente importante e d’interpretazione relativamente recente è quella incisa su bastoncini e steli di palma, supporti resi noti dagli anni Settanta del Novecento la cui lettura è particolarmente ardua (v. in particolare Ryckmans 1993; Maraqten 2014). Si segnalano infine iscrizioni sparse e sigilli iscritti provenienti dalla Mesopotamia; questi documenti, chiamati caldei e considerati un tempo proto-arabi, sono datati tra l’VIII e il VI secolo a.C. Non si tratta di un gruppo omogeneo e Macdonald propone di attribuire al loro insieme la denominazione di “dispersed Oasis North-Arabian”.
Cronologia e origine
a) Cronologia. Per mancanza di contesti archeologici sicuri, nel secolo scorso la cronologia delle iscrizioni sudsemitiche era stata stabilita seguendo criteri paleografici. Jacqueline Pirenne, nel 1956 e in seguito, propose che il modello della scrittura monumentale sud-semitica fosse la grafia greca: datò quindi le iscrizioni a partire dal V secolo a.C. (cronologia chiamata breve) e le suddivise, secondo la tipologia dei segni, in vari gruppi contraddistinti dalle lettere A-F, distinti a loro volta in sottogruppi (Pirenne 1956 e 1961). A questa cronologia breve si oppose presto una cronologia lunga, proposta da Herbert von Wissmann, fondata, invece, sull’identificazione dei re sabei citati in annali assiri di Sargon II (722-705 a.C.) e di Sennacherib (705-681 a.C.), “Ita’mra il sabeo” e “Karibilu re di Saba”, con due sovrani (singolare: mukarrib, letteralmente “federatore”) attestati in iscrizioni sabee e cioè Yatha‘’amar Bayān figlio di Sumhūalī e Karib’īl Watār figlio di Dhamar‘alī65V. storia della ricerca in Arbach 2017.. Nonostante le due identificazioni non siano apparse del tutto sicure a causa di omonimie nelle dinastie sabee, questa “cronologia lunga” si è imposta soprattutto in seguito ai risultati di scavi archeologici e rinvenimenti epigrafici in particolare nelle località di Yalā (de Maigret, Robin 1989), as-Sawdā’, antica Nashshan66V., anche sul santuario, Breton 2011., e Raybūn (sull’insieme dei problemi v. Sedov 1996 e Arbach 2017), che hanno fornito dati che risalgono agli inizi del I millennio a.C. Queste cronologie sono peraltro da rifinire nei particolari67V. ad es. l’esame particolareggiato di Sass 2005, pp. 96-116..
Dagli anni Ottanta del Novecento, ai dati cronologici forniti in seguito agli scavi, specialmente le sequenze ceramiche, suffragati a loro volta da datazioni per mezzo del 14C, si sono aggiunte le precisazioni seguite al ritrovamento di migliaia di testi iscritti sui citati bastoncini di legno, steli di palma o altre piante, conservati grazie al clima particolarmente secco. Questi documenti sono stati rinvenuti per la massima parta in una sorta di deposito nella città di Nashshan (as-Sawdā’), nel Jawf, città principale di un regno dipendente da Saba’ e in seguito da Ma‘in (Tav. 15).
Non sappiamo quale fosse la loro collocazione originaria. Si tratta in gran parte di lettere, spesso di carattere economico/amministrativo, ma anche private; vi si trovano inoltre contenuti di altra natura, come oracoli, contratti, pagamenti di decime. Non è rara, nei documenti, la presenza di donne che godono del diritto di possesso di beni e quindi della facoltà di compra-vendita. L’uso di questi documenti – in qualche modo parallelo rispetto ai papiri e agli ostraka redatti in lingue semitiche di nord-ovest – si estende per un periodo molto lungo, dal X secolo a.C., almeno, fino al IV-V d.C., come indicano le datazioni in seguito ad analisi al 14C. I testi più antichi sono ancora in maiuscola (musnad), ma presto prevale e si afferma (V-IV sec. a.C.) una scrittura minuscola (zabūr), come si è osservato sopra molto difficile da decifrare68V. tra i numerosi studi Ryckmans 2001; Drewes et al. 2013. Sui bastoncini, con particolare riguardo alle origini della scrittura v. anche Daum 2015.. Le iscrizioni sono disposte in linee orizzontali, la scrittura è generalmente da destra a sinistra. Le varietà grafiche sud-semitiche sono man mano abbandonate dal V-VI secolo d.C. in favore della scrittura araba di origine aramaica.
b) Origine. La scrittura sud-semitica, come si è già osservato, segue lo stesso sistema della scrittura alfabetica nord-occidentale. Tuttavia, i segni, oltre a essere più numerosi, sono di forma notevolmente diversa e il loro ordine, qual è noto sia dalla più tarda scrittura etiopica che ne è derivata, sia da alfabetari locali, non coincide – come si è notato sopra – con quello prevalso nel nord. Ciò nonostante, una derivazione/parentela delle scritture meridionali rispetto a quelle settentrionali è sempre apparsa verosimile, in particolare sulla base di rapporti individuati tra la forma di singoli segni nei due gruppi di scritture. Già Mark Lidzbarski (Lidzbarski 1905) e altri studiosi avevano supposto l’esistenza di un antenato comune alla base degli sviluppi settentrionale e meridionale (“scrittura protosemitica”), per il tramite di un “proto nord-semitico” e di un “proto sud-semitico”. Con la scoperta del protosinaitico si è poi proposto (in particolare Grimme 1930), che questa scrittura rappresentasse il prototipo di quella usata per l’insieme dei dialetti allora chiamati con il termine unitario di “thamudeno” (ora suddiviso diversamente)69V. sopra., considerato a sua volta il progenitore delle altre scritture sudsemitiche. L’ipotesi di una derivazione del sudsemitico dal così detto protosinaitico o proto-cananaico è nell’insieme tuttora sostenuta da alcuni studiosi (v. di recente Daum 2015), essendosi da una parte ridotta la distanza cronologica tra i due sistemi alfabetici, dall’altra, appurata, grazie ai due abbecedari ugaritici con la serie hlh.m, l’esistenza già nel Bronzo Tardo delle due tradizioni di apprendimento. Tuttavia, come si è già notato, un quadro coerente dell’origine, della diffusione e degli sviluppi della scrittura alfabetica – e ancor più del rapporto tra le due varianti – è ancora avvolto da zone d’ombra. Una questione dibattuta riguarda inoltre la diffusione (presunta) da nord a sud della scrittura sudsemitica, accompagnata dall’ipotesi di un movimento di migranti che avrebbe dato origine alle organizzazioni statali locali70Garbini 2006, 235-244 (con una ricostruzione storica ipotetica).. La supposta migrazione è ora rigettata, pur riconoscendosi che devono essere stati gli scambi con le regioni più settentrionali che hanno prodotto la conoscenza e l’uso dell’alfabeto da parte di genti meridionali. Secondo C.J. Robin, che si fonda soprattutto sul numero e sulla forma di alcuni segni, i primi diffusori dell’alfabeto hlhm in Arabia sarebbero stati gli abitanti di Teima, da cui l’avrebbero tratto Dedan e Saba71Robin 2008, con il riesame degli alfabetari nell’ordine hlh.m da Ugarit e Beth-Shemesh.. Resta la difficoltà della distanza cronologica – anche se non più così ampia – tra i due abbecedari di Ugarit e Beth-Shemesh e le prime attestazioni sudsemitiche che si fanno risalire al X secolo a.C. (alcuni propongono anche l’XI).
A lato della questione dell’adozione, si pone la questione di dove, quando e come si sono costituite le due diverse tradizioni nell’ordine canonico dei segni, già note intorno al 1200 a.C., l’una prevalsa a nord, l’altra a sud72La conoscenza ad Ugarit delle due tradizioni dimostra che la scrittura alfabetica consonantica era ben canonizzata intorno al 1200 e che le così dette iscrizioni “proto-cananaiche” o “early alphabetic” sono delle attestazioni periferiche o di utilizzatori non esperti di un sistema ben strutturato. Naturalmente questa osservazione non ha lo scopo di proporre una qualsiasi data certa per la prima formazione del sistema, che tuttavia mi sembra essere precedente il Bronzo Tardo. Le stesse iscrizioni protosinaitiche (su wadi el-Hol mi è più difficile avere un’opinione) mi sembrano una manifestazione periferica.. È stato osservato [già da J. Tropper]73V. Quack 2003. che la serie hlhm è paragonabile alla sequenza dei segni alfabetici egiziani in età tolemaica. Non risulta però che nella tradizione egiziana più antica esistesse un ordine di apprendimento dei segni così canonizzato. Indizio in questo senso potrebbe essere l’ostrakon da Tebe in geroglifico e ieratico con l’inizio della serie hlhm, se davvero risale alla metà del II millennio a.C., data peraltro non sicura74Haring 2015. Sull’altra faccia vi sarebbero i segni ’bgd della serie affermatasi nel nord.. Altri, pochi documenti (7 papiri) raccolti da J.F. Quack sono tardi (Quack 2003). Si potrebbe supporre che la formazione della tradizione hlhm (quella originaria?) sia avvenuta in un periodo incerto del II millennio a.C. in un centro situato in un’area siro-palestinese meridionale con una forte impronta culturale egiziana. Da qui, di nuovo in un periodo incerto, a quanto consta oggi intorno al X secolo a.C. o poco prima, gruppi di parlanti lingue semitiche dell’area meridionale l’avrebbero fatta propria e diffusa nei loro territori. Una differenziazione nella canonizzazione del sistema sarebbe avvenuta nel Levante imponendosi in tutta l’area siro-palestinese e avrebbe fornito il modello all’alfabeto di Ugarit. Si tratta di ipotesi non sostenute da dati di valutazione sicuri: la formazione e la diffusione della tecnica alfabetica consonantica secondo due varianti verosimilmente di origine comune restano, di conseguenza, tuttora da ricostruire.
Scrittura etiopica75Rapporti tra Arabia del Sud ed Etiopia: Dugast, Gajda 2015; scrittura: v. in particolare Ullendorff 1951; Garbini 2006, pp. 355-367, 378 (raccolte di iscrizioni). V. anche sull’Etiopia in generale (con capitoli sulla scrittura), Dossiers de l’Archeéologie 349, 2017; Uhlig et al. 2017. Iscrizioni: Bernand, Drewes, Schneider, Anfray 1991.
Una varietà di alfabeto sud-semitico è attestata in Etiopia in iscrizioni che si datano a cominciare dall’VIII secolo a.C., estendendosi fino al VI; sono chiamate pre-aksumite, e accompagnano strutture architettoniche monumentali con paralleli nello Yemen, in particolare con realizzazioni proprie dello stato sabeo76V. in particolare gli scavi di Yeha; Gerlach 2012.. Questa scrittura è alla base dell’attuale scrittura etiopica che si è evoluta, dal modello alfabetico, in un sistema sillabico. Molto si è discusso, e si dibatte tuttora, sull’origine della cultura etiopica e, riguardo alla presente ricerca, sul modello della più antica scrittura attestata sia in Etiopia, nella zona del Tigray, sia in Eritrea.
Nel secolo scorso era prevalsa la tesi di una colonizzazione sabea, la cui cronologia è stata man mano innalzata sulla base delle nuove datazioni in Arabia, e di conseguenza in Etiopia. Si insiste ora sull’antichità dei rapporti tra Arabia e Corno d’Africa e sulle testimonianze riguardo alla formazione sull’altipiano etiopico, tra II e I millennio a.C., di una cultura proto-urbana che avrebbe favorito un’integrazione fra le lingue (Lusini 2018), quella del luogo e quella apportata da un gruppo di Sabei, presenti almeno dall’VIII secolo a.C., i cui rapporti con gli abitanti locali sono stati favoriti dallo sviluppo di scambi commerciali su lunghe distanze77V. Dugast – Gayda 2015, 80 (soprattutto concentrato sul I millennio d.C., con bibliografia generale).. La lingua delle iscrizioni più antiche rinvenute in Etiopia, che si attribuiscono allo stato di Da‘mat (le iscrizioni sono chiamate da‘matite), è molto vicina al sabeo, ma se ne distingue per elementi fonologici, morfologici e lessicali. La distinzione delle iscrizioni in due gruppi, il primo (I) sabeo, il secondo (II), con tratti più fortemente autonomi e antenato del ge‘ez (Drewes, Schneider 1976), non sembra completamente accettabile perché anche le iscrizioni del gruppo I mostrano tratti propri rispetto al sabeo. Si suppone perciò che vi sia stato un apporto sabeo a una lingua semitica locale – anch’essa originaria dell’Arabia – non molto dissimile dal sabeo stesso. Non appare dimostrabile che la lingua di queste prime iscrizioni sia l’antenata del ge‘ez noto più tardi.
La fase successiva alla prima metà del I millennio a.C. è anch’essa oscura; mancano dati certi e questo vuoto si dirada solo con l’affermarsi del regno di Aksum, citato già nel I secolo d.C. e che si sviluppa a partire dal III secolo d.C. e fino alla fine del IX (v. ad es. Munro-Hay 1991). Durante questo regno comincia ad affermarsi una scrittura propriamente etiopica, che esprime il ge‘ez (v. ad es. Bausi 2008 e 2012), la lingua antica dell’Etiopia, il cui nome è dato anche alla scrittura. Il processo dello sviluppo del ge‘ez in un sistema non più consonantico, ma sillabico, è reso incerto da un’incerta cronologia: si ritiene tradizionalmente che l’introduzione del sistema vocalizzato tuttora impiegato sia avvenuta nel corso del IV secolo d.C. sotto il regno del re di Aksum Ezana, che si convertì al cristianesimo e lo introdusse in Etiopia78Sul sillabario etiopico v. Ullendorff 1951. Sulle tradizioni di scrittura, soprattutto per quanto riguarda i manoscritti, v. Bausi 2008. La lingua afroasiatica oromo, usata anche in Etiopia è scritta perlopiù in alfabeto latino. (fig. 27).
L’alfabeto etiopico completamente sviluppato consta di 26 lettere; rispetto all’alfabeto sudarabico sono state abbandonate quattro lettere, mentre ne sono state aggiunte due, il pa e il pait. I segni hanno assunto forme sempre più arrotondate; la direzione, originariamente da destra a sinistra, diventa in seguito da sinistra a destra. Nelle più antiche iscrizioni le parole sono separate da un tratto verticale, mentre, in seguitosono state divise da punti.
La vocalizzazione della scrittura etiopica consiste in un sistema originale, nel quale si è voluta ravvisare un’influenza esterna, forse greca; le vocali sono espresse mediante lievi alterazioni della forma delle consonanti: in questo modo ogni lettera presenta sette varianti a seconda della vocale che segue la consonante (sono espresse a ed e brevi; a, e, u, i, o lunghi). La forma di base è la consonante seguita da a breve.
La letteratura etiopica è essenzialmente di carattere religioso, cristiano; ciò è dovuto principalmente alla propaganda dei monaci siriaci. In un primo tempo la lingua di questa letteratura fu il ge‘ez; i testi consistono specialmente in traduzioni dal greco e dalla letteratura arabo-cristiana particolarmente sviluppata in Egitto. Il ge‘ez si è conservato come lingua liturgica e letteraria per molti secoli dopo la sua scomparsa come lingua parlata. In seguito, a cominciare specialmente dal XIV secolo, l’amarico, un dialetto apparentato al ge‘ez, è diventato la lingua principale d’Etiopia ed è stato adottato come lingua ufficiale di corte. Nel nord l’amarico è stato sostituito da altri dialetti, il tigre, il tigrai o il tigrino. La scrittura etiopica è usata per annotare tutti e tre questi dialetti a cominciare da circa il 1600.